Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Marilù Rossi
in Poesie (Poesie d'Autore)

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi,
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.
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    Scritta da: Elisa Iacobellis
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Al chiar di luna

    Calma, calma questo cuore agitato,
    tu, notte tranquilla di luna piena.
    Troppe gravi preoccupazioni,
    più e più volte
    gravano sul mio cuore.
    Versa tenere lacrime
    Sopra brucianti pene.
    Con i tuoi raggi argentati,
    portatori di sogno e di magia,
    morbidi come petali di loto,
    o notte, vieni, accarezza
    tutto il mio essere
    e fammi dimenticare
    tutte le mie pene.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Supplica a mia madre

      È difficile dire con parole di figlio
      ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
      Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
      ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
      Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
      è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
      Sei insostituibile. Per questo è dannata
      alla solitudine la vita che mi hai data.
      E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
      d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
      Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
      sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
      ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
      alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
      Era l'unico modo per sentire la vita,
      l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.
      Sopravviviamo: ed è la confusione
      di una vita rinata fuori dalla ragione.
      Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
      Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile….
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Alla mia nazione

        Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
        ma nazione vivente, ma nazione europea:
        e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
        governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
        avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
        funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
        una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
        Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
        pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
        tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
        Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
        proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
        E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
        che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
        Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La quiete dopo la tempesta

          Passata è la tempesta:
          Odo augelli far festa, e la gallina,
          Tornata in su la via,
          Che ripete il suo verso. Ecco il sereno
          Rompe là da ponente, alla montagna;
          Sgombrasi la campagna,
          E chiaro nella valle il fiume appare.
          Ogni cor si rallegra, in ogni lato
          Risorge il romorio
          Torna il lavoro usato.
          L'artigiano a mirar l'umido cielo,
          Con l'opra in man, cantando,
          Fassi in su l'uscio; a prova
          Vien fuor la femminetta a còr dell'acqua
          Della novella piova;
          E l'erbaiuol rinnova
          Di sentiero in sentiero
          Il grido giornaliero.
          Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride
          Per li poggi e le ville. Apre i balconi,
          Apre terrazzi e logge la famiglia:
          E, dalla via corrente, odi lontano
          Tintinnio di sonagli; il carro stride
          Del passeggier che il suo cammin ripiglia.
          Si rallegra ogni core.
          Sì dolce, sì gradita
          Quand'è, com'or, la vita?
          Quando con tanto amore
          L'uomo à suoi studi intende?
          O torna all'opre? O cosa nova imprende?
          Quando dè mali suoi men si ricorda?
          Piacer figlio d'affanno;
          Gioia vana, ch'è frutto
          Del passato timore, onde si scosse
          E paventò la morte
          Chi la vita abborria;
          Onde in lungo tormento,
          Fredde, tacite, smorte,
          Sudàr le genti e palpitàr, vedendo
          Mossi alle nostre offese
          Folgori, nembi e vento.
          O natura cortese,
          Son questi i doni tuoi,
          Questi i diletti sono
          Che tu porgi ai mortali. Uscir di pena
          È diletto fra noi.
          Pene tu spargi a larga mano; il duolo
          Spontaneo sorge e di piacer, quel tanto
          Che per mostro e miracolo talvolta
          Nasce d'affanno, è gran guadagno. Umana
          Prole cara agli eterni! Assai felice
          Se respirar ti lice
          D'alcun dolor: beata
          Se te d'ogni dolor morte risana.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Continuità

            Nulla è mai veramente perduto, o può essere perduto,
            nessuna nascita, forma, identità - nessun oggetto del mondo,
            né vita, né forza, né alcuna cosa visibile;
            l'apparenza non deve ingannare, né l'ambito mutato confonderti il cervello.
            Vasti sono il tempo e lo spazio - vasti i campi della Natura.
            Il corpo lento, invecchiato, freddo - le ceneri rimaste dai fuochi di un tempo,
            la luce degli occhi divenuta tenue, tornerà puntualmente a risplendere;
            il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi;
            alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera,
            con l'erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il Vampiro

              Tu che t'insinuasti come una lama
              Nel mio cuore gemente; tu che forte
              Come un branco di demoni venisti
              A fare folle e ornata, del mio spirito
              Umiliato il tuo letto e il regno-infame
              A cui, come il forzato alla catena,
              Sono legato: come alla bottiglia
              L'ubriacone; come alla carogna
              I vermi; come al gioco l'ostinato
              Giocatore - che sia maledetta.
              Ho chiesto alla fulminea spada, allora,
              Di conquistare la mia libertà;
              Ed il veleno perfido ho pregato
              Di soccorrer me vile. Ahimè, la spada
              Ed il veleno, pieni di disprezzo,
              M'han detto: "Non sei degno che alla tua
              Schiavitù maledetta ti si tolga,
              Imbecille! - una volta liberato
              Dal suo dominio, per i nostri sforzi,
              tu faresti rivivere il cadaver
              del tuo vampiro, con i baci tuoi!"
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                La terra santa

                Ho conosciuto Gerico,
                ho avuto anch'io la mia Palestina,
                le mura del manicomio
                erano le mura di Gerico
                e una pozza di acqua infettata
                ci ha battezzati tutti.
                Lì dentro eravamo ebrei
                e i Farisei erano in alto
                e c'era anche il Messia
                confuso dentro la folla:
                un pazzo che urlava al Cielo
                tutto il suo amore in Dio.
                Noi tutti, branco di asceti
                eravamo come gli uccelli
                e ogni tanto una rete
                oscura ci imprigionava
                ma andavamo verso la messe,
                la messe di nostro Signore
                e Cristo il Salvatore.
                Fummo lavati e sepolti,
                odoravamo di incenso.
                E dopo, quando amavamo
                ci facevano gli elettrochoc
                perché, dicevano, un pazzo
                non può amare nessuno.
                Ma un giorno da dentro l'avello
                anch'io mi sono ridestata
                e anch'io come Gesù
                ho avuto la mia resurrezione,
                ma non sono salita ai cieli
                sono discesa all'inferno
                da dove riguardo stupita
                le mura di Gerico antica.
                Composta lunedì 30 marzo 2015
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