Scritta da: Sir Jo Black
in Poesie (Poesie personali)
Ogni goccia
Ogni piccola,
dolce goccia
evapora presto
lasciando scorrere liquido
il resto del tempo
amaro...
Poi insapore.
Composta giovedì 24 febbraio 2011
Ogni piccola,
dolce goccia
evapora presto
lasciando scorrere liquido
il resto del tempo
amaro...
Poi insapore.
Quando arrivi alla felicità
significa che ne hai passate tante,
che ti sei odiato, che hai pianto...
Ma anche che ti sei perdonato
ed hai imparato dai tuoi errori...
Significa che hai lottato per ottenerla,
significa che nel tuo piccolo... Ce l'hai fatta!
Ti lascerò piccoli
avvii di un pensare d'amore
che tramortisca
la ragione...
E ti parlerò
dei sogni che nascono,
dei respiri che accarezzano...
Non lascerò nulla d'intentato
e convincerò ogni soffio
ad essere la mia mano
sulla tua fronte
corrugata...
Non potrai nascondere
sobbalzi nell'avvertire
il mio richiamo,
non potrai ritrarti
ai solleciti di un eco...
e sarai così immerso
in un ricordare parole,
in un rivedere labbra,
in un sentire suono
che era voce
di sentimenti pur distanti.
Ti lascerò in un limbo
di vicinanza interiore
ed io sarò lì a scoprire
il cielo nel tuo sguardo.
Cagliostro, Cagliostro...
ma come è successo?
La Noia, la Noia!
La noia imperversa!
Devasta e distrugge
la noia diffusa,
la noia confusa
alla vita, la vita confonde
diffonde terrore:
la Noia e l'Orrore!
Gli orrendi tuoi sogni
all'umana natura
- dolore e paura! –
si fanno realtà.
Le gocce che piovono fitte
cadendo scoppiettano a terra,
tintinnano allegre tra loro.
Pozzanghere nascono svelte
tra i dossi di strade scoscese,
sorridono cerchi perfetti.
Rimbomba il dispetto d'un lampo,
gioiosa s'accende una nube,
percorre un tremore la terra.
Il vento attraversa le nubi,
poi passa attraverso le gocce,
un brivido porta al mio cuore.
Distesa immensa d'azzurr'acque
che l'uman'occhio non discerne fine
ché al ciel che sovrasta non trova confine
mai duoma d'uomo, ch'anzi sempre soggiacque
a tua possanza, mano divin ti mena
ch'innalza l'onde e infrange sulla rena,
con fragor le riporta nel tuo seno
e, come se grembo fosse troppo pieno
le confonde, le avvolge, le sparpaglia,
le compatta, le invola come vento paglia,
con vigor le rigetta sulla spiaggia
e tutt'intorno è nugolo di pioggia.
Di superficie pianeggiante e liscia
come prat'erboso dove capra pasce
ricca nel fondo di mollusco e pesce
custode, pure, di crostaceo e bisce.
Abitatori, nel ventre, mostri marini
culli come in seno mamma bambini.
Li trasporti dall'uno all'altro lido
pari rondine verme al proprio nido.
Prodiga nel dare gioia e contento
rallegri umanità piccola e grande;
l'onde sen vanno al ritmo del vento
ponendo a spiaggia altalenanti fronde
divelte d'intemperia alle madri piante.
Al pari delle gioie che son tante
di dispiaceri l'umanitade inondi
e quelle ch'eran pria carezzevol'onde
brute divengono in un sol'istante,
né suppliche odon, mai, né lamenti,
né grida le scuotono e nemmeno pianti,
seminano lutti senz'alcun compianto.
Nessuno su di esse ebbe mai vanto.
Mare! Del Globo in ogni terra vivi,
i fiumi tutti raccogli e in grembo
porti e sempre stesse emozion rivivi
sia che balena carezzi o pesce rombo.
Mare possente! Che le fort'onde, sulla
spiaggia, schiumeggianti abbatti;
mai cosa al mondo, niuno e nulla
osato pensare han mai che ti combatti.
Spengi perfino gl'incendiari razzi
che repentinamente annienti e abissi.
Mai tema avesti d'uomini e di mezzi
contro ogni cosa e ognuno segni successi.
Or burrascoso sei ed ora quieto,
ora nervoso appari ed or disteso
e i pesci pasci senz'alcun divieto,
natanti porti di gran mole e peso.
L'orca gestisci dal vorace istinto
com'anco l'alice a cattiveria non usa.
Alla Sirena dal divino canto
tua porta, da sempre, lasci schiusa.
Bellezza tant'è in te, mare divino!
Somiglia il tuo splendore a bel giardino.
Mi trovavo, di mattino, al Municipio
giacché sbrigar dovevo un'incombenza;
di botto fui d'ergumeni in corto spazio
che perso aveano il senso della decenza.
L'un volgarmente all'altro si scagliava
mentre quell'altro, in urla, bestemmiava;
l'uno del ladro dava al suo collega
l'altro parea avere gusto a brutta bega.
L'uno la Benemerita invocava
l'altro, la strozza, d'un balzo afferrava;
quello di stazza grossa ed imponente
rendea quell'altro nullo ed impotente.
Fortuna l'ali stese, in quel frangente,
giacché trovavansi vigorosa gente
che, il piccolo sollevava con veemenza
e al bisonte entrava in colluttanza.
Ed or, ciò detto, pure il mio pensiero,
mi si consenta esponga: Degrado
peggiore esser non potrebbe se al guado
d'aspettar il collega l'altro n'è altero:
Miserabili, di cordata, furon compagni
per conquistare un umile sgabello
e non disdegnaro neppur loschi convegni
amando coda di leone a capo d'agnello.
Di bega e lascivia la gente non ha usanza,
nel rispetto di legge vuole governanza;
necessita, d'amministratori, vera presenza
che alla comunità dia rispondenza.
Uomini, quindi, di governo degni
di rispetto intrisi, non di sdegni,
ch'abbiano per sol fine bene comune
e interessenze mai, giammai niune.
Chi della cosa pubblica ha la reggenza
non stia un letargo e misera temperanza;
s'adoperi a togliere crosta e indecenza,
dimostri ancor fermezza e sua prestanza
pur senza dare sfogo all'impazienza.
Ridoni al popolo suo persa speranza,
fà che ripudio non tocchi comunanza
e designi il consigliere per competenza.
Dolce per l'aria un suono va vagando
l'orecchio armoniosamente deliziando,
come del mare l'onda fluttuante
ora anelante, or più pacatamente.
Carezzevole un canto l'accompagna
dal villaggio, pei boschi, alla campagna
da zeffiro, piacevolmente, sostenuto
come bianco Angelo in ali convenuto.
Vecchio canuto dagli occhi penetranti,
barba a peli bianchi, mani tremanti,
faccia triste e stanca, espressione mesta,
la testa tra le mani, pensoso, resta.
Ripensa al tempo andato, per l'anima
sprecato, ritorna agli anni d'oro, rivive
le ballate, le serenate ch'ora non sublima,
i dolci canti, i suoni, le passioni estive.
Suo comportar calato l'ha nel fondo,
i dolci suoni che in aria mena i venti
gli anni addolcendo, orecchi carezzando,
per gl'anni ch'ora compie, sono strazianti.
Chi l'animo ha deterso d'ogni ruina
e dell'altrui bene ha fatto sua dottrina
sol egli letificare può del festeggiare
giacché in petto è amore a spazieggiare.
Altri non può, l'animo ne ha rigetto;
percorso non ha la via dal passo stretto
che dritto mena al benevolo cospetto
di Chi, per noi, trafitto ha il Santo Petto.
Virili
ragazzi e ragazze
prestanti, belli, sani
viventi all'Alien, Holliwood, Paparazzi
in luoghi della "bella vita"
vomitanti cultura vuota
ci si accatasta
con libertà e benestare
conformando la nostra speranza
a quella mostrata dagli altri
e a loro mostrata di volta
bevendo ceres, sorseggiando heineken
tracannando vodka
cestinando il tempo in una cosa forzata.
Ci potrai trovare al bancone, dietro al culo
di qualche puttana vecchia a quattordici anni
nei bagni socchiusi a sniffare bicarbonato
mischiato con ostie nuove
O in angoli delle strade o nei parchi
a rigettare la nostra esistenza
su un altare di bile dai mille colori
Bambini e bambine
forti, indomiti, immortali
in astinenza d'affetto
tutti
Provare qualcosa di nuovo
per compiacere qualcun altro
Il credo
Nessuno nel cerchio
si permette di seguire
motivazioni diverse
spaventati, atterriti dal sentirsi derisi
di perdere quella sacrale popolarità
in una cantilenante presa per il culo
come iene e sciacalli in cerca di carcasse
alla rincorsa di una gioia sconfitta in partenza
Non siam ancor nati
poiché non partoriti
Indifferenti a noi stessi
occorre far tutto per farsi accettare
e non per sfizio, per incessante ricerca
di qualcosa nuova, di nuova conoscenza
Non stufi di vita
ma stanchi
indifferenti
a se stessi e mai agli altri
che anch'essi son stanchi di sé
così spaventati e urlanti, tremanti
Martiri di una lezione
di una storia sbagliata
Vili.
Maldicenti delle altrui anime
attraversano l'andare
vipere nere
sibilando gentili.
A staccar pezzi di vita
pietose e consigliere
strisciano dentro il cuore.
Avvolgono la mente,
spira a spira,
carezzandola.
Poi,
dietro la nuca,
il morso...
Il veleno si spande...