Poesie personali


Scritta da: ILARIO
in Poesie (Poesie personali)

Il silenzio

Il silenzio racchiude
L'estasi di un momento
L'essenza del Creato.
Fai tacere la Mente
Limita il pensiero
Evolvi dentro.
Apri il tuo Cuore
Fai che trabocchi di Luce.
Guarda con gli occhi di un Bimbo L'orizzonte
Spingi lo sguardo oltre il tuo cielo
Dietro di esso si nasconde l'immensità
Dove il principio e la fine si mescolano in un arcobaleno di colori.
Composta sabato 27 novembre 2010
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    Scritta da: Salvatore Coppola
    in Poesie (Poesie personali)

    Ho perso

    Bevo l'amore in un calice d'oro
    l'essenza di un cuore trafitto dal tempo
    mi duole il ricordo di un truce pensiero
    l'incanto dissolto dal gelido vento.
    La notte faziosa, confonde la mente
    sconfigge la tregua nell'anima il pianto
    ho perso in amore, ne prendo coscienza,
    tra luci e bagliori del giorno nascente.
    Composta mercoledì 24 novembre 2010
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      Scritta da: Nello Maruca
      in Poesie (Poesie personali)

      Il patimento

      In quel quarantatré, dai suoi albori
      di quante tristi cose furon'orrori,
      quante anormali cose ebber processo
      tutto in memoria bene m'è impresso.
      Per quanto m'opri e sproni l'intelletto
      su carta, certo, non può esser detto
      quel ch'ho vissuto e con mio occhio visto
      in quel periodo nero, infame e tristo.

      Aleggiava miseria tutt'intorno
      e pane non era più in nessun forno;
      grano non era né farina o pasta
      e pochi i viveri distribuiti a testa.
      La tessera donava misero diritto
      ad accedere a poco, grame vitto;
      la fame in ogni dove era perenne,
      da sofferenza vecchio era trentenne.

      Prodotto non donava più la terra;
      era periodo tristo, era la guerra!
      Manco erba era agli argini di via
      ch'er'estirpata che nascesse pria.
      Di medicina, poi, non era traccia
      e il patimento si leggeva in faccia.
      V'era, soltanto, del poco chinino
      che scarso lo teneva il tabacchino.

      Nessuno al piede più avea calzare,
      nessuno panni aveva da indossare.
      Occhio scavato, zigomo sporgente,
      testa cadente, sguardo triste e assente.
      Scalza la donna, macilenta e stanca
      di cenci avea coperto spalla e anca;
      gobba teneva e non avea vent'anni,
      curve le spalle per i molti affanni.

      Ovunque era sporcizia, era lordura,
      di scarafaggi piena ogni fessura;
      di cimice e di mosche era marea,
      pulci e pidocchi ahimè! Ognuno avea.
      Necessità del corpo fisiologica
      soddisfava in vaso di ceramica
      la donna, il maschio, con corruccio
      di cesso ne faceva ogni cantuccio.

      Mesta sonava la campana a lutto
      per annunciare della guerra il frutto;
      quel tocco come freccia il cuor passava,
      piangea la donna, ahimè, chi non tornava.
      Per quella guerra dal passo stanco e lento
      altro Virgulto risultava spento
      e la speme che nutria la giovinetta
      era infilzata dalla baionetta.

      Di fame sofferente e di stanchezza
      gente che perso avea casa e ricchezza
      giungeva con scarsi panni addosso
      ch'al sol vederla umano era commosso.
      Siamo sfollati, venivano dicendo,
      veniamo da lontano, veniamo da Trento.
      Avevamo mestiere professione e arte
      delle vostre miserie deh! Fateci parte.

      Dacché la guerra su nostra Terra regna
      destino cattivo i nostri animi segna;
      dacché l'odio è calato come lampo
      manco nella preghiera avemmo scampo.
      E noi, che poveri eravamo non meno d'essi
      in un abbraccio a loro stemmo commossi,
      le nostre alle loro lacrime mischiammo
      e l'un con l'altro un solo corpo fummo.

      Di militi a cavallo e giacca a vento
      era un esteso, grand'accampamento.
      Militi stavano a guardia per cancello
      e avevano disloco in area Polpicello,
      Portavano divise lacere a stellette
      e a pranzo sgranavano gallette
      con poco vitto ch'era in scatolame,
      per appagare i morsi della fame.

      In questo quadro triste e desolante
      v'era qualcosa, però, di sublimante.
      Era quel canto che s'innalzava al cielo
      da dentro le baracche a verde telo.
      Gl'inni di Patria che i militi intonavano
      con orgoglio pel cielo veleggiavano
      e nell'udirli: Grandezza del Divino!
      Non era fame, nemmen tristo destino.
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        Scritta da: Nello Maruca
        in Poesie (Poesie personali)

        Fatina

        Per caso t'incontrai in quel paese
        ove mai pensato avrei m'innamorassi
        quando saltavo tra quei fossi e sassi
        e, lesto, preparai il mio maggese.

        Trascorso abbiamo già cinque cinquine,
        di cinquina la sesta già cammina
        e tu rimasta sei quella Fatina
        ch'io intravidi quel dì tra le tendine.

        In questi cinque già passati lustri
        migliore non potevi farmi dono:
        Gioielli son dal viso dolce e buono
        quei cinque che donato m'hai di Astri.

        In quest'anni di mutato hai solo gl'anni.
        Per il resto sei com'eri: Dolce e buona
        com'allora, dolce sei tuttora e buona
        e mutato manco t'hanno i grand'affanni.

        In trent'anni andati via divenuta
        sei maestra di bontate e di dolcezza,
        nell'alma tua c'è sempre giovinezza
        e resti la Fatina che giammai muta.

        Tanta tristezza mi riempie il cuore
        il ricordo dei dì passati invano
        quando tu, dolce com'ora, piano piano
        mi donavi te stessa a tutte l'ore.

        Sol mi consola l'accresciuto affetto
        e par che le colpe un poco sminuisce
        perché, per te, l'affetto non svanisce
        ma rafforzar lo sento nel mio petto.

        Or mio è il tuo male se malata sei,
        se piangi tu, nel cuore lacrim'anch'io,
        se stanca sei, ahimè, stanco son io,
        contento son pur'io se tu contenta sei.

        Tanto m'hai dato e tanto poco ho dato!
        Ah! Se potessi indietro ritornare
        amor d'amore tornerei ad amare
        e sempre più vicino ti starei,
        come al padrone il cagnolin fidato.
        Composta mercoledì 30 novembre 1988
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          Scritta da: Nello Maruca
          in Poesie (Poesie personali)

          L'Angelo

          In quel prato verdeggiante dall'odore
          di bianco giglio, all'ombra di due tigli
          son gioiosi quattro teneri germogli
          che bellezza e candore tengono
          più dei miglior fiori. Non son rose, nemmanco
          gigli, sono gioie, amorevoli son figli.
          Ma in un dì assai funesto tutto tosto
          divien mesto per volere della dea
          matta che al focolare dei giusti buoni
          pene dona, dolori e guasti.
          Là, nel mezzo di una siepe di quel lieto
          orto virente si spalanca all'improvviso
          una gola nera e fonda che una Gioia
          ingoia e scaglia nelle viscere profonde.
          Lestamente si richiude e la Gioia
          nella melma con vigore affonda
          e schiaccia e la stritola e affoga.
          Lento, sotterra, scorre fiume silente
          e l'inerte Spoglia in se, in un abbraccio,
          accoglie. Senza sbalzi, quietamente,
          la trasporta dolcemente e la dondola
          e trastulla come mamma bimbo in culla.
          Soavemente la quiet'onda l'accarezza
          e con amore fuor da terra, indi, la pone
          sulla spiaggia in faccia al sole
          che al contatto del calore divien Stella
          e in Cielo si trova. Dalla veste lunga
          e bianca un Arcangelo l'affianca
          e per la lustra Via al cospetto la conduce
          di Colui ch'è pace e luce. Un sol bacio,
          un sorriso ed è Angelo in Paradiso.
          Dalla Reggia dei Beati spande luce
          agli assetati e invita con ardore
          a ber l'acqua del Signore. A quei Tigli
          tanto cari stanchi e privi di vigoria
          li incoraggia e sorregge carezzando
          i cuor dolenti col sorriso dell'angelico
          suo viso, lo splendore dei begl'occhi,
          la dolcezza e il candore dell'immenso
          gentil cuore ch'elargisce gioia e amore.

          O, tu mamma triste e pia sii più forte,
          sii qual Maria. Pensa solo che sto in pace
          e che assieme alle altre Stelle sono
          luce al firmamento. Se tu guardi il Cielo
          a sera una Stella più lucente
          si riflette nei tuoi stanch'occhi. Quella Stella,
          mamma, son io che per te prego il buon Dio.

          A te, padre mio adorato, sofferente
          e addolorato, non star triste: Vivo
          in Casa dei Beati ch'è accosta
          ai Santificati. Tutto è pace,
          tutto è quiete, tutto splende, tutto tace.

          Tu che in terra fosti pria la lucerna
          di mia via perché hai perso il luccichio?
          Non sai tu, o sposa mia, che sto in Cielo
          per le vie? Non sai tu che il Loco Sacro
          ho raggiunto del Gran Padre? Il tuo uomo
          più non sono, son di più, molto di più:
          Sono l'Angelo custode che ti guido,
          ti consolo e son teco in ogni dove.
          Composta giovedì 30 novembre 2006
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            Scritta da: Nello Maruca
            in Poesie (Poesie personali)

            Rimpianto

            Perché non torni mamma a far la mamma?
            Perché non riedi a noi addolorati
            E ai piccoletti far la ninna nanna?
            Perché rest i lontana dai tuoi amati?

            Da quando ti partisti, o dolce mamma,
            Il focolare in casa è sempre spento.
            Nessuno attizza più la rossa fiamma
            Dacché verificato è il triste evento.

            Quando ronzavi in casa era un incanto;
            nessuno gioca ora né suona e ride
            e gli occhi son velati e sempre in pianto;
            cotanta tristezza mai alcuno vide.

            Vengo là dove giaci, pel saluto,
            E più triste ritorno all'abituro
            Perché al mio saluto il tuo è muto.
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              Scritta da: CINELLA MICCIANI
              in Poesie (Poesie personali)

              Un fuoco eterno

              Sei qui
              stretto forte a me.
              Mi tieni tra le braccia.
              Il tuo sguardo mi chiama.
              Le tue mani mi sfiorano.
              Sento il tuo respiro su di me.
              M'abbandono alle carezze.
              Ansante m'attiri a te.
              Le tue labbra avide
              cercano le mie.
              Ogni mia fibra
              risponde al tuo richiamo.
              I tuoi baci
              sempre più ardenti
              suggellano un grande amore.
              Le nostre anime si fondono
              in un unico respiro.
              Hai acceso un fuoco
              che brucerà in eterno.
              Composta domenica 28 novembre 2010
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                Scritta da: Carlo Peparello
                in Poesie (Poesie personali)
                Smetto di appartenere al mondo
                come fosse un vizio corrosivo
                È una questione di certezze mancate
                Mai biasimare chi sfida le fiamme
                Potrai sempre ricordarmi per come non sono
                Un'ombra inquieta che chiede scusa a se stesso
                Non capiterà più che venda la vita al mercato nero
                Preferisco discernere i traguardi dalle soddisfazioni
                Incontrare lo sconosciuto della strada deserta
                Fissarmi sul solitario zampillo di una fontana in disuso
                Dimenticato mausoleo dell'infanzia coperta di fogliame
                Non è tristezza che richiama l'ennesimo autunno
                ma l'eco di uno spirito che ho addormentato senza canzone
                Seguitemi voi che battete le mani a chi parla leggendo
                Non sono verità quelle scritte da altri
                ma solo prospettive abbandonate.
                Composta domenica 28 novembre 2010
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                  Scritta da: Antonio Prencipe
                  in Poesie (Poesie personali)

                  Urlerò

                  Aaaah
                  voglio urlare,
                  si voglio urlare,
                  ho voglia di piangere ancora,
                  di ammazzare il vento,
                  voglio soffocare il dolore
                  in quei dannati e bastardi attimi di felicità
                  che hanno sfiorato la mia esistenza,
                  cosa serve vivere se non si ha
                  più sogni da poter o dover raggiungere?
                  Volevo fermarmi qui,
                  volevo togliermi la vita qui
                  come foglie secche nel fuoco maledetto
                  e crudele io volevo frantumare
                  tutto ciò che restava del mio strano vivere
                  su questo pezzo di terra calpestato
                  da angeli e fulmini truffatori
                  d'amore e destinazioni.

                  Che senso ha?
                  Che vita è questa qua?

                  Ho amato senza pietà
                  ho perso tutto senza pietà,
                  sono ancora qui e vivo,
                  si vivo ma ho pagato il conto
                  e non sono riuscito ancora a ricevere la fattura.
                  La mia fragilità è finita nel cesso
                  insieme alla mia sensibilità
                  che per molti anni ha reso schiava la mia vita
                  nell'eterna e triste insoddisfazione
                  alla ricerca di abbracci rinchiusi nelle prigioni
                  della sera depressa,
                  troppe maschere ho indossato
                  troppe volte ho trattenuto lacrime e diamanti
                  che dai miei occhi volevano scappare via.
                  Per strada, fra la gente un cane mi osserva,
                  rivedo i sorrisi, le paure
                  rivedo me stesso,
                  domani tornerò nella mia vita
                  spaccherò il mondo un'altra volta
                  e per sempre piangerò, sorriderò
                  senza vergognarmi
                  della mia anima pura, sacra e vittima d'amore.
                  Composta domenica 28 novembre 2010
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                    Scritta da: Gennaro Keller
                    in Poesie (Poesie personali)

                    Amare

                    Amare è andare insieme
                    camminando piano
                    per arrivare dopo.
                    Amare è guardarsi in trasparenza,
                    è stare al buio
                    parlandosi senza parole.
                    Amare è cercarsi,
                    è sorridere senza ragione,
                    è essere in due in un deserto affollato.
                    Amare è sapere quello che l'altro pensa,
                    è dare quello che l'altro vuole,
                    è chiedere senza pretendere,
                    è vedere con gli stessi occhi.
                    Amare è ubriacarsi insieme,
                    è ritrovarsi per i Campi Elisi
                    e venirsi incontro sorridendo.
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