Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

L'agrifoglio

Sul, limitare, tra la casa e 1'orto
dove son brulli gli alberi, te voglio,
che vi verdeggi dopo ch'io sia morto,
sempre, agrifoglio.

Lauro spinoso t'ha chiamato il volgo,
che sempre verde t'ammirò sul monte:
oh! Cola il sangue se un tuo ramo avvolgo
alla mia fronte!

Tu devi, o lauro, cingere l'esangue
fronte dei morti! E nella nebbia pigra
alle tue bacche del color di sangue,
venga chi migra,

tordo, frosone, zigolo muciatto,
presso la casa ove né suona il tardo
passo del vecchio. E vengavi d'appiatto
l'uomo lombardo,

e del tuo duro legno, alla sua guisa
foggi cucchiari e mestole; il cucchiare
con cui la mamma imbocca il bimbo, assisa
sul limitare.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Le quattro del mattino

    Ora dalla notte al giorno.
    Ora da un fianco all'altro.
    Ora per trentenni.

    Ora rassettata per il canto dei galli.
    Ora in cui la terra ci rinnega.
    Ora in cui il vento soffia dalle stelle spente.
    Ora del chissà-se-resterà-qualcosa-di-noi.

    Ora vuota.
    Sorda, vana.

    Fondo di ogni altra ora.

    Nessuno sta bene alle quattro del mattino.
    Se le formiche stanno bene alle quattro del mattino
    - le nostre congratulazioni. E che arrivino le cinque,
    se dobbiamo vivere ancora.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Poichè l'alba si accende...

      Poiché l'alba si accende, ed ecco l'aurora,
      poiché, dopo avermi a lungo fuggito, la speranza consente
      a ritornare a me che la chiamo e l'imploro,
      poiché questa felicità consente ad esser mia,

      facciamola finita coi pensieri funesti,
      basta con i cattivi sogni, ah! Soprattutto
      basta con l'ironia e le labbra strette
      e parole in cui uno spirito senz'anima trionfava.

      E basta con quei pugni serrati e la collera
      per i malvagi e gli sciocchi che s'incontrano;
      basta con l'abominevole rancore! Basta
      con l'oblìo ricercato in esecrate bevande!

      Perché io voglio, ora che un Essere di luce
      nella mia notte fonda ha portato il chiarore
      di un amore immortale che è anche il primo
      per la grazia, il sorriso e la bontà,

      io voglio, da voi guidato, begli occhi dalle dolci fiamme,
      da voi condotto, o mano nella quale tremerà la mia,
      camminare diritto, sia per sentieri di muschio
      sia che ciottoli e pietre ingombrino il cammino;

      sì, voglio incedere dritto e calmo nella Vita
      verso la meta a cui mi spingerà il destino,
      senza violenza, né rimorsi, né invidia:
      sarà questo il felice dovere in gaie lotte.

      E poiché, per cullare le lentezze della via,
      canterò arie ingenue, io mi dico
      che lei certo mi ascolterà senza fastidio;
      e non chiedo, davvero, altro Paradiso.
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        Scritta da: Antonio Prencipe
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Morta per autoprocurato aborto

        La stanza tua piena di fiori
        e due coltelli, i testimoni
        di un rito che non ha padroni
        un rito l'unico rimedio
        a libertà negate a volontà spezzate

        In mezzo al sangue
        lei per terra vinceva la sua guerra
        senza parlare senza accusare dei suoi tre mesi
        di dolore, di rancore, di timore
        ecco l'immagine
        e tutto a un tratto mi sembra assurdo
        le strade son di burro si scivolava
        si sprofondava che si faceva noi

        Dov'è il coraggio di continuare a dar la vita
        tra le macerie se la gente non ci sente più,
        forse daranno un paradiso a donne come lei
        che così han deciso

        E in tutta questa distruzione
        Io cerco un'altra direzione ma sono già troppo lontana
        qualcosa brucia dentro me, dentro di me
        si torce l'anima
        cos'è successo, che cosa resta adesso
        che cosa sono io
        le grida spaesate
        le mani morsicate sue.
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          Scritta da: Phantastica
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Song - Canzone

          Il peso del mondo
          è amore.
          Sotto il fardello
          di solitudine
          sotto il fardello
          dell'insoddisfazione
          il peso,
          il peso che portiamo
          è amore.

          Chi può negarlo?
          In sogno
          ci tocca
          il corpo,
          nel pensiero
          costruisce
          un miracolo,
          nell'immaginazione
          s'angoscia
          fino a nascer
          nell'umano

          s'affaccia dal cuore
          ardente di purezza -
          poiché il fardello della vita
          è amore,
          ma noi il peso lo portiamo
          stancamente,
          e dobbiam trovar riposo
          tra le braccia dell'amore
          infine,
          trovar riposo tra le braccia
          dell'amore.

          Non c'è riposo
          senza amore,
          né sonno
          senza sogni
          d'amore
          sia matto o gelido
          ossessionato dagli angeli
          o macchine,
          il desiderio finale
          è amore
          non può essere amaro
          non può negare,
          non può negarsi
          se negato:
          il peso è troppo

          deve dare
          senza nulla in cambio
          così come il pensiero
          si dà
          in solitudine
          con tutta la bravura
          del suo eccesso.

          I corpi caldi
          splendono insieme
          al buio
          la mano si muove
          verso il centro
          della carne,
          la pelle trema
          di felicità
          e l'anima viene
          gioiosa fino agli occhi

          sì, sì,
          questo è quel
          che volevo,
          ho sempre voluto,
          ho sempre voluto,
          tornare
          al corpo
          dove sono nato.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Il corvo

            Era una cupa mezzanotte e mentre stanco meditavo

            Su bizzarri volumi di un sapere remoto,

            Mentre, il capo reclino, mi ero quasi assopito,

            D'improvviso udii bussare leggermente alla porta.

            "C'è qualcuno" mi dissi " che bussa alla mia porta

            Solo questo e nulla più. "

            Ah, ricordo chiaramente quel dicembre desolato,

            Dalle braci morenti scorgevo i fantasmi al suolo.

            Bramavo il giorno e invano domandavo ai miei libri

            Un sollievo al dolore per la perduta Lenore,

            La rara radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Lenore

            E che nessuno, qui, chiamerà mai più.

            E al serico, triste, incerto fruscio delle purpuree tende

            Rabbrividivo, colmo di assurdi tenori inauditi,

            Ebbene ripetessi, per acquietare i battiti del cuore:

            "È qualcuno alla porta, che chiede di entrare,

            Qualcuno attardato, che mi chiede di entrare.

            Ecco: è questo e nulla più"

            Poi mi feci coraggio e senza più esitare

            "Signore, " dissi "o Signora, vi prego, perdonatemi,

            Ma ero un po' assopito ed il vostro lieve tocco,

            Il vostro così debole bussare mi ha fatto dubitare

            Di avervi veramente udito". Qui spalancai la porta:

            C'erano solo tenebre e nulla più. "

            Nelle tenebre a lungo, gli occhi fissi in profondo,

            Stupefatto, impaurito sognai sogni che mai

            Si era osato sognare: ma nessuno violò

            Quel silenzio e soltanto una voce, la mia,

            Bisbigliò la parola "Lenore" e un eco rispose:

            "Lenore". Solo quello e nulla più.

            Rientrai nella mia stanza, l'anima che bruciava.

            Ma ben presto, di nuovo, si udì battere fuori,

            E più forte di prima. "Certo" dissi "è qualcosa

            Proprio alla mia finestra: esplorerò il mistero,

            Renderò pace al cuore, esplorerò il mistero.

            Ma è solo il vento, nulla più. "

            Allora spalancai le imposte e sbattendo le ali

            Entrò un Corvo maestoso dei santi tempi antichi

            Che non fece un inchino, né si fermò un istante.

            E con aria di dame o di gran gentiluomo

            Si appollaiò su un busto di Palladie sulla porta

            Si posò, si sedette, e nulla più.

            Poi quell'uccello d'ebano, col suo austero decoro,

            Indusse ad un sorriso le mie fantasie meste,

            "Perché" dissi "rasata sia la tua cresta, un vile

            Non sei, orrido, antico Corvo venuto da notturne rive.

            Qual è il tuo nome nobile sulle plutonie rive? "

            Disse il Corvo: "Mai più".

            Ma quel corvo posato solitario sul placido busto,

            Come se tutta l'anima versasse in quelle parole,

            Altro non disse, immobile, senza agitare piuma,

            Finché non mormorai: "Altri amici di già sono volati via:

            Lui se ne andrà domani, volando con le mie speranze"

            Allora disse il Corvo: "Mai più".

            Trasalii al silenzio interrotto da un dire tanto esatto,

            "Parole" mi dissi "che sono la sua scorta sottratta

            A un padrone braccato dal Disastro, perseguitato

            Finché un solo ritornello non ebbe i suoi canti,

            Un ritornello cupo, i canti funebri della sua speranza:

            Mai, mai più".

            Rasserenando ancora il Corvo le mie fantasie,

            Sospinsi verso di lui, verso quel busto e la porta,

            Una poltrona dove affondai tra fantasie diverse,

            Pensando cosa mai l'infausto uccello del tempo antico.

            Cosa mai quel sinistro, infausto e torvo anomale antico

            Potesse voler dire gracchiando "Mai più".

            Sedevo in congetture senza dire parola

            All'uccello i cui occhi di fuoco mi ardevano in cuore;

            Cercavo di capire, chino il capo sul velluto

            Dei cuscini dove assidua la lampada occhieggiava,

            Sul viola del velluto dove la lampada luceva

            E che purtroppo Lei non premerà mai più.

            Parve più densa l'aria, profumata da un occulto

            Turibolo, oscillato da leggeri serafini

            Tintinnanti sul tappeto. "Infelice" esclamai "Dio ti manda

            Un nepente dagli angeli a lenire il ricordo di Lei,

            Dunque bevilo e dimentica la perduta tua Lenore! "

            Disse il Corvo "Mai più".

            "Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello

            Tu sei o demonio, se il maligno" io dissi "ti manda

            O la tempesta, desolato ma indomito su una deserta landa

            Incantata, in questa casa inseguita dall'Onore,

            Io ti imploro, c'è un balsamo, dimmi, un balsamo in Galaad? "

            Disse il Corvo: "Mai più".

            "Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello

            Tu sei o demonio, per il Cielo che si china su noi,

            Per il Dio che entrambi adoriamo, dì a quest'anima afflitta

            Se nell'Eden lontano riavrà quella santa fanciulla,

            La rara raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Lenore".

            Disse il Corvo: "Mai più".

            "Siano queste parole d'addio" alzandomi gridai

            "uccello o creatura del male, ritorna alla tempesta,

            Alle plutonie rive e non lasciare una sola piuma in segno

            Della tua menzogna. Intatta lascia la mia solitudine,

            Togli il becco dal mio cuore e la tua figura dalla porta"

            Disse il Corvo: "Mai più".

            E quel Corvo senza un volo siede ancora, siede ancora

            Sul pallido busto di Pallade sulla mia porta.

            E sembrano i suoi occhi quelli di un diavolo sognante

            E la luce della lampada getta a terra la sua ombra.

            E l'anima mia dall'ombra che galleggia sul pavimento

            Non si solleverà "Mai più" mai più.
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Vietnam

              Donna, come ti chiami? - Non lo so.
              Quando sei nata, da dove vieni? - Non lo so.
              Perché ti sei scavata una tana sottoterra? - Non lo so.
              Da quando ti nascondi qui? - Non lo so.
              Perché mi hai morso la mano? - Non lo so.
              Sai che non ti faremo del male? - Non lo so.
              Da che parte stai? - Non lo so.
              Ora c'è la guerra, devi scegliere. - Non lo so.
              Il tuo villaggio esiste ancora? - Non lo so.
              Questi sono i tuoi figli? - Sì.
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                in Poesie (Poesie d'Autore)
                Accetterò il tuo caos.
                Non cercherò di fare ordine
                e mettere equilibrio.
                Dovrai restare così.
                Imperfetta e unica.
                Semplice e bellissima.
                Porterò poesia nelle tue stanze buie.
                Ho così tante paure
                che ormai le ho smesse di contare.
                Non mi spaventano le tue.
                Non passi un bel periodo, lo so.
                Sei così stanca
                che ormai nascondi il cuore
                per paura che la felicità lo trovi.
                E poi finisca chissà dove.
                Lo so.
                Dove ti trovi fa un freddo micidiale.
                Ci sono stato anch'io.
                E non ti va di uscirne fuori.
                E invece no.
                Devi rischiare.
                Lasciami entrare.
                Ci penso io a ricordarti
                a che miracolo appartieni.
                Vieni via da lì.
                Ricominciamo insieme
                da dove ti sei persa.
                Da dove non riesci più a tornare.
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