Scritta da: Stefano Lentini
in Poesie (Poesie d'Autore)
Eterna lotta
Incontrai la Verità lungo la via,
stretta e tortuosa,
a prima vista fu amore.
Sostenitori della menzogna mai si arresero,
dura ancora la lotta.
Composta martedì 6 maggio 2025
Incontrai la Verità lungo la via,
stretta e tortuosa,
a prima vista fu amore.
Sostenitori della menzogna mai si arresero,
dura ancora la lotta.
Sono passati sei anni,
o forse un secolo
o forse di più
il mio corpo non lo sa dire,
ma le ossa sentono
ogni tua mancanza come inverno.
I rumori del silenzio rimbombano
come frecce avvelenate,
piantate dritte nel cuore.
nessuno le vede
ma sanguino ancora piano.
Non c'è angolo che non ti porti,
una riga nel muro
è un segno della tua schiena,
la casa ti tiene nascosto
dove io non posso toccarti.
Ogni giorno è un'eco del primo,
quello senza il tuo fiato
ho imparato a respirare da sola
lo facevo già da un po'
ma è un'aria diversa,
più dura, più fredda.
Scrivo il tuo nome sulle stoviglie,
lo sbuccio dalla frutta,
lo piego nelle lenzuola,
lo verso nel caffè del mattino,
TU resti, nel modo in cui manchi.
Ora sei tempo,
ma non passato
sei voce senza suono
che mi parla nel petto
quando tutti credono che stia zitta.
Non cerco qualcuno che riempia la stanza.
Cerco chi sappia restarci dentro, anche vuota.
Ho visto troppi sorrisi appoggiati come posacenere su tavoli già sporchi.
La mia solitudine, invece, ha odore d'incenso e di vino vecchio.
Mi ci siedo accanto come a una sorella stanca che non parla più,
ma guarda.
Non voglio chi scappa dal silenzio,
voglio chi ci muore dentro,
e poi rinasce senza fare rumore.
Le mezze presenze mi hanno lasciato intere ferite.
Non ho più posto per chi ha paura di guardarmi dove non sorrido.
Ho dismesso i compromessi,
ho buttato le parole corte,
quelle che si dicono solo per non restare soli.
Preferisco la fame.
E se mai qualcuno verrà,
lo capirò dal modo in cui non chiederà niente,
dal modo in cui saprà stare zitto con me,
mentre il mondo là fuori bussa coi pugni.
Allora aprirò.
O forse no.
Forse resterò con la mia solitudine,
che almeno, non mente mai.
La terra si sventrò nel buio
scosse le sue vene di pietra
rovesciò il sonno degli uomini
inghiottì case e campanili
strappò le mani dai campi
spense il canto delle madri.
Eri forte, Friuli,
di legno e sudore,
di grano e silenzio,
eri il pane sulla tavola,
il profumo della vigna,
il passo sicuro del contadino.
Ma venne la notte,
quella senza stelle,
quella che frantuma i nomi,
che lascia l'amore sotto le macerie
e semina lamenti tra le valli.
Ti cercarono, Friuli,
nelle pieghe della polvere,
nelle mani spezzate,
nelle croci piantate in fretta
sul cuore ancora caldo della terra.
Eppure, dalle crepe del dolore
spuntò la tua voce di pietra,
il tuo passo saldo tornò alla strada,
la tua gente si fece argilla e fuoco,
mani ruvide a ricostruire il giorno.
Oggi cammini, Friuli, a testa alta
ma nei tuoi borghi rinati,
tra le vigne e la gratitudine,
ancora il vento racconta
di madri, padri e figli disperati
di chi non vide l'alba
ma lasciò il suo respiro
impastato nella tua terra.
-© Silvana Stremiz-.
C'è un'ora in cui il sole si inginocchia,
non per morire,
ma per ricordarmi che anche la luce
ha bisogno del buio per sentirsi vera.
IO, in quell'istante,
non sono madre, non sono figlia,
non sono l'amante che hanno perso o tenuto.
Sono donna che resta,
anche quando il mondo se ne va.
Ho avuto giorni che mi hanno lasciata nuda,
con le mani sporche di sogni
e i piedi feriti da tutte le partenze.
Ma non mi sono mai tolta la pelle
per piacere a chi non sapeva toccare.
Sono stata dolce fino a scorticarmi.
Poi un giorno, ho capito:
la dolcezza non è silenzio.
È forza che sceglie di non mordere.
Adesso mi guardo,
nella luce che scivola sul mare
come una verità che non ha più paura.
E mi piaccio.
Con le rughe dell'anima,
con la voce sbucciata dalle parole rimaste dentro,
con i sogni che sanno aspettare.
Perché io non sono solo quella che resiste,
sono quella che arde.
Non chiedo più permesso al mondo
per nascere ogni volta che tramonto.
Domani verrà,
con l'alba che ha il mio nome inciso
sulla pelle del tempo.
IO sono mia.
Non serve altro.
Neanche saperlo dire meglio.
- @Silvana Stremiz-.
Siete cresciuti...
Senza chiedere permesso.
Avete allungato le gambe,
rotto i giocattoli,
smesso di chiamarmi piano nel cuore della notte.
Un giorno,
senza suono,
è arrivata l'ultima favola.
E io ho continuato a leggerla,
anche se vi eravate già addormentati altrove.
Le vostre mani,
che cercavano la mia come rifugio,
ora stringono il mondo
come se non aveste mai avuto paura.
Ma io me le ricordo tutte le paure.
E le febbri.
E le ginocchia sbucciate.
E quella fame di vita
che si curava solo con un bacio sulla fronte.
Ho conservato i vostri "mamma"
come reliquie dentro al petto,
e anche se ora li dite più di rado,
li sento ancora
nelle stanze che avete lasciato vuote,
piene di memoria.
Mi mancate anche quando ci siete.
Perché siete diventati altro.
Siete diventati ciò che dovevate essere,
ma non più il mio grembo,
non più il mio braccio,
non più le mie ginocchia come trono.
Eppure vi amo come allora.
Con lo stesso tremore,
con la stessa voce che vi sussurrava di dormire
mentre fuori il vento portava via le stagioni.
Siete cresciuti...
E io,
senza che ve ne accorgeste,
sono rimasta lì
a raccogliere le ultime nuvole,
a piegare i vostri anni nei cassetti del cuore,
come si piegano le magliette che non vanno più.
E vi aspetto.
Non per tornare bambini,
ma per tornare a casa.
L'amore non germoglia
laddove l'odio ha costruito prigioni,
laddove il cuore si nasconde in grotte scure
e l'anima è un serpente che sibila perdono
ma non sa darlo, nemmeno a se stessa.
Puoi tendere una rosa,
inebriata di pace e sogni leggeri,
carica di petali e silenzi delicati;
se l'altro offre solo spine,
il tocco diventa lama,
una lama che taglia senza chiedere scusa.
Ho visto gente vestita di bontà
puzzare di rancore come vecchi barili,
abbracci che non scaldano,
ma legano nodi stretti intorno al collo,
pesanti come pietre.
Elemosina gettata come polvere dorata,
ma comprata al mercato dell'ego:
mani sporche di interesse,
sorrisi affilati come coltelli,
che si vestono di carità
per nascondere il proprio tornaconto.
Gli occhi si chiudono,
mentre le differenze si consumano nel silenzio.
Odio gli amori recitati,
le elemosine mascherate da gesti puri.
Voglio mani nude,
cuori scalzi,
anime che urlano dalle cicatrici,
non da maschere di compassione falsificata.
Laddove l'odio riposa,
l'amore si accende senza combattere.
E io, fatta di luce e spine,
non busserò più a porte
che si aprono per condannare,
curanti SOLO del proprio IO.
È quando il dolore
ti mangia il nome,
che lei nasce.
Silenziosa.
Sottile.
Viva.
È presenza senza una forma,
senza volto,
ma che resta,
mentre tutto vacilla.
La senti dentro,
come un sussurro nel petto,
come un Dio muto
che ti conosce a memoria.
È la voce che non cede,
che ti tiene
quando tu non puoi.
E tu non lo sapevi,
ma eri fatta anche di questo:
di tenerezza ostinata,
e di fede
che non ha bisogno di prove.
Ci sono amori nascosti,
che camminano piano dentro di te senza fare rumore,
amori che si spezzano prima ancora di nascere,
che ti tagliano il petto senza farti troppo male,
perché sanno che il dolore più grande è far finta di niente.
Ci sono amori sospesi,
fatti di sguardi sfuggenti e mani che non si osano,
desideri intrappolati in gabbie invisibili,
amori che si nutrono di vuoti e parole mai dette.
Ci sono amori fragili,
come una carezza rubata a un momento che non tornerà,
che si posano su di te leggeri come polvere,
ma ti soffocano col loro silenzio,
come foglie morte che calpesti senza accorgertene.
Ci sono amori che si adagiano nella routine,
quegli amori che sembrano sicuri,
che ti fanno sentire a casa anche se la casa è una prigione,
amori che ti tengono in vita,
ma ti rubano un pezzo alla volta,
mentre il tempo scivola via, lento e invisibile.
E poi ci sono gli altri.
Quegli amori che ti strappano il respiro,
che ti marchiano la pelle con un fuoco senza cenere,
amori che ti prendono senza chiedere,
che ti scuotono fino al midollo,
e ti ricostruiscono, pezzo dopo pezzo, anche quando pensi di non volerlo.
Sono amori senza regole,
che non puoi spiegare nemmeno a te stesso,
amori che non capitano a chiunque,
ma che se ti colpiscono, ti cambiano per sempre,
TI fanno sanguinare l'anima,
TI risvegliano come un'onda improvvisa in un mare troppo calmo.
Sono amori che ti travolgono come tempeste arrabbiate,
che TI SPEZZANO E TI RICOMPONGONO,
amori che ti fanno sentire vivo
fino all'ultimo respiro, fino all'ultima scintilla.
E se ti succedono
una sola volta, VALGONO UN'INTERA VITA.
In un attimo sospeso, l'albero si schiude alla luce,
e il vento, leggero, accarezza i rami come un soffio gentile.
foglie morbide come segreti sussurrati,
rivelano tracce di speranze dimenticate.
Ogni petalo si svela lentamente,
in un silenzio che racconta storie di pioggia e ricordi,
tra riflessi tremuli di luce e ombre leggere,
dove il cuore si perde e ritrova se stesso.
Le radici, profonde custodi del tempo,
si intrecciano con la terra in un abbraccio silente,
mentre l'anima si posa, intima,
sul palpito di un nuovo inizio.
La primavera diventa un invito,
un sussurro dolce e fragile,
che ci ricorda di cercare bellezza
nelle piccole luci e nelle ombre della vita.