Di giovinezza, Fanciulletta bella, Dal tuo bel petto spira fresco odore, E da quei labbri con gentil favella Sol parla Amore. Vaga è tua mano; ma più vaga allora Che a puro bacio facile s'arrende, E allor ch'ai crini della gaja Flora Cinge le bende. Questi mi detta dolci carmi Apollo, Se mai t'ascolta, Fanciulletta bella, Sparger di canti con la cetra al collo Iblea favella. Canta, deh! canta; scenderan da Paffo Ad ascoltarti con l'orecchie amanti Quei stessi Amor che della mesta Saffo Pianser ai canti. Io son, diceva, bella Dea di Gnido, La giovinetta cui Faon non cura, Per lui sol piango, mentre in ogni lido Ride natura. Madre del riso, dal beante seno, Me ch'al tuo nume sempre altari alzai, Me ch'arsi incenso d'inni e laudi pieno, Or traggo guai. Siegui di Lesbo la soave Musa, Ma scherza, e fuggi lagrimose note, Giacché domarti l'almo Dio ricusa, Perché nol puote. Che val sui fogli con cipiglio tristo Perdere i giorni che tornar non ponno, E violare per un vano acquisto I dritti al sonno? Nata agli Amori, le scïeuti carte Abbandonando, sol la cetra tocca: Chè di bei carmi la difficil arte Ti siede in bocca.
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