Dire addio alla luce, e ché sia il nero il colore che illumini la vita questo lo sa nel sonno il senza sogno, lo sente e non lo può testimoniare nella sua solitudine abissale – s'aprì come oceanica voragine a separare il petto dalla schiena si trovò a navigare solo al centro senza potere arrivare alle sponde – che cosa vuole dire questa Luna che come ultima ostia viene offerta alla fame notturna senza labbra, al fedele che non è una persona, a un sacerdote che non può più esistere, la fase intera è la sua comunione – vive d'ossa la vita che si nega nell'aldiqua che al corpo pur prolunga il suo tempo di permanenza. In corso le esequie, il lutto il cielo lo ha vestito fino a cambiare colore di pelle, ma l'anima dell'aria è pur la stessa, incolore, impalpabile, sfuggente, trafitta, trapassata, già guarita dalla ferita di un passaggio insonne – O angeli vegliate su di me le lacrime remote dei riflessi mi cadano alla tomba che ora sono dice il mare col sussurro dell'onde – ma resta più profondo il suo segreto col suo seppellimento nella pace – strappate dalla cecità comune le stelle, gocce di cera consunta, resistenti al cadere fin nel fondo, custodite il ricordo col colore che ebbi e fui, posatevi all'ingresso – esso è la sola chiesa che rimane e non respinge alcun sguardo ascendente a trovare pietà nella carezza del suo palmo infinito, interminabile, prima di una Babele dimostrate nell'eterno presente di una lingua sulla pagina scritta ove parlate la sua preghiera – ch'è la sola acqua!
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