Poesie d'Autore migliori


in Poesie (Poesie d'Autore)
Il paradosso del nostro tempo nella storia
e che abbiamo edifici sempre più alti, ma moralità più basse,
autostrade sempre più larghe, ma orizzonti più ristretti.

Spendiamo di più, ma abbiamo meno, comperiamo di più, ma godiamo meno.
Abbiamo case più grandi e famiglie più piccole, più comodità, ma meno tempo.
Abbiamo più istruzione, ma meno buon senso, più conoscenza, ma meno giudizio,
più esperti, e ancor più problemi, più medicine, ma meno benessere.

Beviamo troppo, fumiamo troppo,
spendiamo senza ritegno, ridiamo troppo poco,
guidiamo troppo veloci, ci arrabbiamo troppo,
facciamo le ore piccole, ci alziamo stanchi,
vediamo troppa TV, e preghiamo di rado.

Abbiamo moltiplicato le nostre proprietà, ma ridotto i nostri valori.
Parliamo troppo, amiamo troppo poco e odiamo troppo spesso.
Abbiamo imparato come guadagnarci da vivere, ma non come vivere.
Abbiamo aggiunto anni alla vita, ma non vita agli anni.
Siamo andati e tornati dalla Luna, ma non riusciamo
ad attraversare il pianerottolo per incontrare un nuovo vicino di casa.

Abbiamo conquistato lo spazio esterno, ma non lo spazio interno.
Abbiamo creato cose più grandi, ma non migliori.
Abbiamo pulito l'aria, ma inquinato l'anima.
Abbiamo dominato l'atomo, ma non i pregiudizi.
Scriviamo di più, ma impariamo meno.
Pianifichiamo di più, ma realizziamo meno.
Abbiamo imparato a sbrigarci, ma non ad aspettare.
Costruiamo computers più grandi per contenere più informazioni,
per produrre più copie che mai, ma comunichiamo sempre meno.

Questi sono i tempi del fast food e della digestione lenta,
grandi uomini e piccoli caratteri,
ricchi profitti e povere relazioni.
Questi sono i tempi di due redditi e più divorzi,
case più belle ma famiglie distrutte.

Questi sono i tempi dei viaggi veloci, dei pannolini usa e getta,
della moralità a perdere, delle relazioni di una notte, dei corpi sovrappeso,
e delle pillole che possono farti fare di tutto, dal rallegrarti, al calmarti, all'ucciderti.

È un tempo in cui ci sono tante cose in vetrina e niente in magazzino.
Un tempo in cui la tecnologia può farti arrivare questa lettera,
e in cui puoi scegliere di condividere queste considerazioni con altri, o di cancellarle.

Ricordati di spendere del tempo con i tuoi cari ora,
perché non saranno con te per sempre.

Ricordati di dire una parola gentile a qualcuno che ti guarda dal basso
in soggezione, perché quella piccola persona presto crescerà, e lascerà il tuo fianco.
Ricordati di dare un caloroso abbraccio alla persona che ti sta a fianco,
perché è l'unico tesoro che puoi dare con il cuore, e non costa nulla.

Ricordati di dire "vi amo" ai tuoi cari, ma soprattutto pensalo.
Un bacio e un abbraccio possono curare ferite che vengono dal profondo dell'anima.

Ricordati di tenerle le mani e godi di questi momenti, un giorno quella persona non sarà più lì.

Dedica tempo all'amore, dedica tempo alla conversazione,
e dedica tempo per condividere i pensieri preziosi della tua mente.

E RICORDA SEMPRE:
la vita non si misura da quanti respiri facciamo,
ma dai momenti che ci li tolgono.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Non chiederci la parola

    Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
    l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
    lo dichiari e risplenda come un croco
    perduto in mezzo a un polveroso prato.

    Ah l'uomo che se ne va sicuro,
    agli altri ed a se stesso amico,
    e l'ombra sua non cura che la canicola
    stampa sopra uno scalcinato muro!

    Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
    sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
    Codesto solo oggi possiamo dirti,
    ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Elena (1848)

      Ti vidi una volta, una sola volta –anni fa:
      non voglio dir quanti – non molti, tuttavia.
      Era notte, di Luglio; e dalla grande luna piena
      che, come la tua anima, ricercava, elevandosi,
      un suo erto sentiero per l'arco del cielo,
      piovve un serico argenteo velo di luce,
      con sé recando requie, grave afa e sopore,
      sui sollevati visi d'almeno mille rose
      che s'affollavano in un incantato giardino,
      che nessun vento – se non in punta di piedi – osava agitare.
      E cadde su quei visi di rose levati al cielo,
      che in cambio restituirono, per l'amorosa luce,
      le loro anime stesse odorose, in estatica morte.
      Cadde su quei visi di rose levati al cielo,
      che sorridendo morirono, in quel chiuso giardino,
      da te incantati, da quella poesia che tu eri.
      In bianca veste, sopra una sponda di viole,
      ti vidi reclina, mentre che quella luce lunare
      cadeva sui visi sollevati delle rose,
      e sul tuo, sul tuo viso –ahimé, dolente!
      Non fu il Destino che, in quella notte di Luglio,
      non fu forse il Destino ( e Dolore è l'altro suo nome)
      che m'arrestò, davanti a quel giardino,
      a respirar l'incenso di quelle rose addormentate?
      Non un passo nel silenzio: dormiva l'odiato mondo,
      tranne io e te. M'arrestai, guardai
      e ogni cosa in un attimo disparve
      (Oh, ricorda ch'era un magico giardino! )
      Si spense il perlaceo lume della luna:
      non più vidi sponde muscose, tortuosi sentieri,
      i lieti fiori e gli alberi gementi;
      e moriva quel profumo stesso delle rose
      tra le braccia dell'aria innamorata.
      Tutto svaniva fuor che tu sola – una parte anzi di te:
      fuor che quella divina luce nei tuoi occhi-
      fuor che la tua anima nei tuoi occhi alzati al cielo.
      Quelli io vedevo e non altro – l'intero mondo per me.
      Quelli io vedevo e non altro – e così per molte ore-
      quelli solo io vedevo – finché la luna non tramontò.
      Quali selvagge storie del cuore erano inscritte
      in quelle celestiali sfere di cristallo!
      Quale fosco dolore! E sublime speranza!
      Quale tacito e pacato mare d'orgoglio!
      Quale audace ambizione! E che profonda-
      insondabile capacità d'amore!
      Ma disparve infine Diana alla mia vista,
      velata in un giaciglio di scure nuvole a ponente;
      e tu – uno spettro – tra i sepolcrali alberi
      ti dileguasti. Solo i tuoi occhi rimasero.
      Essi non vollero andar via – mai più disparvero.
      Quella notte illuminando il mio solingo cammino,
      non più mi lasciarono (come invece, ahimé,
      le speranze! ). Ovunque mi seguono, mi guidano
      negli anni. Sono i miei ministri – ma io il loro schiavo.
      Loro compito è d'illuminarmi, d'infiammarmi,
      e mio dovere è d'esser salvato da quella luce,
      in quel loro elettrico fuoco purificato,
      in quel loro elisio fuoco santificato.
      Mi colmano l'anima di beltà, di speranza –
      su nel cielo – le stelle a cui mi prostro
      nelle tristi, mute veglie delle mie notti;
      e nel meridiano splendore el giorno
      ancora io le vedo – due fulgenti e dolci
      Veneri, che il sole non può oscurare.
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        Scritta da: Rita Cangiano
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Girerò per le strade finché non sarò stanca morta
        saprò vivere sola e fissare negli occhi
        ogni volto che passa e restare sempre la stessa.
        Questo fresco che sale a cercarmi le vene
        è un risveglio che mai nel mattino ho provato
        così vero: soltanto, mi sento più forte
        che il mio corpo, e un tremore più feddo accompagna il mattino.
        Son lontani i mattini che avevo vent'anni.
        E domani, ventuno: domani uscirò per le strade,
        ne ricordo ogni sasso e le strisce di cielo.
        Da domani la gente riprende a vedermi
        e sarò ritta in piedi e potrò soffermarmi
        e specchiarmi in vetrine. I mattini di un tempo,
        ero giovane e non lo sapevo, e
        nemmeno sapevo
        di essere io che passavo-una donna, pdrona
        di se stessa. La magra bambina che fui
        si è svegliata da un pianto non fosse mai stato.
        E desidero solo colori. I colori non piangono,
        sono come un risveglio: domani i colori
        torneranno. Ciascuna uscirà per la strada,
        ogni corpo un colore-perfino i bambini.
        Questo corpo vestito di rosso leggero
        dopo tanto pallore riavrà la sua vita.
        Sentirò intorno a me scivolare gli sguardi e saprò d'esser io: gettando un'occhiata,
        mi vedrò tra la gente. Ogni nuovo mattino,
        uscirò per le strade cercando i colori.
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          Scritta da: Kagib
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Non credere a quel che hai sentito.
          Non credere alle tradizioni solo perché
          si tramandano da generazioni.
          Non credere a nulla di cui si parli da molto
          tempo.
          Non credere ad affermazioni scritte solo
          perché provengono da un vecchio saggio.
          Non credere nelle ipotesi.
          Non credere nell'autorità dei maestri
          o degli anziani.
          Ma, dopo un'attenta osservazione e analisi, se ciò
          concorderà con la ragione e sarà di beneficio
          a tutti, allora accettalo e vivi in accordo
          con esso.
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            Scritta da: Ombra Nella Notte
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            De profundis clamavi

            Imploro pietà da Te, l'unica che io ami, dal fondo dell'anima in cui è caduto il mio cuore. È un universo tristissimo, dall'orizzonte plumbeo, e vi si muovono, la notte, l'orrore e la bestemmia;
            un sole privo di calore si libra sopra per sei mesi, gli altri se la notte copre la terra; è un paese più nudo della terra polare: né bestie, né ruscelli, né verde di boschi!
            Non v'è orrore al mondo che sorpassi la fredda crudeltà di questo sole di ghiaccio e di questa immensa notte simile al vecchio Caos;
            io invidio la sorte dei più vili animali, che possono inabissarsi in uno stupido sonno, tanto lentamente si dipana la matassa del tempo.
            Composta lunedì 14 febbraio 2011
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              Scritta da: Ombra Nella Notte
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il gatto

              Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
              trattieni le unghie della zampa,
              e lasciami sprofondare nei tuoi begli occhi striati
              di metallo e d'agata.
              Quando le dita indugiano ad accarezzare
              la tua testa e il dorso elastico
              e la mano s'inebria del piacere di palpare
              il tuo corpo elettrico,
              vedo la mia donna in spirito. Il suo sguardo
              come il tuo, amabile bestia,
              profondo e freddo, taglia e fende come un dardo,
              e, dai piedi fino alla testa,
              un'aria sottile, un minaccioso profumo
              circolano attorno al suo corpo bruno.
              Composta martedì 15 febbraio 2011
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Stupore

                Perché mai a tal punto singolare?
                Questa e non quella? E qui che ci sto a fare?
                Di martedì? In una casa e non nel nido?
                Pelle e non squame? Non foglia, ma viso?
                Perché di persona una volta soltanto?
                E sulla terra? Con una stella accanto?
                Dopo tante ere di non presenza?
                Per tutti i tempi e tutti gli ioni?
                Per i vibrioni e le costellazioni?
                E proprio adesso? Fino all'essenza?
                Sola da me e con me? Perché mi chiedo,
                non a lato, né a miglia di distanza,
                non ieri, né cent'anni addietro, siedo
                e guardo un angolo buio della stanza
                come, rizzato il capo, sta a guardare
                la cosa ringhiante che chiamano cane?
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Lirica antica

                  Caro, dammi parole di fiducia
                  per te, mio uomo, l'unico che amassi
                  in lunghi anni di stupido terrore,
                  fa che le mani m'escano dal buio
                  incantesimo amaro che non frutta...
                  Sono gioielli, vedi, le mie mani,
                  sono un linguaggio per l'amore vivo
                  ma una fosca catena le ha ben chiuse
                  ben legate ad un ceppo. Amore mio
                  ho sognato di te come si sogna
                  della rosa e del vento,
                  sei purissimo, vivo, un equilibrio
                  astrale, ma io sono nella notte
                  e non posso ospitarti. Io vorrei
                  che tu gustassi i pascoli che in dono
                  ho sortiti da Dio, ma la paura
                  mi trattiene nemica; oso parole,
                  solamente parole e se tu ascolti
                  fiducioso il mio canto, veramente
                  so che ti esalterai delle mie pene.
                  Composta venerdì 10 aprile 2015
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