Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Passero solitario

D'in su la vetta della torre antica,
Passero solitario, alla campagna
Cantando vai finché non more il giorno;
Ed erra l'armonia per questa valle.
Primavera dintorno
Brilla nell'aria, e per li campi esulta,
Sì ch'a mirarla intenerisce il core.
Odi greggi belar, muggire armenti;
Gli altri augelli contenti, a gara insieme
Per lo libero ciel fan mille giri,
Pur festeggiando il lor tempo migliore:
Tu pensoso in disparte il tutto miri;
Non compagni, non voli,
Non ti cal d'allegria, schivi gli spassi;
Canti, e così trapassi
Dell'anno e di tua vita il più bel fiore.
Oimè, quanto somiglia
Al tuo costume il mio! Sollazzo e riso,
Della novella età dolce famiglia,
E te german di giovinezza, amore,
Sospiro acerbo dè provetti giorni,
Non curo, io non so come; anzi da loro
Quasi fuggo lontano;
Quasi romito, e strano
Al mio loco natio,
Passo del viver mio la primavera.
Questo giorno ch'omai cede alla sera,
Festeggiar si costuma al nostro borgo.
Odi per lo sereno un suon di squilla,
Odi spesso un tonar di ferree canne,
Che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
La gioventù del loco
Lascia le case, e per le vie si spande;
E mira ed è mirata, e in cor s'allegra.
Io solitario in questa
Rimota parte alla campagna uscendo,
Ogni diletto e gioco
Indugio in altro tempo: e intanto il guardo
Steso nell'aria aprica
Mi fere il Sol che tra lontani monti,
Dopo il giorno sereno,
Cadendo si dilegua, e par che dica
Che la beata gioventù vien meno.
Tu, solingo augellin, venuto a sera
Del viver che daranno a te le stelle,
Certo del tuo costume
Non ti dorrai; che di natura è frutto
Ogni vostra vaghezza.
A me, se di vecchiezza
La detestata soglia
Evitar non impetro,
Quando muti questi occhi all'altrui core,
E lor fia vòto il mondo, e il dì futuro
Del dì presente più noioso e tetro,
Che parrà di tal voglia?
Che di quest'anni miei? Che di me stesso?
Ahi pentirommi, e spesso,
Ma sconsolato, volgerommi indietro.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    L'Infinito

    Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
    e questa siepe, che da tanta parte
    dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
    Ma sedendo e mirando, interminati
    spazi di là da quella, e sovrumani
    silenzi, e profondissima quiete
    io nel pensier mi fingo; ove per poco
    il cor non si spaura. E come il vento
    odo stormir tra queste piante, io quello
    infinito silenzio a questa voce
    vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
    e le morte stagioni, e la presente
    e viva, e il suon di lei. Così tra questa
    immensità s'annega il pensier mio:
    e il naufragar m'è dolce in questo mare.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      A Silvia

      Silvia, rimembri ancora
      quel tempo della tua vita mortale,
      quando beltà splendea
      negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
      e tu, lieta e pensosa, il limitare
      di gioventù salivi?

      Sonavan le quiete
      stanze, e le vie dintorno,
      al tuo perpetuo canto,
      allor che all'opre femminili intenta
      sedevi, assai contenta
      di quel vago avvenir che in mente avevi.
      Era il maggio odoroso: e tu solevi
      così menare il giorno.

      Io gli studi leggiadri
      talor lasciando e le sudate carte,
      ove il tempo mio primo
      e di me si spendea la miglior parte,
      d'in su i veroni del paterno ostello
      porgea gli orecchi al suon della tua voce,
      ed alla man veloce
      che percorrea la faticosa tela.
      Mirava il ciel sereno,
      le vie dorate e gli orti,
      e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
      Lingua mortal non dice
      quel ch'io sentiva in seno.

      Che pensieri soavi,
      che speranze, che cori, o Silvia mia!
      Quale allor ci apparia
      la vita umana e il fato!
      Quando sovviemmi di cotanta speme,
      un affetto mi preme
      acerbo e sconsolato,
      e tornami a doler di mia sventura.
      O natura, o natura,
      perché non rendi poi
      quel che prometti allor? Perché di tanto
      inganni i figli tuoi?

      Tu pria che l'erbe inaridisse il verno,
      da chiuso morbo combattuta e vinta,
      perivi, o tenerella. E non vedevi
      il fior degli anni tuoi;
      non ti molceva il core
      la dolce lode or delle negre chiome,
      or degli sguardi innamorati e schivi;
      né teco le compagne ai dì festivi
      ragionavan d'amore.

      Anche peria tra poco
      la speranza mia dolce: agli anni miei
      anche negaro i fati
      la giovanezza. Ahi come,
      come passata sei,
      cara compagna dell'età mia nova,
      mia lacrimata speme!
      Questo è quel mondo? Questi
      i diletti, l'amor, l'opre, gli eventi
      onde cotanto ragionammo insieme?
      Questa la sorte dell'umane genti?
      All'apparir del vero
      tu, misera, cadesti: e con la mano
      la fredda morte ed una tomba ignuda
      mostravi di lontano.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Fanciulletta bella

        Di giovinezza, Fanciulletta bella,
        Dal tuo bel petto spira fresco odore,
        E da quei labbri con gentil favella
        Sol parla Amore.
             Vaga è tua mano; ma più vaga allora
        Che a puro bacio facile s'arrende,
        E allor ch'ai crini della gaja Flora
        Cinge le bende.
             Questi mi detta dolci carmi Apollo,
        Se mai t'ascolta, Fanciulletta bella,
        Sparger di canti con la cetra al collo
        Iblea favella.
             Canta, deh! canta; scenderan da Paffo
        Ad ascoltarti con l'orecchie amanti
        Quei stessi Amor che della mesta Saffo
        Pianser ai canti.
             Io son, diceva, bella Dea di Gnido,
        La giovinetta cui Faon non cura,
        Per lui sol piango, mentre in ogni lido
        Ride natura.
             Madre del riso, dal beante seno,
        Me ch'al tuo nume sempre altari alzai,
        Me ch'arsi incenso d'inni e laudi pieno,
        Or traggo guai.
             Siegui di Lesbo la soave Musa,
        Ma scherza, e fuggi lagrimose note,
        Giacché domarti l'almo Dio ricusa,
        Perché nol puote.
             Che val sui fogli con cipiglio tristo
        Perdere i giorni che tornar non ponno,
        E violare per un vano acquisto
        I dritti al sonno?
             Nata agli Amori, le scïeuti carte
        Abbandonando, sol la cetra tocca:
        Chè di bei carmi la difficil arte
        Ti siede in bocca.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Vassi rapido il tempo

          Vassi rapido il tempo, e al tempo il duolo
          Della cadente età tosto succede;
          Godiamo, amici: de' piacer lo stuolo
          Passa e non riede.
               Assisi a umili ma contenti deschi
          Colmiam le tazze di soave vino;
          Altri fra l'armi follemente treschi
          Col suo destino.
               Audace troppo dell'iniqua corte
          Nell'onde si scatena il nembo fosco;
          Da noi si cerchi più beata sorte
          In mezzo a un bosco.
               Se piange un infelice, il mesto pianto
          Tosto da noi si asciughi e si consoli;
          Chi non esulta delle Muso al canto
          A noi s'involi.
               Bell'è l'Amor, egli al piacer c'invita;
          Dunque Ninfa che agli occhi e all'alma piace
          Sia della nostra fuggitiva vita
          Conforto e pace.
               Vassi rapido il tempo, e al tempo il duolo
          Della cadente età tosto succede;
          Godiamo, amici: de' piacer lo stuolo
          Passa e non riede.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Irene candida

            Irene candida, lascia le piume,
            T'affretta a cogliere leggiadri fiori
            Or ch'Alba fulgida spande il suo lume
            Co' nuovi albori.
                 In mezzo agli alberi d'accanto il fonte
            Vedrai tu sorgere bei gelsomini;
            Li cogli, e adornati del vago fronte
            i vaghi crini.
                 Mentre innoltravasi col gajo aprile
            Soave Zefiro là fur piantati,
            Da me alla morbida tua man gentile
            Poscia serbati.
                 Il graziosissimo tuo cestellino
            Empi di mammole e di viole;
            Ma, bene badami, sfiora il giardino
            Prima del Sol
                 Indi, sovvengati, Fanciulla mia,
            Che voglio un bacio al tuo ritorno,
            Nè vo' che al solito tu me lo dia
            Un altro giorno.
                 Chè questo amabile giorno mai viene,
            E se anche in seguito così faremo,
            Gli anni andran rapidi, nè un giorno, o Irene,
            Goduto avremo.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Fra soavissimi fioretti

              Fra soavissimi fioretti un giorno
              Giaceano Amore e Venere,
              E mille Genii stavan d'intorno
              E mille Grazie tenere.
                   Io con l'eburnea mia cetra al collo,
              Scarco di cure torbide,
              Passai con l'alma piena di Apollo
              Per quelle sedi morbide.
                   A sè chiamatomi la gaja Diva,
              Con fiamma al labbro e al ciglio,
              Disse: Tua cetera canti giuliva
              La possa del mio figlio.
                   Io pria con giubilo cantai d'Amore
              Su gli altri Dii le glorie;
              Soggiunsi poscia quai sul mio core
              Ei riportò vittorie.
                   Si attente stavano le Grazie al canto,
              E que' Amorini amabili,
              Che s'obliarono d'essere accanto
              A' loro giochi instabili.
                   Giuro per l'aurea chioma febea,
              Che più dell'onda livida
              Di Stigo io venero, vidi la Dea
              Farsi al cantar più vivida.
                   E tu, o Licoride, non mai ti pieghi
              De' carmi al suon sensibile,
              Invan fra lagrime io canto e prieghi,
              Chè sempre so, inflessibile.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                La sera

                Gentile Nelae, tu al collo candido
                Lascia che scendano le chiome d'auro,
                E alle mie tempio adatta
                Sacro ad Apollo un lauro.
                     Al suon armonico di nostre cetere
                Vengon su i Zefiri le Grazie tenere,
                Che per udir tua voce
                Abbandonano Venere.
                     Esci dal semplice tetto pacifico,
                Dell'igneo Cintio s'ascose il raggio;
                E all'umid'ombra siedi
                Meco dell'ampio faggio.
                     O bianca Nelae, non esser timida,
                In ore tacite fra bosco atrissimo
                Tu sai ch'io ti favello
                Sol d'un amor purissimo.
                     Di noi la candida fia testimonio
                Luna che tacita irraggia l'aria;
                Nè la temer, ché anch'essa
                Amò il pastor di Caria.
                     Ve' riscintillano nel viso garrulo
                Gli astri che fulgidi sembra che ridano,
                E perfin gli usignuoli
                Par che a noi soli arridano.
                     Fanciulla amabile, canta i bei numeri.
                Ma qual per l'aere di velo a foggia
                Nube si stende? - ah certo
                Vicina è a noi la pioggia.
                     Presto fuggiamoci dal negro turbine;
                Il tempo placido oh corno è instabile!
                Ah non vorrei che il fossi
                Tu pur, fanciulla amabile.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  La guerra

                  Vinsero gli anni: tu sperasti indarno
                  Gloria fiammante pel guerriero brando:
                  Vedila, langue di tuo nome in bando.
                  E il volto ha scarno.
                       Odio chi ammira di Filippo il germe
                  Ch’ha morte al fianco devastando l'orbe,
                  Fossa di polve col possente assorbe.
                  Seco l'inerme.
                       Tu cogli, amico, dal giardino umìle
                  Frutta, ristoro d'indigente brama;
                  Di gloria nostra degli eroi la fama
                  Sarà più vile.
                       E al mormorante serpeggiar di linfa,
                  Al molle zirlo d'augellin su i rami
                  Versi cantiamo che ripeter ami
                  Tenera Ninfa.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
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                    A Diana

                    Bella ch'osservi degli amanti i scherzi,
                    E sorridendo, quando tutto dorme,
                    Gli albi corsieri del tuo carro sferzi,
                    Diva triforme;
                         Spandi nel seno dei cantor pudico
                    Candido raggio svegliator di modi,
                    Ch'ei te mirando sopra un colle aprico
                    Dirà tue lodi.
                         Splendi tu dolce nel mio sen qual splende
                    Della mia Clori la beante faccia,
                    Che delle Grazie le virginee bende
                    Al petto allaccia.
                         Più di Ciprigna venerabil sei
                    A me, o possente nel ferir le belve,
                    Ch'offri riposo del pensieri miei
                    Nelle tuo selve.
                         Possa io mirarti fra le selve care
                    Quando passeggia con tue ninfe Aprile;
                    Ch'io ti prometto sul tuo casto altare
                    Cerva gentile.
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