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in Poesie (Poesie d'Autore)

Canto di chi rimane a casa

Restare a casa è un ordine
che non si discute,
ma da adesso in poi dovremmo essere
un poco più attenti a quelli che muoiono sul lavoro.
lo so che ora il problema è non infettare gli altri,
lo so che non è una banale influenza
quella che ci sta attraversando,
ma se dobbiamo temere la malattia
dobbiamo temerla sempre,
dobbiamo mettere pochi pesticidi nelle terre
e le industrie pochi veleni nel cibo e nell'aria.
e chi non è più amato
non può più uccidere la sua amante,
e si può essere ricchi
solo se non ci sono poveri.
Non voglio affiancarmi agli stupidi
per ogni volta che dici qualcosa
ti rispondo che il problema è un altro,
dobbiamo chiedere che dal prossimo autunno,
ogni governo, di destra o di sinistra,
si ponga il problema che vendere sigarette è vendere tumori
e vendere alcolici è vendere cirrosi.
Ora più che mai è un dovere di tutti stare bene
ma nel futuro deve essere anche un diritto:
se un futuro governo, come quelli passati,
toglierà soldi agli ospedali
per destinarli alle spese militari
sarà un governo di criminali.
Composta sabato 21 marzo 2020
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    Scritta da: Thanaty
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Or poserai per sempre,
    stanco mio cor. Perì l'inganno estremo,
    Ch'eterno io mi credei. Perì. Ben sento,
    in noi di cari inganni,
    non che la speme, il desiderio è spento.
    Posa per sempre. Assai
    palpitasti. Non val cosa nessuna
    i moti tuoi, né di sospiri è degna
    la terra. Amaro e noia
    la vita, altro mai nulla; e fango è il mondo.
    T'acqueta omai. Dispera
    l'ultima volta. Al gener nostro il fato
    non donò che il morire. Omai disprezza
    te, la natura, il brutto
    poter che, ascoso, a comun danno impera,
    E l'infinita vanità del tutto.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il sole e la lucerna

      In mezzo ad uno scampanare fioco
      sorse e batté su taciturne case
      il sole, e trasse d'ogni vetro il fuoco.
      C'era ad un vetro tuttavia, rossastro
      un lumicino. Ed ecco il sol lo invase,
      lo travolse in un gran folgorìo d'astro.
      E disse, il sole: - Atomo fumido! Io
      guardo, e tu fosti. - A lui l'umile fiamma:
      - Ma questa notte tu non c'eri, o dio;
      e un malatino vide la sua mamma
      alla mia luce, fin che tu sei sorto.
      Oh! grande sei, ma non ti vede: è morto! -
      E poi, guizzando appena:
      - Chiedeva te! Che tosse!
      Voleva te! Che pena!
      Tu ricordavi al cuore
      suo le farfalle rosse
      su le ginestre in fiore!
      Io stavo lì da parte...
      gli rammentavo sere
      lunghe di veglia e carte
      piene di righe nere!
      Stavo velata e trista,
      per fargli il ben non vista. -.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Non chiederci la parola

        Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
        l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
        lo dichiari e risplenda come un croco
        perduto in mezzo a un polveroso prato.

        Ah l'uomo che se ne va sicuro,
        agli altri ed a se stesso amico,
        e l'ombra sua non cura che la canicola
        stampa sopra uno scalcinato muro!

        Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
        sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
        Codesto solo oggi possiamo dirti,
        ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Elena (1848)

          Ti vidi una volta, una sola volta –anni fa:
          non voglio dir quanti – non molti, tuttavia.
          Era notte, di Luglio; e dalla grande luna piena
          che, come la tua anima, ricercava, elevandosi,
          un suo erto sentiero per l'arco del cielo,
          piovve un serico argenteo velo di luce,
          con sé recando requie, grave afa e sopore,
          sui sollevati visi d'almeno mille rose
          che s'affollavano in un incantato giardino,
          che nessun vento – se non in punta di piedi – osava agitare.
          E cadde su quei visi di rose levati al cielo,
          che in cambio restituirono, per l'amorosa luce,
          le loro anime stesse odorose, in estatica morte.
          Cadde su quei visi di rose levati al cielo,
          che sorridendo morirono, in quel chiuso giardino,
          da te incantati, da quella poesia che tu eri.
          In bianca veste, sopra una sponda di viole,
          ti vidi reclina, mentre che quella luce lunare
          cadeva sui visi sollevati delle rose,
          e sul tuo, sul tuo viso –ahimé, dolente!
          Non fu il Destino che, in quella notte di Luglio,
          non fu forse il Destino ( e Dolore è l'altro suo nome)
          che m'arrestò, davanti a quel giardino,
          a respirar l'incenso di quelle rose addormentate?
          Non un passo nel silenzio: dormiva l'odiato mondo,
          tranne io e te. M'arrestai, guardai
          e ogni cosa in un attimo disparve
          (Oh, ricorda ch'era un magico giardino! )
          Si spense il perlaceo lume della luna:
          non più vidi sponde muscose, tortuosi sentieri,
          i lieti fiori e gli alberi gementi;
          e moriva quel profumo stesso delle rose
          tra le braccia dell'aria innamorata.
          Tutto svaniva fuor che tu sola – una parte anzi di te:
          fuor che quella divina luce nei tuoi occhi-
          fuor che la tua anima nei tuoi occhi alzati al cielo.
          Quelli io vedevo e non altro – l'intero mondo per me.
          Quelli io vedevo e non altro – e così per molte ore-
          quelli solo io vedevo – finché la luna non tramontò.
          Quali selvagge storie del cuore erano inscritte
          in quelle celestiali sfere di cristallo!
          Quale fosco dolore! E sublime speranza!
          Quale tacito e pacato mare d'orgoglio!
          Quale audace ambizione! E che profonda-
          insondabile capacità d'amore!
          Ma disparve infine Diana alla mia vista,
          velata in un giaciglio di scure nuvole a ponente;
          e tu – uno spettro – tra i sepolcrali alberi
          ti dileguasti. Solo i tuoi occhi rimasero.
          Essi non vollero andar via – mai più disparvero.
          Quella notte illuminando il mio solingo cammino,
          non più mi lasciarono (come invece, ahimé,
          le speranze! ). Ovunque mi seguono, mi guidano
          negli anni. Sono i miei ministri – ma io il loro schiavo.
          Loro compito è d'illuminarmi, d'infiammarmi,
          e mio dovere è d'esser salvato da quella luce,
          in quel loro elettrico fuoco purificato,
          in quel loro elisio fuoco santificato.
          Mi colmano l'anima di beltà, di speranza –
          su nel cielo – le stelle a cui mi prostro
          nelle tristi, mute veglie delle mie notti;
          e nel meridiano splendore el giorno
          ancora io le vedo – due fulgenti e dolci
          Veneri, che il sole non può oscurare.
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            Scritta da: Ombra Nella Notte
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Il gatto

            Vieni, mio bel gatto, sul mio cuore innamorato;
            trattieni le unghie della zampa,
            e lasciami sprofondare nei tuoi begli occhi striati
            di metallo e d'agata.
            Quando le dita indugiano ad accarezzare
            la tua testa e il dorso elastico
            e la mano s'inebria del piacere di palpare
            il tuo corpo elettrico,
            vedo la mia donna in spirito. Il suo sguardo
            come il tuo, amabile bestia,
            profondo e freddo, taglia e fende come un dardo,
            e, dai piedi fino alla testa,
            un'aria sottile, un minaccioso profumo
            circolano attorno al suo corpo bruno.
            Composta martedì 15 febbraio 2011
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              Scritta da: Ombra Nella Notte
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              De profundis clamavi

              Imploro pietà da Te, l'unica che io ami, dal fondo dell'anima in cui è caduto il mio cuore. È un universo tristissimo, dall'orizzonte plumbeo, e vi si muovono, la notte, l'orrore e la bestemmia;
              un sole privo di calore si libra sopra per sei mesi, gli altri se la notte copre la terra; è un paese più nudo della terra polare: né bestie, né ruscelli, né verde di boschi!
              Non v'è orrore al mondo che sorpassi la fredda crudeltà di questo sole di ghiaccio e di questa immensa notte simile al vecchio Caos;
              io invidio la sorte dei più vili animali, che possono inabissarsi in uno stupido sonno, tanto lentamente si dipana la matassa del tempo.
              Composta lunedì 14 febbraio 2011
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Lirica antica

                Caro, dammi parole di fiducia
                per te, mio uomo, l'unico che amassi
                in lunghi anni di stupido terrore,
                fa che le mani m'escano dal buio
                incantesimo amaro che non frutta...
                Sono gioielli, vedi, le mie mani,
                sono un linguaggio per l'amore vivo
                ma una fosca catena le ha ben chiuse
                ben legate ad un ceppo. Amore mio
                ho sognato di te come si sogna
                della rosa e del vento,
                sei purissimo, vivo, un equilibrio
                astrale, ma io sono nella notte
                e non posso ospitarti. Io vorrei
                che tu gustassi i pascoli che in dono
                ho sortiti da Dio, ma la paura
                mi trattiene nemica; oso parole,
                solamente parole e se tu ascolti
                fiducioso il mio canto, veramente
                so che ti esalterai delle mie pene.
                Composta venerdì 10 aprile 2015
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