Poesie personali


Scritta da: Daniela Cesta
in Poesie (Poesie personali)

Tramonto d'autunno

Corro sul sentiero delle querce
per cercare di abbracciare l'autunno

respirare il soffio del vento, che fa rabbrividire
sussurri degli alberi che entrano nel cuore

nostalgia del verde estivo che non c'è più
a volte spezza il cuore di dolore,

nella tempesta tutti piangono, alberi, foglie, uccelli,
la vita che sembra che passi tra tinture maestose

la luce stinge in fretta, l'aria perde la lucentezza del colore
tutto sembra incerto e smorto, senza vita

tace la foresta sbiadita, sembra una pittura ormai vecchia
ma è solo un grigio tramonto d'autunno.
Composta martedì 23 ottobre 2018
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    Scritta da: Daniela Cesta
    in Poesie (Poesie personali)

    VIVERE L'AUTUNNO

    Camminando tra i colori autunnali
    respirando l'umore umido di rugiada e aromi
    poltiglia di foglie in terra, bagnate dalla pioggia

    tutto sembra chiuso in un ostinato silenzio
    nella calma, quiete, pace,
    dopo la tempesta di pioggia e grandine

    sentiero d'autunno illumina il cuore,
    mentre la mente trova pacatezza di pensiero
    contemplando il grigio tramonto

    nel nostro malinconico autunno,
    piano arriva la foschia nelle
    sue molteplici e dolci sfumature.
    Composta lunedì 22 ottobre 2018
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      Scritta da: Andrea De Candia
      in Poesie (Poesie personali)
      Nelle ceneri delle stelle apparse
      in una solitudine
      respingente sé stessa e numerosa
      il corpo incorrotto della luce,
      le sue pupille come delle suppliche
      che lacrimano giù nell'aria buia
      ch'è l'anima di tutti e di nessuno
      trovano forse il riposo di un sogno
      col riflesso sulla schiena del mare,
      che russa senza avere le narici.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        in Poesie (Poesie personali)
        Anche se buio è il mare come il cielo
        tu ti ricorderai dell'umiltà,
        ritirerai l'offerta della lampada
        e chiuderai la bocca alla tua porta,
        le imposte chiuse come orecchie aperte
        ad ascoltare tutto il sonno - dentro -
        questa preghiera - morte e solitudine -
        sappi che non è cielo di nessuno -
        che non c'è alcun pianeta al tuo di sotto
        e nemmeno uno sguardo che si innalza
        a scongiurare di essere salvato -
        e Lui non è diverso da te stesso -
        si fa Pietà, da tuo amante diventa
        la più misera madre - la più liquida
        delle sculture che fa solo il Tempo,
        Tempo, quel genio artista, Tempo stronzo,
        Tempo che ci molesta, con le mani
        ci tocca, ci stiracchia, ci stravolge
        i connotati più che sottilmente -
        ma sappi il sogno non è mai supino -
        Inferno che non poggia su un terreno -
        l'anima è nuvola di fumo - bluff -
        ti risvegli e la pelle si ritrova
        sulla sabbia di scheletri pestati -
        e vieni, vieni, vieni ora ti chiama
        quest'amante illusoria che risucchia
        ancora te nella sua inesistenza -
        liane di pupille in questa selva -
        il lutto pianta in faccia il suo colore
        senza pudore di luci stellari
        gettando i fazzoletti delle nubi
        nella pena del non aver cestino -
        ché questa è Eternità - il non riposo
        il non trovarlo mai e il non saperlo.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie personali)

          Dove sei?

          Qualcuno, l'eco della mia memoria,
          l'ha definito Dio ed ha condannato
          la libertà d'azzurro dello sguardo
          ad una sbarra unica di buio,
          dei finti pentimenti della luce
          che singhiozzano le loro ragioni
          ai tribunali infimi degli uomini,
          ecco, quello che sono queste stelle,
          non ti danno nessuna assoluzione,
          tu gridi nel silenzio e chi ti ascolta
          è il silenzio stesso seppellito
          nella tomba di un vento che non c'è
          "nello stanotte dell'eternità".
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie personali)
            Dire addio alla luce, e ché sia il nero
            il colore che illumini la vita
            questo lo sa nel sonno il senza sogno,
            lo sente e non lo può testimoniare
            nella sua solitudine abissale –
            s'aprì come oceanica voragine
            a separare il petto dalla schiena
            si trovò a navigare solo al centro
            senza potere arrivare alle sponde –
            che cosa vuole dire questa Luna
            che come ultima ostia viene offerta
            alla fame notturna senza labbra,
            al fedele che non è una persona,
            a un sacerdote che non può più esistere,
            la fase intera è la sua comunione –
            vive d'ossa la vita che si nega
            nell'aldiqua che al corpo pur prolunga
            il suo tempo di permanenza.
            In corso
            le esequie, il lutto il cielo lo ha vestito
            fino a cambiare colore di pelle,
            ma l'anima dell'aria è pur la stessa,
            incolore, impalpabile, sfuggente,
            trafitta, trapassata, già guarita
            dalla ferita di un passaggio insonne –
            O angeli vegliate su di me
            le lacrime remote dei riflessi
            mi cadano alla tomba che ora sono
            dice il mare col sussurro dell'onde –
            ma resta più profondo il suo segreto
            col suo seppellimento nella pace –
            strappate dalla cecità comune
            le stelle, gocce di cera consunta,
            resistenti al cadere fin nel fondo,
            custodite il ricordo col colore
            che ebbi e fui, posatevi all'ingresso –
            esso è la sola chiesa che rimane
            e non respinge alcun sguardo ascendente
            a trovare pietà nella carezza
            del suo palmo infinito, interminabile,
            prima di una Babele dimostrate
            nell'eterno presente di una lingua
            sulla pagina scritta ove parlate
            la sua preghiera – ch'è la sola acqua!
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie personali)
              Questo mare è un inferno di quiete
              non si vede la luce sotterrata
              e il suo colore è
              troppo profondo come il suo passato,
              quando il lutto si cala sul silenzio
              si raddoppia l'oblio
              di un volto mai esistito,
              lo sguardo è come fosse tutto il corpo,
              chiede un appoggio nel cielo - è un inganno
              che sia una vetta, eppure è in alto, è piana! -
              non c'è guancia, né palpebra, né mento,
              solo qualcosa che ricorda ciglia
              e pupille e il mio corpo
              costretto dentro a fare un passo indietro
              il petto mosso è un passo di scarpa -
              si corruga la fronte, il sopracciglio -
              la pena è questa eternità esibita
              palmi aperti a donare solitudini,
              la clessidra del tempo si è fermata,
              non c'è una fratellanza tra i granelli,
              si riconosce quello che fu il Sole,
              il firmamento è la sua autopsia,
              cenere che lo lascia lacrimare
              senza che cada scivolando piano,
              ed il riflesso è un po' l'ultima carta,
              è un dire tentennando, ma a sé stessi,
              vorrei morire, stendermi supino,
              voglio arrivare a fondo, io, discendere.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie personali)
                Sepoltura resuscitante in stelle,
                quando il lutto che unisce spazio e tempo,
                ben memore di sparpagliare luce,
                dà come di una rappresentazione
                di un pugno arreso in palmo che fa andare
                in continua discesa solo ceneri,
                coreografia delle solitudini,
                con l'applauso delle mani dell'onde,
                un sipario che a riva è di silenzio,
                e alle spalle è già il pubblico di sabbia,
                e sono io col vento a disturbare
                la mia venuta via, andata altrove.
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie personali)
                  Un dito che minaccia di silenzio
                  che si fa divorare dalle onde -
                  la cecità che diventa pupilla
                  onnipresente, abito di lutto
                  che senza più le lacrime di luce
                  dà l'idea d'accennarsi come pianto
                  su quelle cose appena sottostanti -
                  un cigno che si bagna, che scompare -
                  un canto materiale del colore -
                  l'ultimo biondo con le spalle al muro -
                  d'un azzurro morente di spavento -
                  ecco le nozze nere con la morte -
                  e la sposa del nulla che abbassò,
                  nel mostrarlo, il suo velo, con la luna
                  come ostia offerta alla voracità
                  di tutta una nessuna bocca fatta
                  dal tempo nello spazio - il lividore
                  di una ferita che era già crosta -
                  un riflesso fu un gemito di perla,
                  che gridò l'orfanezza dalla sua ostrica.
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