Poesie personali


Scritta da: Andrea De Candia
in Poesie (Poesie personali)
Combattere quest'analfabetismo,
l'ignoranza è una decomposizione,
il buio è tutto il sonno della cenere
che si raccoglie in ciglia, tutto l'animo
dorme in profonde più interiori altezze,
e lontana parente del suo volto
è la luna col cranio, quieta insonne,
scompare sul cuscino di una nube
chiude e riapre il suo occhio senza sosta
liquido il Tempo come fluttuante,
spume raddoppiano l'agitazione,
ma pur di non vedere il vuoto scendere
in mare, in terra, approfondirsi, Essa
vi si aggrappa come fossero zattere...
Ma qualcosa rimane nel passato,
la pelle che si spense poco a poco
in agonia di sangue col tramonto,
il contatto dell'acqua le appiccò
l'incendio che bruciava lentamente –
solo carboni, quest'oscurità –
s'alzò statica in scintille di ceneri –
ogni granello aveva la certezza
di non potere essere scomposto
in qualcos'altro ancora, riaffioravano
dal terreno del buio le sue palpebre,
i capolini delle sue pupille
ebbero nei riflessi una rugiada –
dalla tabula rasa dei colori
nella lettura di un testo già scritto
di parole consistenti in un'unica
lettera, ripetentesi infinita,
cominciò a riconoscere la luce,
materia prima di quest'universo,
dal banco, dove stava, della terra,
verso la cattedra, senza insegnante,
del cielo, nell'aula del suo pianeta.
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    Scritta da: Andrea De Candia
    in Poesie (Poesie personali)
    E questo risvegliarsi è un maledire –
    l'anima dello sguardo defluisce
    via, risacca, dalla costa dell'intimo –
    ebbe paura, gridò nel silenzio
    il tutto buio – finì per volerlo
    assuefatto, all'esterno, nella Notte –
    cosa congiura con il suo respiro
    con le sue dita, con il balbettio,
    alzò il capo, fece sì che vi fosse
    il ritorno del volto, congedò
    dallo sguardo celeste la sua nuca –
    il primo sonno per chi non può altro
    se non scendere giù e fargli toccare
    il fondo del pozzo in ogni asfalto –
    e in fila e folla, fiamme, quei lampioni –
    e l'insonne passante ch'è un dannato –
    le stelle, una minaccia della luce –
    oltre il suo ciglio, la pupilla ha al centro
    il sogno della lacrima nel lutto –
    un apice che discende obliandosi
    con dolcezza ormai estranea col riflesso –
    torce puntate su di te che aspiri
    animale notturno a compier crimini
    che tu stesso per primo non conosci.
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      Scritta da: Andrea De Candia
      in Poesie (Poesie personali)

      Notte

      Figlio perduto e Madre nel suo lutto,
      nell'unicum del cielo che si alterna
      in veste di colori azzurra e nera,
      pupilla dilatata in veglia insonne
      getta l'ombra sul dove fu sepolto,
      e piange ardendo lacrime di stelle
      che lo fanno risorgere da ceneri,
      miracolo di inconsapevolezza,
      fiamme accese di ceri già consunti
      balbettano in corale solitudine
      un incipit di preghiera che estingue
      in sparpagliate lontananze luce.
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        Scritta da: Andrea De Candia
        in Poesie (Poesie personali)
        Palpebra superiore che lo veglia,
        ciglio vestito in abito di lutto,
        il bianco ha il suo declino nell'argento,
        lo specchio frantumato, le sue rughe...
        L'aldilà è Tempo, Notte, il matrimonio
        i funerali della solitudine
        all'altare del centro, su nel cielo,
        ostia innalzata a sguardi provenienti
        da peccati di insonnia per la via,
        giunge la sposa ch'abbassa il suo velo,
        e nella sabbia oscura senza fondo,
        sballottata dalle onde delle nubi,
        dal nulla del loro esser stati corpi
        alle ceneri della sparizione,
        la tregua è l'urlo sfumante dell'ossa,
        cuscini senza fianco che galleggiano
        sonnambuli sul loro pavimento,
        perla naufraga in cerca della sua ostrica,
        la luce nelle sue doglie di raggi
        la partorì col sangue del crepuscolo,
        l'abbandonò, sola, orfana alla sorte.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie personali)
          Cadde suicida a seppellirsi il Sole,
          sembrò scegliesse il mare come tomba,
          ed era invece l'infinito nulla.
          E dalla cremazione del defunto,
          dal buio delle sue ceneri emerse
          con le stelle la carne ch'era allora
          fuoco ridotto all'ultime scintille,
          sogno che aveva sulla fronte Dio
          di nostalgia su palpebre abbassate
          e su pupille dilatate come
          a urlare nel silenzio il loro lutto
          di cecità, Madre che perse il cuore
          nel vedere, strappato, il proprio figlio
          all'aldilà degli abissi profondi,
          eppure allungò il corpo col riflesso,
          tremando accarezzò la superficie,
          volto si fece solo alla scoperta
          dell'apparire della nudità,
          il resto fu un coprirsi custodendosi
          nel lutto della sua veste di sonno,
          e nel pallore di un'insonnia eterna
          guardò allo specchio di uno sguardo umano
          sé stessa diventata già il suo cranio,
          pianta la pelle via dalle sue ossa,
          purificata come dal peccato.
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie personali)
            È una dilatazione di pupilla
            che si distende nel sonno agognato?
            È veglia di preghiera il firmamento?
            Le lacrime quel sogno delle esequie?
            È ciò che spera l'ateo nel tempo,
            nel suo spazio ch'è come fosse chiesa,
            porte aperte di un buio senza fine,
            la luna, ostia impossibile a raggiungersi
            per le labbra di un nottivago insonne?
            E ceri di inutilità infinita
            quasi fanno risorgere l'orrore
            della visione di una luce in pezzi,
            sillabe di una fede balbuziente
            in procinto di lasciarsi inghiottire
            dalle fauci di un buio di silenzio?
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie personali)
              Il buio in lutto non può perdurare
              nella sua eternità di distensione
              sulla terra della sua atmosfera,
              ovunque è occhio salvato all'oblio,
              pupilla ch'è rimossa dal suo sonno,
              guancia che lascia lenta scivolare,
              un insieme di stasi da mirare,
              e le stelle sono pause di lacrime
              che con un'insistita intermittenza
              fanno come rinascere la luce!
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                Scritta da: Rosita Matera
                in Poesie (Poesie personali)

                Migranti

                Nell'occhio del gabbiano
                il riverbero di una nave
                che sta per salpare,
                chissà per quali terre.

                Uomini e donne
                si affollano
                alle ringhiere del mondo
                per la vertigine che preme e non da tregua,
                per non cadere nel vortice del nulla.

                Mani libere
                per fare il segno della Croce,
                e poi un tuffo
                chissà per quali genti,
                chissà per quali giorni,
                chissà per quali luoghi,
                in cerca di un posto dove poter sostare
                per guardare il mondo senza fiato corto

                ... perché un uomo solo
                è un uomo perso,
                perso e solo in mezzo al mare,
                in mezzo agli altri,
                in mezzo al nulla,
                con la paura di parlare troppo forte,
                di guardare troppo fisso,
                di stare al centro di un mondo
                che guarda ma non vede,
                sente ma non ascolta,
                che possiede tutto
                ma non sa dare un valore
                a vite in sospeso che non fanno rumore,
                tra la folla che giudica ma non con conosce
                i moti dell'anima e le sue angosce.
                Composta martedì 5 giugno 2018
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