Non conobbi legami. Allo sbaraglio, andai. A godimenti, ora reali e ora turbinanti nell'anima, andai, dentro la notte illuminata. Mi abbeverai dei più gagliardi vini, quali bevono i prodi del piacere.
Lina, brumaio torbido inclina, Ne l'aer gelido monta la sera: E a me ne l'anima fiorisce, o Lina, La primavera. In lume roseo, vedi, il nivale Fedriade vertice sorge e sfavilla, E di Castalia l'onda vocale Mormora e brilla. Delfo a' suoi tripodi chiaro sonanti Rivoca Apolline co' nuovi soli, Con i virginei peana e i canti De' rusignoli. Da gl'iperborei lidi al pio suolo Ei riede, a' lauri dal pigro gelo: Due cigni il traggono candidi a volo: Sorride il cielo. Al capo ha l'aurea benda di Giove; Ma nel crin florido l'aura sospira E con un tremito d'amor gli move In man la lira. D'intorno girano come in leggera Danza le Cicladi patria del nume, Da lungi plaudono Cipro e Citera Con bianche spume. E un lieve il séguita pe 'l grande Egeo Legno, a purpuree vele, canoro: Armato règgelo per l'onde Alceo Dal plettro d'oro. Saffo dal candido petto anelante A l'aura ambrosia che dal dio vola, Dal riso morbido, da l'ondeggiante Crin di viola, In mezzo assidesi. Lina, quieti I remi pendono: sali il naviglio. Io, de gli eolii sacri poeti Ultimo figlio, Io meco traggoti per l'aure achive: Odi le cetere tinnir: montiamo: Fuggiam le occidue macchiate rive, Dimentichiamo.
Venne in cerca di te nella calda notte, lungo le strade dai fanali azzurri. Tutte le strade, allora, la notte erano azzurre come le vie dei cieli, e il volto amato non si vedeva: si sentiva in cuore E ti trovò, o dolcezza, nell'ombra casta, velata d'un vapor di stelle. Fra quel tremolìo d'astri discesi in terra, in quell'azzurro di due firmamenti l'uno a specchio dell'altro, ella ella pure rispecchiò in te l'anima sua notturna. E ti seguì con passo di bambina senza sapere, senza vedere, tacita e fluida. E allor che il giorno apparve con fresco riso roseo su l'immenso turchino, non trovò più se stessa per ritornare.
Nel paese di mia madre v'è un campo quadrato, cinto di gelsi. Di là da quel campo altri campi quadrati, cinti di gelsi. Roggie scorrenti vi sono, fra alti argini, dritte, e non si sa dove vanno a finire. La terra s'allarga a misura del cielo, e non si sa dove vada a finire.
Nel paese di mia madre v'han ponti di nebbia, che il vento solleva da placidi fiumi: varca il sogno quei ponti di nebbia, mentre le rive si stellan di lumi. Pioppi e betulle di tremula fronda accompagnan de l'acque il fluire: quando nè rami s'impigliano gli astri, in quella pace vorrei morire.
Nel paese di mia madre un basso tugurio sonnecchia sul limite della risaia, e ronzano mosche lucenti, ghiotte, intorno a un ammasso di concio. Possanza di morte, possanza di vita, nell'odore del concio: ne gode la terra dall'humus profondo, sotto la vampa d'agosto che immobile sta.
Nel paese di mia madre, quando il tramonto s'insaguina obliquio sui prati, vien da presso, vien da lontano una canzone di lunga via: la disser gli alari alle cune, gli aratri alle marre, le biche all'aie fiorite di lucciole, vecchia canzone di gente lombarda: "La Violetta la vaaa la vaaaa... "
L'egual vita diversa urge intorno; cerco e non trovo e m'avvio nell'incessante suo moto: a secondarlo par uso o ventura, ma dentro fa paura. Perde, chi scruta, l'irrevocabil presente; né i melliflui abbandoni né l'oblioso incanto dell'ora il ferreo battito concede. E quando per cingerti lo balzo -' sirena del tempo - un morso appéna e una ciocca ho di te: o non ghermita fuggì, e senza grido nei pensiero ti uccido è nell'atto mi annego. Se a me fusto è l'eterno, fronda la storia e patria il fiore, pur vorrei maturar da radice la mia linfa nel vivido tutto e con alterno vigore felice suggere il sole e prodigar il frutto; vorrei palesasse il mio cuore nei suo ritmo l'umano destino, e che voi diveniste - veggente passione del mondo, bella gagliarda bontà - l'aria di chi respira mentre rinchiuso in sua fatica va. Qui nasce, qui muore i! Mio canto: e parrà forse vano accordo solitario; ma tu che ascolti, recalo al tuo bene e al tuo male; e non ti sarà oscuro.
Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna E i nostri amori Me lo devo ricordare La gioia veniva sempre dopo il dolore Venga la notte suoni l'ora I giorni se ne vanno io rimango
Le mani nelle mani faccia a faccia restiamo Mentre sotto Il ponte delle nostre braccia passa L'onda stanca degli eterni sguardi Venga la notte suoni l'ora I giorni se ne vanno io rimango
L'amore se ne va come quest'acqua corrente L'amore se ne va Com'è lenta la vita E come la Speranza è violenta Venga la notte suoni l'ora I giorni se ne vanno io rimango
Passano i giorni e passano le settimane Né il tempo passato Né gli amori ritornano Sotto il ponte Mirabeau scorre la Senna Venga la notte suoni l'ora I giorni se ne vanno io rimango.
Sole di mezzogiorno, nel luglio felice, sulla piazza deserta: piazza lontana di città lontana, tu ed il tuo uomo, e quello era il mondo. Bianca nella tua veste, bianca vibratile fiamma tu pure, nell'abbaglio d'incendio dell'aria. Bianco il tuo riso perduto nel riso di lui, fresco di polla il tuo riso d'amore tra il vasto fulgere ed ardere. Non sarebbe discesa la notte, non sarebbe venuto il domani, tua la luce, tuo l'uomo, tuo il tempo. Fermasti il tempo in pieno sull'ora solare per cui in terra tu fosti divina: il resto è ombra e polvere d'ombra.
Come se non ci fosse più tempo, solo così sono in grado di amare, stringimi come se domani dovessi partire, ti prego, abbracciami come fosse sempre un addio, prendi i baci più dolci e le carezze più calde che vorresti ricordare, guarda i miei occhi come fosse l'ultima volta, donami il sorriso tuo più bello, amami con tutta la forza che puoi, perché stanotte potrei anche morire.