Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Poesie mondane

Ci vediamo in proiezione, ed ecco
la città, in una sua povera ora nuda,
terrificante come ogni nudità.
Terra incendiata il cui incendio
spento stasera o da millenni,
è una cerchia infinita di ruderi rosa,
carboni e ossa biancheggianti, impalcature
dilavate dall'acqua e poi bruciate
da nuovo sole. La radiosa Appia
che formicola di migliaia di insetti
- gli uomini d'oggi - i neorealistici
ossessi delle Cronache in volgare.
Poi compare Testaccio, in quella luce
di miele proiettata sulla terra
dall'oltretomba. Forse è scoppiata,
la Bomba, fuori dalla mia coscienza.
Anzi, è così certamente. E la fine
del Mondo è già accaduta: una cosa
muta, calata nel controluce del crepuscolo.
Ombra, chi opera in questa èra.
Ah, sacro Novecento, regione dell'anima
in cui l'Apocalisse è un vecchio evento!
Il Pontormo con un operatore
meticoloso, ha disposto cantoni
di case giallastre, a tagliare
questa luce friabile e molle,
che dal cielo giallo si fa marrone
impolverato d'oro sul mondo cittadino...
e come piante senza radice, case e uomini,
creano solo muti monumenti di luce
e d'ombra, in movimento: perché
la loro morte è nel loro moto.
Vanno, come senza alcuna colonna sonora,
automobili e camion, sotto gli archi,
sull 'asfalto, contro il gasometro,
nell'ora, d'oro, di Hiroshima,
dopo vent'anni, sempre più dentro
in quella loro morte gesticolante: e io
ritardatario sulla morte, in anticipo
sulla vita vera, bevo l'incubo
della luce come un vino smagliante.
Nazione senza speranze! L'Apocalisse
esploso fuori dalle coscienze
nella malinconia dell'Italia dei Manieristi,
ha ucciso tutti: guardateli - ombre
grondanti d'oro nell'oro dell'agonia.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Alla mia nazione

    Non popolo arabo, non popolo balcanico, non popolo antico
    ma nazione vivente, ma nazione europea:
    e cosa sei? Terra di infanti, affamati, corrotti,
    governanti impiegati di agrari, prefetti codini,
    avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi,
    funzionari liberali carogne come gli zii bigotti,
    una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino!
    Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci
    pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti,
    tra case coloniali scrostate ormai come chiese.
    Proprio perché tu sei esistita, ora non esisti,
    proprio perché fosti cosciente, sei incosciente.
    E solo perché sei cattolica, non puoi pensare
    che il tuo male è tutto male: colpa di ogni male.
    Sprofonda in questo tuo bel mare, libera il mondo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Alla bandiera rossa

      Per chi conosce solo il tuo colore,
      bandiera rossa,
      tu devi realmente esistere, perché lui
      esista:
      chi era coperto di croste è coperto di
      piaghe,
      il bracciante diventa mendicante,
      il napoletano calabrese, il calabrese
      africano,
      l'analfabeta una bufala o un cane.
      Chi conosceva appena il tuo colore,
      bandiera rossa,
      sta per non conoscerti più, neanche coi
      sensi:
      tu che già vanti tante glorie borghesi e
      operaie,
      ridiventa straccio, e il più povero ti
      sventoli.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        A un ragazzo

        "Era un mattino in cui sognava ignara
        nei ròsi orizzonti una luce di mare:
        ogni filo d'erba come cresciuto a stento
        era un filo di quello splendore opaco e immenso.

        Venivamo in silenzio per il nascosto argine
        lungo la ferrovia, leggeri e ancora caldi

        del nostro ultimo sonno in comune nel nudo
        granaio tra i campi ch'era il nostro rifugio.

        In fondo Casarsa biancheggiva esanime
        nel terrore dell'ultimo proclama di Graziani;

        e, colpita dal solo contro l'ombra dei monti,
        la stazione era vuota: oltre i radi tronchi

        dei gelsi e gli sterpi, solo sopra l'erba
        del binario, attendeva il treno per Spilimbergo...

        L'ho visto allontanarsi con la sua valigetta,
        dove dentro un libro di Montale era stretta

        tra pochi panni, la sua rivoltella,
        nel bianco colore dell'aria e della terra.

        Le spalle un po' strette dentro la giacchetta
        ch'era stata mia, la nuca giovinetta... ".
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Supplica a mia madre

          È difficile dire con parole di figlio
          ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
          Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
          ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
          Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
          è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
          Sei insostituibile. Per questo è dannata
          alla solitudine la vita che mi hai data.
          E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
          d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
          Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
          sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
          ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
          alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
          Era l'unico modo per sentire la vita,
          l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.
          Sopravviviamo: ed è la confusione
          di una vita rinata fuori dalla ragione.
          Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
          Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile….
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Non è amore

            Non è Amore. Ma in che misura è mia
            colpa il non fare dei miei affetti
            Amore? Molta colpa, sia
            pure, se potrei d'una pazza purezza,
            d'una cieca pietà vivere giorno
            per giorno... Dare scandalo di mitezza.
            Ma la violenza in cui mi frastorno,
            dei sensi, dell'intelletto, da anni,
            era la sola strada. Intorno
            a me alle origini c'era, degli inganni
            istituiti, delle dovute illusioni,
            solo la Lingua: che i primi affanni
            di un bambino, le preumane passioni,
            già impure, non esprimeva. E poi
            quando adolescente nella nazione
            conobbi altro che non fosse la gioia
            del vivere infantile - in una patria
            provinciale, ma per me assoluta, eroica -
            fu l'anarchia. Nella nuova e già grama
            borghesia d'una provincia senza purezza,
            il primo apparire dell'Europa
            fu per me apprendistato all'uso più
            puro dell'espressione, che la scarsezza
            della fede d'una classe morente
            risarcisse con la follia ed i tòpoi
            dell'eleganza: fosse l'indecente
            chiarezza d'una lingua che evidenzia
            la volontà a non essere, incosciente,
            e la cosciente volontà a sussistere
            nel privilegio e nella libertà
            che per Grazia appartengono allo stile.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Terzo ricordo

              Ancora i valzer del cielo non avevano sposato il gelsomino e la neve,
              né i venti riflettuto la possibile musica dei tuoi capelli,
              né decretato il re che la violetta fosse sepolta in un libro.

              No.

              Era l'età nella quale viaggiava la rondine
              senza le nostre iniziali nel becco.
              Quando convolvoli e campanule
              morivano senza balconi da scalare né stelle.

              L'età
              nella quale sull'omero di un uccello non c'era fiore che posasse il capo.

              Allora, dietro al tuo ventaglio, la nostra prima luna.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Secondo ricordo

                Anche prima,
                molto prima della rivolta delle ombre,
                e che nel mondo cadessero piume incendiate
                e un uccello potesse essere ucciso da un giglio.

                Prima,
                prima che tu mi domandassi
                il numero e il sito del mio corpo.

                Assai prima del corpo.

                Nell'epoca dell'anima.

                Quando tu apristi nella fronte non coronata, del cielo,
                la prima dinastia del sogno.

                Allorché,
                contemplandomi nel nulla,
                inventasti la prima parola.

                Allora,
                il nostro incontro.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  Prologo (Tre ricordi dal cielo)

                  Non aveva la rosa compleanni o l'arcangelo.
                  Tutto, anteriore al pianto e al belato.
                  Quando ancora la luce non sapeva
                  se il mare nascerebbe maschio o femmina.
                  Quando il vento sognava chiome da pettinare
                  e garofani il fuoco e gote da infiammare
                  e l'acqua, delle labbra ferme a cui abbeverarsi.
                  Tutto, anteriore al corpo, al nome e al tempo.

                  Allora io ricordo che una volta nel cielo...
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Primo ricordo

                    "Passeggiava con l'abbandono di giglio che mediti,
                    o quasi d'uccello che sappia di dover nascere.
                    Senza vedersi si guardava in una luna a cui il sogno faceva da specchio,
                    in un silenzio di neve che innalzava i passi.
                    Affacciata a un silenzio.
                    Era anteriore all'arpa, alle parole, alla pioggia.
                    Non sapeva.
                    Bianca alunna dell'aria,
                    tremava con le stelle, con il fiore e con gli alberi.
                    Il suo stelo, la verde sua cintura.
                    Con le mie stelle
                    che, di tutto ignoranti,
                    per scavar nei suoi occhi due lagune
                    lei in due mari annegarono.

                    E ricordo...

                    niente più: morta, sparire. "
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