Le migliori poesie inserite da Silvana Stremiz

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Scritta da: Silvana Stremiz

Itaca

Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto e squisita
è l'emozione che ci tocca il cuore
e il corpo. Nè Lestrigoni o Ciclopi
nè Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li drizza il cuore innanzi a te.

Fa voti che ti sia lunga la via.
E siano tanti i mattini d'estate
che ti vedano entrare (e con che gioia
allegra) in porti sconosciuti prima.
Fa scalo negli empori dei Fenici
per acquistare bella mercanzia,
madrepore e coralli, ebani e ambre,
voluttuosi aromi d'ogni sorta,
quanti più puoi voluttuosi aromi.
Recati in molte città dell'Egitto,
a imparare dai sapienti.
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    Scritta da: Silvana Stremiz

    Il ponte Mirabeau

    Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna
    E i nostri amori
    Me lo devo ricordare
    La gioia veniva sempre dopo il dolore
    Venga la notte suoni l'ora
    I giorni se ne vanno io rimango

    Le mani nelle mani faccia a faccia restiamo
    Mentre sotto
    Il ponte delle nostre braccia passa
    L'onda stanca degli eterni sguardi
    Venga la notte suoni l'ora
    I giorni se ne vanno io rimango

    L'amore se ne va come quest'acqua corrente
    L'amore se ne va
    Com'è lenta la vita
    E come la Speranza è violenta
    Venga la notte suoni l'ora
    I giorni se ne vanno io rimango

    Passano i giorni e passano le settimane
    Né il tempo passato
    Né gli amori ritornano
    Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna
    Venga la notte suoni l'ora
    I giorni se ne vanno io rimango.
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      Scritta da: Silvana Stremiz

      Rovine

      Non è vero che hanno distrutto
      le case, non è vero:
      solo è vero in quel muro diruto
      l'avanzarsi del cielo

      a piene mani, a pieno petto,
      dove ignoti sognarono,
      o vivendo sognare credettero,
      quelli che son spariti…

      Ora aspetta all'ombra spezzata
      il gioco d'altri tempi,
      sopra i muri, nell'alba assolata,
      imitarne gli accenti….

      e nel vuoto, alla rondine, che passa.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        Ieri all'ora nona mi dissero:
        il Drago è certo, insediato nel centro
        del ventre come un re sul suo trono.
        E calmo risposi: bene! Mettiamoci
        in orbita: prendiamo finalmente
        la giusta misura davanti alle cose;
        e con serenità facciamo l'elenco:
        e l'elenco è veramente breve.

        Appena udibile, nel silenzio,
        il fruscio delle nostre passioncelle
        del quotidiano, uguale
        a un crepitare di foglie
        sull'erba disseccata.
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          Scritta da: Silvana Stremiz

          Il sole e l'ombra

          Sole di mezzogiorno, nel luglio felice, sulla piazza deserta:
          piazza lontana di città lontana, tu ed il tuo uomo,
          e quello era il mondo.
          Bianca nella tua veste, bianca vibratile fiamma tu pure,
          nell'abbaglio d'incendio dell'aria.
          Bianco il tuo riso perduto nel riso di lui, fresco di polla il
          tuo riso d'amore tra il vasto fulgere ed ardere.
          Non sarebbe discesa la notte, non sarebbe venuto il domani,
          tua la luce, tuo l'uomo, tuo il tempo.
          Fermasti il tempo in pieno sull'ora solare per cui in terra
          tu fosti divina:
          il resto è ombra e polvere d'ombra.
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            Scritta da: Silvana Stremiz

            L'annuale della fondazione di Roma

            Te redimito di fior purpurei
            april te vide su 'l colle emergere
            da 'l solco di Romolo torva
            riguardante su i selvaggi piani:
            te dopo tanta forza di secoli
            aprile irraggia, sublime, massima,
            e il sole e l'Italia saluta
            te, Flora di nostra gente, o Roma.
            Se al Campidoglio non più la vergine
            tacita sale dietro il pontefice
            né più per Via Sacra il trionfo
            piega i quattro candidi cavalli,
            questa del Fòro tua solitudine
            ogni rumore vince, ogni gloria;
            e tutto che al mondo è civile,
            grande, augusto, egli è romano ancora.
            Salve, dea Roma! Chi disconósceti
            cerchiato ha il senno di fredda tenebra,
            e a lui nel reo cuore germoglia
            torpida la selva di barbarie.
            Salve, dea Roma! Chinato a i ruderi
            del Fòro, io seguo con dolci lacrime
            e adoro i tuoi sparsi vestigi,
            patria, diva, santa genitrice.
            Son cittadino per te d'Italia,
            per te poeta, madre de i popoli,
            che desti il tuo spirito al mondo,
            che Italia improntasti di tua gloria.
            Ecco, a te questa, che tu di libere
            genti facesti nome uno, Italia,
            ritorna, e s'abbraccia al tuo petto,
            affisa nè tuoi d'aquila occhi.
            E tu dal colle fatal pe 'l tacito
            Fòro le braccia porgi marmoree,
            a la figlia liberatrice
            additando le colonne e gli archi:
            gli archi che nuovi trionfi aspettano
            non più di regi, non più di cesari,
            e non di catene attorcenti
            braccia umane su gli eburnei carri;
            ma il tuo trionfo, popol d'Italia,
            su l'età nera, su l'età barbara,
            su i mostri onde tu con serena
            giustizia farai franche le genti.
            O Italia, o Roma! Quel giorno, placido
            tornerà il cielo su 'l Fòro, e cantici
            di gloria, di gloria, di gloria
            correran per l'infinito azzurro.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              Quando su un volto desiderato si scorge
              il segno
              di tante stagioni e una vena troppo scura
              si prolunga nella stanza, quando
              le incisioni
              della vita giungono in folla e il sangue
              rallenta
              dentro i polsi che abbiamo stretto
              fino all'alba,
              allora non è solo lì che la grande corrente
              si ferma, allora è notte, è notte
              su ogni volto
              che abbiamo amato.
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                Scritta da: Silvana Stremiz

                Vanno i fiocchi candidi

                Vanno i fiocchi candidi
                come scivolando su un filo...
                Vorrei vivere, vivere al mondo,
                ma, certo, non si può.

                Di qualcuno le anime, dissolvendosi
                laggiù, senza traccia,
                come neve candida
                salgono al cielo dalla terra.

                Vanno i fiocchi candidi...
                E io pure me ne andrò.
                Non mi rattrista la morte
                e l'immortalità non m'aspetto.

                Non credo nel miracolo.
                Non sono la neve, ne una stella,
                e mai più sarò, mai, mai più.

                E, peccatore che sono, penso:
                chi dunque sono stato,
                nella mia vita precipitosa
                che cosa ho amato più della vita?

                Ho amato la Russia
                con tutto me stesso:
                i suoi fiumi in piena
                e coperti di ghiaccio,

                il respiro delle sue casette,
                il respiro delle sue pinete,
                il suo Puskin, il suo Stenka
                e i suoi vecchi.

                Se la vita non è stata dolce,
                non me la son presa troppo.
                Che fa se ho vissuto da incoerente:
                per la Russia ho vissuto.

                Pieno di ansie segrete
                io mi struggo nella speranza
                di avere un tantino
                aiutato la Russia

                Che essa mi dimentichi pure,
                senza affanno per me;
                ma che essa rimanga
                per sempre, per sempre...

                Vanno i fiocchi candidi,
                come andarono sempre:
                al tempo di Puskin e di Stenka,
                come andranno dopo di me.

                Vanno i grandi fiocchi
                di un biancore accecante,
                di me e degli altri
                spazzando via le tracce...

                Non ho il potere di farmi immortale,
                ma ho una sola speranza:
                se la Russia vivrà,
                con lei vivrò anch'io.

                1965.
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