Scritta da: Andrea De Candia
Dire addio alla luce, e ché sia il nero
il colore che illumini la vita
questo lo sa nel sonno il senza sogno,
lo sente e non lo può testimoniare
nella sua solitudine abissale –
s'aprì come oceanica voragine
a separare il petto dalla schiena
si trovò a navigare solo al centro
senza potere arrivare alle sponde –
che cosa vuole dire questa Luna
che come ultima ostia viene offerta
alla fame notturna senza labbra,
al fedele che non è una persona,
a un sacerdote che non può più esistere,
la fase intera è la sua comunione –
vive d'ossa la vita che si nega
nell'aldiqua che al corpo pur prolunga
il suo tempo di permanenza.
In corso
le esequie, il lutto il cielo lo ha vestito
fino a cambiare colore di pelle,
ma l'anima dell'aria è pur la stessa,
incolore, impalpabile, sfuggente,
trafitta, trapassata, già guarita
dalla ferita di un passaggio insonne –
O angeli vegliate su di me
le lacrime remote dei riflessi
mi cadano alla tomba che ora sono
dice il mare col sussurro dell'onde –
ma resta più profondo il suo segreto
col suo seppellimento nella pace –
strappate dalla cecità comune
le stelle, gocce di cera consunta,
resistenti al cadere fin nel fondo,
custodite il ricordo col colore
che ebbi e fui, posatevi all'ingresso –
esso è la sola chiesa che rimane
e non respinge alcun sguardo ascendente
a trovare pietà nella carezza
del suo palmo infinito, interminabile,
prima di una Babele dimostrate
nell'eterno presente di una lingua
sulla pagina scritta ove parlate
la sua preghiera – ch'è la sola acqua!

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