Ad ogni poco giura di cominciare una vita migliore. Ma quando viene, coi consigli suoi, la notte, e coi suoi compromessi e le lusinghe, ma quando viene, con la sua forza, la notte (il corpo anela e cerca), a quell'eguale fatale gioia, ancora perso, va.
Solo a sera m'è dato assistere alla deposizione della luce, quando la vita, ormai senza rimedio, è perduta.
Mio convoglio funebre di ogni notte: emigrazione di sensi, accorgimenti delle ore tradite, intanto che lo spirito è rapito sotto l'acutissimo arco dell'esistenza: l'accompagna una musica di indicibile silenzio.
Invece dovere ogni mattina risorgere sognare sempre impossibili itinerari.
Io non ho mani che mi accarezzino il volto, (duro è l'ufficio di queste parole che non conoscono amori) non so le dolcezze dei vostri abbandoni: ho dovuto essere custode della vostra solitudine: sono salvatore di ore perdute.
Destino! Che albero invisibile e infinito dà il tuo frutto, che l'anima a volte raccoglie, matur0?
Quali di queste idee sono i tuoi rami, di questi sentimenti sono i tuoi fiori, di queste canzoni sono i tuoi uccelli, di questi sorrisi i tuoi profumi?
Cosa alimenta le tue radici? In che modo, da dove, come in questo limone dalla mia finestra, tu entri nella nostra stanza più interna e lì sfiori, dolcemente, il cuore?
Mia Lesbia sei stata amata da me in modo così totale che in modo uguale amata non c'è donna e non ci sarà. Non si vedrà mai più in amorosi legami tanto rigore di fedeltà quanto si vide in me nell'amore che ti portai.
Queste tue mani a difesa di te: mi fanno sera sul viso. Quando lente le schiudi, là davanti la città è quell'arco di fuoco. Sul sonno futuro saranno persiane rigate di sole e avrò perso per sempre quel sapore di terra e di vento quando le riprenderai.
Se guardi la neve che scende a coprire la terra, coprire se stessa e tutto ciò che tu non sei, vedrai che è la deriva gravitazionale della luce sul rumore dell'aria che cancella l'aria è il cadere dell'attimo nell'attimo, la sepoltura del sonno, il rovescio dell'inverno, il negativo della notte.
Per lei voglio rime chiare, usuali: in -are. Rime magari vietate, ma aperte: ventilate. Rime coi suoni fini (di mare) dei suoi orecchini. O che abbiano, coralline, le tinte delle sue collanine. Rime che a distanza (Annina era cosí schietta) conservino l'eleganza povera, ma altrettanto netta. Rime che non siano labili, anche se orecchiabili. Rime non crepuscolari, ma verdi, elementari.
Quando mie donn'esce la man' del letto che non s'ha post'ancor del fattibello, non ha nel mondo sì laido vasello, che, lungo lei, non paresse un diletto; così ha 'l viso di bellezze netto; infin ch'ella non cerne al burattello biacca, allume scagliuol e bambagello: par a veder un segno maladetto! Ma rifassi d'un liscio smisurato, Che non è om che la veggia 'n chell'ora, ch'ella nol faccia di sé 'nnamorato. E me ha ella così corredato, che di null'altra cosa metto cura, se non di lei: o ecc'om ben ammendato