Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

La rosa tarda

Le bionde Grazie schiusero
Al ghirlandato aprile
Le verdi porte, e mancavi
De' fiori il più gentile?
     Con le sue mani ambrosie
L'innamorata Aurora
Dal Cielo umor freschissimo
Per lui non sparse ancora?
     Tu, fior splendente e semplice
Come la mia vezzosa,
Tu fra le spine floride
Ancor non spunti, o Rosa.
     Mentre vedeati sorgere
Il gajo Anacreonte
Inni t'ergea cingendosi
Di te la calva fronte.
     E in mezzo a danze e giubilo
L'altrui chiamava aita
Onde cantar tua morbida
Foglia agli Iddii gradita.
     Tu sei trofeo di tenere
Grazie, sei giuoco, o Rosa,
D'amor nei giorni floridi
A Citerea scherzosa.
     E che fia mai d'amabile
Senza il bel fiore? infine
Le Ninfe han braccia rosee,
L'Alba le dita e il crine.
     Così cantava il vecchio
Tejo poeta; Amore
Dettava i carmi, memore
Di te suo caro fiore.
     E a noi sei caro: immagine
Tu delle guance sei
Di Lei che tien l'imperio
Su tutti gli atti miei.
     Di Lei che bella e fulgida
In sua bellezza or viene,
Che con un sguardo sforzami
Baciar le mie catene.
     Ma sorgi ormai, purpuree
Bel fiorellino, sorgi;
Tu alla mia dolce vergine
Gaja ghirlanda porgi.
     Su le sue chiome d'auro
Tanto sarà più vaga
Quanto vicino al latteo
Seno che gli occhi impiaga.
     Deh! sorgi, o fior! l'armonico
Plettro ch'Amor risuona
Da tuo fragranti foglie
Gentile avrà corona.
     E a questo sen medesimo
Io ti porrò, bel fiore,
Come verace effigie
D'un innocente core.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    L'addio

    Or tra i romiti boschi
    Men vo, ma porto scolto
    Il tuo vezzoso volto
    In mezzo a questo sen.
    Fida ti serba: addio,
    Tenera Cloe, ben mio,
    Ah! D'un fedele amante,
    Cara, rammenta almen.
    Gorgheggeran gli augelli
    Fra l'inquïete frondi;
    O cara, ove t'ascondi?
    Io griderotti allor.
    Ah! mi parrà ogni cosa
    L'amica mia vezzosa,
    Ma tu rammenta almeno
    Il più fedele amor.
    Verrassi un venticello,
    E con pietosi giri
    Dirammi: Son sospiri
    Questi del fido ben.
    Ma fuggirà l'inganno,
    Sospiri non saranno;
    Chè forse non rammenti
    Il nome mio nemmen.
    Pastori e forosette
    Verran con faccia lieta,
    E al primo lor poeta
    Diran: Deh! Canta amor!
    Io mescerò frattanto
    À mesti versi il pianto,
    Ma tu rammenta almeno
    Un infelice ardor.
    Se nol rammenti, ah! Cloe,
    Rammentati ch'Amore
    È meco a tutte l'ore,
    E squarciami ogni vel;
    Dirà se tu sè amante,
    Dirà se sè incostante,
    E dir saprà se ognora
    Tu mi sarai fedel.
    Ma di te, dolce amica,
    Stolto, diffido invano,
    Chè benché in suol lontano
    Mi serberai nel sen.
    Cos'io ti serbo. Addio,
    Tenera Cloe, ben mio:
    Ah! Del più fido amante,
    O Cloe, rammenta almen.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La sorpresa

      Odi de' versi miei,
      O pastorella, il suono,
      E ti prometto in dono
      Un nastro porporin.
      Venne fra' boschi tuoi
      A soggiornar la bella?
      E lei, se a lei saltella
      Vicino un agnellin.
           Conoscer tu la puoi
      Dalle sue biondo chiome...
      Ma dir vorresti: E come
      Vestita qui sen va?
      Odi: qual te s'ammanta
      D'un gonnellin leggiero,
      Chè lascia il fasto altero
      All'invida città.
           Ha leggiadretto il labbro,
      Neri e focosi i lumi,
      Ha placidi i costumi
      E gli atti al par di te.
      Già la conosci: or vanno
      A lei correndo, e dille:
      Fille, vezzosa Fille,
      Elpin ti chiama a sè.
           Elpin? dirà... Sì Elpino,
      Tu le rispondi, e ascoso
      Là fra quel bosco ombroso
      Te sola attende Elpin.
      Vanne: già udisti quanto,
      O pastorella, aspetto,
      E in dono ti prometto
      Un nastro porporin.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        L'inchiesta

        Il Fratellin vezzoso,
        Sempre tu piangi, ei dice;
        Tenera età felice
        Che non conosco amor!
             Ma ben verran quegli anni,
        Che il Fratellin vezzoso
        Non troverà riposo
        Nel passionato cor.
             Quel roseo volto, i guardi
        Sì vivi e sì innocenti
        Li mirerò dolenti
        In atto di pietà.
             Allor dirò: i miei pianti,
        Quand'eri pargoletto,
        Eran d'amore effetto,
        Effetto di beltà.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La coltura

          Non de' cantati secoli
          Invidio i giorni aurati:
          Purché tu il voglia, vivere
          Potremo i dì beati.
               Tu m'ami, io t'amo; un docile
          Legame ambo ci annoda;
          Tu me non credi instabile,
          Da te non temo io froda.
               Così gioia con Melide
          Il Pastorello un giorno
          Clio per sentiero incognito
          La trasse a rio soggiorno.
               Ma deh! ch'il puoi, l'immagini
          Lascia di moda, e ognora
          Sol di piacer desidera
          A chi solo t'adora.
               Bella tu sei, più candida
          Non fin che tu sia mai,
          S'anco ti desse Cinzio
          I fulgidi suoi rai.
               D'Amor, di Fe, di Venere
          Antica è pur la face,
          Ma nuova è ancor che amabile,
          E nuovo è ciò che piace.
               Mentre, il cantor di Cintia
          Seco ad amar l'invita,
          Le dice.- Amor è semplice,
          Odia beltà mentita.
               Negletta è ver, ma lucida
          La chioma è di Nerea;
          Tu incolta sembri Pallade,
          Colta non sembri Dea.
               Cresce la rosa, e innostrasi
          Fresca da sè soltanto;
          Più dolce è senza artefice
          Degli augellini il canto.
               Pari alla Dive olimpie
          Elena ergea la chiome,
          Ma ognor fra gli uomin d'Elena
          Vive esecrato il nome.
               Non perch'io tema o tenera
          Amica, di tua fede:
          In sì bel volto ingenuo
          La purità risiede.
               Risiede sì; ma candida
          Di fregio altro non cura;
          Ed ha ragion, ché vendica
          I dritti suoi natura.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            All'amica incerta

            Ferma, che fai? l'incauto
            Piede ritira, e ascolto
            Porgi ad un labbro ingenuo
            Fino ch'il giogo hai sciolto.
                 Non fremi ancor? Ahi misera!
            Il precipizio è aperto;
            Mira lo scritto ferreo:
            Alto infortunio e certo
                 Già semi-spenta lampada
            Luce all'orror funèbre,
            E mostra assai più orribili
            L'orribili tenèbre.
                 Romito è il duol; le lagrime
            Grondano ognor dirotte,
            E sol fra veglie scorrono
            L'ombre d'odiata notte.
                 Di', che farai? Già echeggiano
            Le tombe, e i santi altari
            Sol di singulti flebili,
            Solo di voti amari.
                 Regna il digiuno; ei stringere
            Aspro flagel tu vedi;
            Pur disperato e languido
            Geme dell'are ai piedi.
                 Gemi tu pure; e il gemito
            Ch'a me su l'alma piomba,
            Ah! t'aprirà cinerea
            Troppo immatura tomba.
                 Se or non ti penti, ahi misera!
            Fia il pentimento tardo;
            Odi, tel dice squallida
            L'amica d'Abelardo.
                 Vedi Eloisa: assidesi
            Su scanno nero e scabro,
            E bevo le sue lagrime
            Collo sfiorito labro.
                 Abbi rispetto, o infausto
            Amor, abbi rispetto
            A quel tetro silenzio
            Che mi dilania il petto:
                 Ella sì grida; e tacita
            Prende la penna in mano,
            E alfine ardisce scrivere
            Ad amator profano.
                 Ah scrivi! ah scrivi! un barbaro
            Non è dell'alme Dio,
            Te involontaria vittima
            L'altrui barbarie offrio.
                 Sull'ara augusta e candida
            Arse l'incenso impuro;
            Tremàr i cerei e il tempio
            A quel tremendo giuro.
                 Ma tu, Eloisa tenera,
            No, non temer; conosco
            D'un cor sforzato a piangere
            Dio le proterve angosce.
                  Tema flagello vindice
            Chi sè spontaneo gli offre,
            E gli ermi dì funerei
            Con pago cor non soffre.
                 Ecco il tuo fato; in braccio
            Per sempre a lui ti getta,
            Ma di'? vedrai tu intrepida
            L'affanno che t'aspetta?
                 Riedi e ne godi: o il debile
            Tuo collo al giogo appresta;
            Ma trema; Iddio si vendica
            Del cor che lo calpesta
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il ritratto

              O tu, cui gli anni rosei
              Sono dai vezzi adorni,
              Cui dell'etade arridono
              I più beati giorni,
              Desii veder l'immagine
              Del tuo lontano amico?
              Odi i miei versi ingenui,
              Chè sempre il ver io dico.
              A me, gentile, amabile
              Volto non diè natura,
              Ma diemmi invece un'anima
              Tenera, fida e pura.
              E diemmi invece un fervido
              Cor, cui non sono ignoti
              D'amore e d'amicizia
              I più soavi moti.
              E diemmi un estro rapido
              Che carmi ai labbri inspira,
              Per cui non è tra l'ultime
              Quest'amorosa lira.
              Ma a te, fanciulla ainabile,
              Questo non basta, è vero,
              Non basta ai guardi cupidi
              L'animator pensiero.
              Sì, bella amica, a pingermi
              Destro verrà pittore,
              Ma potrà far che ispirino
              Dolce quest'occhi amore?
              E le mie guance giovani
              Da pelo ancor non tinte,
              D'amore con l'ingenuo
              Rossor saran distinte?
              Saprà ritrar l'effigie
              Viva del volto mio
              Allor che il seno m'agita
              Per te di Pafo il Dio?
              E saprà far che dicano,
              Tacendo, i labbri miei
              Che tu mi piaci, e ch'unica
              Dea del mio cor tu sei?
              Ah no, nol può! La rodia
              Arte à miei carmi cede;
              Che amor l'agguaglia e supera
              Ella medesma il vede.
              Te pinsi, o bella; e il candido
              Volto ognor stammi al fianco;
              Nè mai, qual te, l'immagine
              Mai di mirar son stanco.
              Te pinsi; e i labbri, e i lucidi
              Lumi, e le trecce bionde;
              Lor parlo; e tosto il turgido
              Bel labbro tuo risponde.
              Di Tejo il vate pingere
              Volle la bella amica,
              Commise a industre artefice
              Sì genïal fatica;
              Ma che? Conobbe ei subito
              Lei nel dipinto aspetto,
              Ma udir non fu possibile
              Dai finti labbri un detto.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                A Venere

                E te, leggiadra Venere,
                Te canteremo ancora,
                O Dea, più fresca e rosea
                Della serena Aurora;
                Te, cui le Grazie morbide
                Sieguon coi biondi Amori,
                Te, che tra Giuno e Pallade
                Avesti i primi onori.
                Ma non avrai di giubilo
                Canti, vezzosa Dea;
                Suoni giocosi ed ilari
                La cetra un dì spargea;
                Or già non più: ché scorsero
                Què sì beati giorni,
                Sacri ad amor purissimo,
                Da mutua pace adorni.
                Me di fanciulla instabile
                Arde l'incerta fede;
                Mal possono le lagrime
                Di cui le bagno il piede.
                A te ricorro io supplice,
                O tra la belle bella;
                Almen tu, piega l'anima
                Della mia rea donzella.
                Te di Neera il tenero
                Cantor chiamar solea,
                Quando fra voti flebili
                All'are tue sedea;
                E con fragranti aromati,
                Con fiori al suol, dispersi
                Su la gemente cetera
                A te innalzava i versi.
                L'aitasti, o Dea? Le lagrime
                Tergesti a lui pietosa?
                Tornò per te a quel misero
                La ninfa sua ritrosa?
                Ah no! Tu, Diva idalia,
                Che in ogni dove imperi
                Su l'infelice giovane
                Giravi i lumi alteri.
                Né Adon membrasti, e i gemiti,
                E il ripercosso petto,
                Allor che in sé porgeati
                Dè mali suoi l'aspetto,
                Te pure Amor con l'aureo
                Dardo, te pur ferìo;
                Lo sa il tuo cor medesimo
                Quanto è tiran quel Dio.
                Pianti d'amor sgorgarono
                Dal tuo beante ciglio;
                Eppur, ch'il crede? Piacquero
                Quei pianti al crudo figlio
                Pietà, gran Dea: d'un misero
                aleggia i tristi affanni,
                Che di sua, età più florida
                Consacra a te i begli anni.
                Pietà! - La mesta effigie
                Del volto mio tu mostra,
                Tra le sognate immagini
                A la fanciulla nostra.
                Fà che il suo cor le palpiti
                Con moto non più inteso;
                Fà che di fiamma ingenua
                Sentasi il core acceso.
                Ah! se da quel di porpora
                Labbro suonar io sento,
                T'amo, per me nettareo
                Per me beato accento;
                Sacerdotessa, o Venere,
                Sempre farò che sia
                Attenta ai tuoi misterii
                Questa fanciulla mia.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  I. Alla bellezza.

                  O tu, cui dolce imperio
                  Sa i cor natura diede,
                  Bionda beltà, cui servono
                  Tenero Amore e Fede,
                       De' versi miei spontanei
                  Accetta ingenuo dono,
                  Se a te i miei versi piacciono
                  Anch'io poeta or sono.
                       D'un tuo sorriso roseo
                  Irraggia i canti miei,
                  Che i tuoi sorrisi beano
                  Fin su l'Olimpo i Dei.
                       Tu di leggiadra vergine
                  Splendi negli occhi vaghi,
                  Donde con dardi amabili
                  Soavemente impiaghi;
                       E tu sul labbro armonico,
                  O Dea, vi stai scolpita,
                  Che mentre accenti modula
                  A sospirare invita.
                       Ancelle tue ti sieguono
                  Le linde Grazie, e stanno
                  TuttE su un braccio latteo
                  Con cui tu tessi inganno;
                       Inganno tessi; e all'anima
                  D'un giovanetto amante
                  Rendi più dolce e tenero
                  Il vezzo più incostante.
                       Ma, o bionda Dea, se furono
                  A te miei spirti avvinti,
                  Se i miei versi cantarono
                  Da' tuoi color dipinti;
                       Pietà d'un Vate: al misero
                  Gli arde fanciulla il seno;
                  Fa' ch'ella sia più stabile,
                  O men vezzosa almeno.
                       Vola ne' dì purpurei
                  Il garzoncel di Flora;
                  Vieni, ella dice, o Zefiro,
                  In braccio a chi t'adora;
                        Vieni.... Ma sordo e celere
                  Ei fugge, e non l'ascolta;
                  Quando a lui piace è libero,
                  E la catena ha sciolta.
                       Ahi che pur scioglie il laccio
                  Questa tiranna mia;
                  Ama; ma impune fuggesi
                  D'amor s'ella il desia.
                       Lasso! ch'io pur desidero
                  Fuggir da' lacci suoi,
                  Ma tu, Beltade amabile,
                  Tu consentir non vuoi
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Principio del paradiso perduto

                    Dell'uom la prima inobbedienza e il frutto
                    Dell'arbore vietata, onde l'assaggio
                    Diede noi tutti a morte e all'infinite
                    Miserie, lungo dal perduto Edenne,
                    Finché l'uomo divino alle beate
                    Perdute sedi redentor ne assunse,
                    Canta, o Musa celeste! E tu in Orebbo,
                    E tu del Sinai sul secreto giro
                    Già spiravi il pastori che...
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