Poi che un sereno vapor d'ambrosia da la tua coppa diffuso avvolsemi, o Ebe con passo di dea trasvolata sorridendo via; non più del tempo l'ombra o de l'algide cure su 'l capo mi sento; sentomi, o Ebe, l'ellenica vita tranquilla ne le vene fluire. E i ruinati giù pe 'l declivio de l'età mesta giorni risursero, o Ebe, nel tuo dolce lume agognanti di rinnovellare; e i novelli anni da la caligine volenterosi la fronte adergono, o Ebe, al tuo raggio che sale tremolando e roseo li saluta. A gli uni e gli altri tu ridi, nitida stella, da l'alto. Tale ne i gotici delùbri, tra candide e nere cuspidi rapide salïenti con doppia al cielo fila marmorea, sta su l'estremo pinnacol placida la dolce fanciulla di Jesse tutta avvolta di faville d'oro. Le ville e il verde piano d'argentei fiumi rigato contempla aerea, le messi ondeggianti nè campi, le raggianti sopra l'alpe nevi: a lei d'intorno le nubi volano; fuor de le nubi ride ella fulgida a l'albe di maggio fiorenti, a gli occasi di novembre mesti.
È l'alba. S'illumina il mondo come l'acqua che lascia cadere sul fondo le sue impurità. E sei tu, all'improvviso tu, mio amore, nel chiarore infinito di fronte a me.
Giorno d'inverno, senza macchia, trasparente come vetro. Addentare la polpa candida e sana d'un frutto. Amarti, mia rosa, somiglia all'aspirare l'aria in un bosco di pini.
Chi sa, forse non ci ameremmo tanto se le nostre anime non si vedessero da lontano non saremmo così vicini, chi sa, se la sorte non ci avesse divisi.
È così, mio usignolo, tra te e me c'è solo una differenza di grado: tu hai le ali e non puoi volare io ho le mani e non posso pensare.
Finito, dirà un giorno madre Natura finito di ridere e di piangere e sarà ancora la vita immensa che non vede non parla non pensa.
Non è un cuore, perdio, è un sandalo di pelle di bufalo che cammina, incessantemente, cammina senza lacerarsi va avanti su sentieri pietrosi.
Una barca passa davanti a Varna "Ohilà, figli d'argento del Mar Nero! " una barca scivola verso il Bosforo Nazim dolcemente carezza la barca e si brucia le mani.
Quella vita che fu tenuta a freno Troppo stretta e si libera, Correrà poi per sempre, con un cauto Sguardo indietro e paura delle briglie. Il cavallo che fiuta l'erba viva E a cui sorride il pascolo Sarà ripreso solo a fucilate, Se si potrà riprenderlo.
Un sepalo, un petalo e una spina In un comune mattino d'estate, Un fiasco di rugiada, un'ape o due, Una brezza, Un frullo in mezzo agli alberi - Ed io sono una rosa!