Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Angelo Nero

Tu con la tua anima
disperatamente dannata,
mi hai incatenata, incantata.
I tuoi occhi scrutano perversi
il mondo, e profondamente
lo vogliono, lo cercano.
Tu non sei che un angelo,
un angelo dannato,
destinato ad una vita lugubre,
buia, eppure vedi una luce
che ogni mortale ignora,
hai aperto una porta
alla sapienza eterna e vera,
e per questo condannato e
forse un giorno ingiustamente...
giustiziato.
La tua bocca parla
di cose proibite, di verità censurate,
critica le assurdità del mondo.
Eppure tu non sei che un angelo,
un angelo destinato ad una vita
solitaria, lunga e dura come
rigidi inverni.
Come gelo, la società,
su di te s'abbatterà per soffocare
la tua sete di verità e giustizia,
chiusi nella loro ignoranza,
non vorranno vedere, non
vorranno sentire.
Eppure tu,
dolce, dannato, triste angelo,
non farai che aumentare il calore,
la passione, che dimorano in te,
che ti danno una ragione per vivere.
A volte vorresti che mai
la tua mente fosse stata illuminata:
è difficile combattere da soli,
e piangi nel tuo silenzio,
e un rosso scarlatto scende sulle
tue guance.
Gridi, gridi pietà ad una vita più
volte rinnegata,
ma tu sei il prescelto, non sei che
un portatore di felicità, di serenità.
Eppure vivi nella disperazione,
nel tuo dolore, mascherandolo,
nascondendolo a te stesso,
vivi le pene dell'inferno,
solo per portare un po' di pace.
Ma tu, tu non sei che
un angelo,
tu sei innocente,
ma per il mondo sei il male,
sei le loro paure, sei le loro
perversioni, sei ciò che rifiutano.
E per me, non sei che
l'amore, la passione, il fuoco,
la sapienza, la verità,
sei il mio spirito, la mia anima,
tu che mi proteggi sotto le tue ali,
che mi guidi con la tua mano,
che mi parli con gli occhi,
tu che sei la mia salvezza,
tu: il mio angelo nero.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Gatto che giochi per via

    Gatto che giochi per via
    come se fosse il tuo letto,
    invidio la sorte che è tua,
    ché neppur sorte si chiama.

    Buon servo di leggi fatali
    che reggono i sassi e le genti,
    hai istinti generali,
    senti solo quel che senti;

    sei felice perché sei come sei,
    il tuo nulla è tutto tuo.
    Io mi vedo e non mi ho,
    mi conosco, e non sono io.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      Sarò una stella come le altre
      perché non c'è stella che s'inabissi
      ognuno rimane lungo il cielo
      lungo il lago ghiacciato
      ed io sono quel punto che rimane là,
      tra il cielo e la terra,
      sono il tu dove passa la mia anima
      perché tutto è fermo,
      i paesi che sfociano in vallate
      e non c'è morte, una soltanto,
      che si distingua dalla vita.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Vorrei poter vivere solo nel ricordo di chi mi vuole bene
        e dissolvermi in questa realtà che mi comanda e mi giudica...
        solo allora potrò rendermi conto di chi mi apprezza veramente,
        perché se morirò dentro un ricordo,
        la mia vita non ha mai avuto senso, se vivrò dentro un rimpianto,
        vorrà dire che qualcuno
        mi ha amata.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il testamento di un albero

          Un Albero di un bosco
          chiamò gli uccelli e fece testamento:
          - Lascio i fiori al mare,
          lascio le foglie al vento,
          i frutti al sole e poi
          tutti i semi a voi.
          A voi, poveri uccelli,
          perché mi cantavate le canzoni
          nella bella stagione.
          E voglio che gli sterpi,
          quando saranno secchi,
          facciano il fuoco per i poverelli.
          Però vi avviso che sul mio tronco
          c'è un ramo che dev'essere ricordato
          alla bontà degli uomini e di Dio.
          Perché quel ramo, semplice e modesto,
          fu forte e generoso: e lo provò
          il giorno che sostenne un uomo onesto
          quando ci si impiccò - .
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            E non chiedere nulla

            Ora invece la terra
            si fa sempre più orrenda:

            il tempo è malato
            i fanciulli non giocano più
            le ragazze non hanno
            più occhi
            che splendono a sera.

            E anche gli amori
            non si cantano più,
            le speranze non hanno più voce,
            i morti doppiamente morti
            al freddo di queste liturgie:

            ognuno torna alla sua casa
            sempre più solo.

            Tempo è di tornare poveri
            per ritrovare il sapore del pane,
            per reggere alla luce del sole
            per varcare sereni la notte
            e cantare la sete della cerva.
            E la gente, l'umile gente
            abbia ancora chi l'ascolta,
            e trovino udienza le preghiere.

            E non chiedere nulla.
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