Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il mio tempo

ODE.

Chi medita fra 'l tacito
Saggio orrore di grotte,
E di Giob su le pagine
Tragge vigile nette,
E chi in ribrezzo fugge
Donde la colpa rugge?

     Guai guai! d'ira e giustizia
Il Lione passeggia,
Le zampe e i labbri insanguina
Entro splendida reggia, 10
E all'universo folle
Un regicidio estolle.

     Tutto imperversa: ingemina
Il nitrir de' cavalli,
Mentre fra bronzi orrisoni
Rimbombano i timballi,
E infuriata guerra
Cittadi sfianca e atterra

     Ma qual candida Vergine
In puro ammanto ascosa
Fra gli orrori dell'eremo
In grembo a Dio riposa,
E il volto ingenuo copre
Rimpetto a orribil opre!

     Vien meco, o Eletta, a piangere
Il soqquadrato mondo,
Ch'ode gli eterei fulmini,
E corre furibondo
A trar suoi giorni eterni
Ne' spalancati averni:

     Vieni; e stringendo in lagrime
L'insanguinata Croce,
A Dio manda fra 'l gemito
Pietosa innocua voce,
Mentr'io per l'erbe intanto
Di terror spargo un canto.

     Vedilo! È Dio che l'aere
Sol con un braccio occupa,
Ed accigliato spazia
Entro tuonante e cupa
Carca di piaghe nube,
Mentre ai fulmini jube.

     Forse avverrà che al flebile
Suono di tue parole
A noi s'apra più splendido
Di sua pietade il sole,
E dall'olimpio trono
Spanda mite perdono.

     Già di sterminio l'Angelo
Su Morte accavalcato
Punìa dell'empia Ninive
Il delitto ostinato;
Già vibrava furente
Su lei brando rovete;

     Ma al suol sparsa di cenere
Penitenza prostrosse,
E squallida di Jehova
L'augusta ira rimosse,
Ed arrestò la mano
Al feritor sovrano.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Siamo composti con brani di morti
    uguali a città
    rifatte da macerie di secoli.

    Allora al comune bivacco eravamo
    tutti disperati e volevamo
    morire per sentirci più vivi.

    Non questo certo era l'augurio!
    La nuova parola è stata uccisa
    Dal piombo sulle bocche squarciate.

    Una mediazione invocavano morendo
    tra l'avvenimento grande e la sorte di ognuno,
    l'avvento attendevano dell'uomo umile.

    Ma noi rimpiangemmo le vecchie catene
    come il popolo ambiva nel deserto
    l'ossequio al re per le sicure ghiande:

    non vogliamo il rischio di essere liberi,
    il peso di dover decidere da noi
    e l'amore di farci poveri.

    Da sotterra urlano i morti
    e per le strade vanno
    come nell'ora dell'agonia di Cristo.

    Per le strade vagano i fratelli
    senza casa, liberi
    d'ogni ragione d'essere morti.

    La notte è simile al giorno
    Il bene al male s'eguaglia,
    spoglio quale una pianura d'inverno.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Dopo un lungo silenzio

      Parole dopo lungo silenzio; è giusto
      Ogni altro amante allontanato o morto,
      La luce ostile della lampada velata,
      Le tendine abbassate sopra la notte ostile,
      Giusto che discutiamo e discettiamo
      Sul tema supremo dell'Arte e del Canto:
      Decrepitezza del corpo è saggezza;
      Giovani ci amavamo e eravamo ignoranti.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Rovine

        Non è vero che hanno distrutto
        le case, non è vero:
        solo è vero in quel muro diruto
        l'avanzarsi del cielo

        a piene mani, a pieno petto,
        dove ignoti sognarono,
        o vivendo sognare credettero,
        quelli che son spariti…

        Ora aspetta all'ombra spezzata
        il gioco d'altri tempi,
        sopra i muri, nell'alba assolata,
        imitarne gli accenti….

        e nel vuoto, alla rondine, che passa.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Da L'Italia sepolta sotto la neve
          (Parte quarta, Le trenta miserie d'Italia)

          XII

          La miseria della misera Italia numero
          dodici
          la testa in fiamme la sterpaglia
          della festa dei pensieri paglia che
          avvampa brucia fra braci di fumo.
          Si consumano notizie mescolate al ricordo
          di vecchie età
          l'armamentario sul carro della vita
          in corsa
          è spazio di fresca primavera.
          Altrove polvere sollevata dall'auto nella
          strada di campagna
          odora di mele mentre il merlo s'allontana
          stride forte a filo dell'erba lungo il mare
          siepi siepi siepi di oleandri abbandonati e
          pini scavezzati dai venti secolari
          camminano a terra.
          Può la morte ordire il suo acuminato
          massacro
          ridurre in cenere il delfino
          il vascello in fuoco
          la sovrastante nuvola in ciclone e
          travolgere la vita?
          Il fervore trascinato in gorgo
          l'esistente in un attimo è scomparso
          giovinezza è il ricordo poi sull'occhio
          chiuso
          del cielo interminabile di tetti
          e alla fine dimenticare la tomba
          dei vecchi eroi?
          Quante primavere gli uomini fuggitivi
          abbandonano alle giovani ali che
          arrivano portate dal garbino?
          Si può considerare l'opportunità
          di non rassegnarsi
          bruciare il carro del vincitore
          anche le nostre bandiere.
          Per favore.
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            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Soffitta

            Vieni, compiangiamoli quelli che stanno meglio di noi.
            Vieni, amica, e ricorda
            che i ricchi han maggiordomi e non amici,
            E noi abbiamo amici e non maggiordomi.
            Vieni, compiangiamo gli sposati e i non sposati.
            L'aurora entra a passettini
            come una dorata Pavlova,
            E io son presso al mio desiderio.
            Ne ha la vita in sé qualcosa di migliore
            Che quest'ora di chiara freschezza,
            l'ora di svegliarsi in amore.
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              Come posso ritrovare la mia pace (Sonetto 28)

              Come posso ritrovare la mia pace
              se il ristoro del sonno mi è negato?
              Se l'affanno del giorno non riposa nella notte
              ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno?
              Ed entrambi, anche se l'un l'altro ostili,
              d'accordo si dan mano solo per torturarmi
              l'uno con la fatica, l'altra con l'angoscia
              di esser da te lontano, sempre più lontano.
              Per cattivarmi il giorno gli dico che sei luce
              e lo abbellisci se nubi oscurano il suo cielo:
              così pur blandisco la cupa notte dicendo
              che tu inargenti la sera se non brillano stelle.
              Ma il giorno ogni giorno prolunga le mie pene
              e la notte ogni notte fa il mio dolor più greve.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Miei occhi e il cuore son venuti a patti (Sonetto 47)

                I miei occhi e il cuore son venuti a patti
                ed or ciascuno all'altro il suo ben riversa:
                se i miei occhi son desiosi di uno sguardo,
                o il cuore innamorato si distrugge di sospiri,
                gli occhi allor festeggian l'effigie del mio amore
                e al fantastico banchetto invitano il mio cuore;
                un'altra volta gli occhi son ospiti del cuore
                che a lor partecipa il suo pensier d'amore.
                Così, per la tua immagine o per il mio amore,
                anche se lontano sei sempre in me presente;
                perché non puoi andare oltre i miei pensieri
                e sempre io son con loro ed essi son con te;
                o se essi dormono, in me la tua visione
                desta il cuore mio a delizia sua e degli occhi.
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