Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

La Bufera

La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d'istante - marmo manna
e distruzione - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    La belle dame sans merci

    Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano
    le briciole di pane che io gettavo
    sul tuo balcone perché tu sentissi
    anche chiusa nel sonno le loro strida.

    Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due
    e il nostro breakfast gela fra cataste
    per me di libri inutili e per te di reliquie
    che non so: calendari, astucci, fiale e creme.

    Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato
    sui fondali di calce del mattino;
    ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco
    soffocato è il bagliore dell'accendino.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Di un Natale metropolitano

      Un vischio, fin dall'infanzia sospeso grappolo
      di fede e di pruina sul tuo lavandino
      e sullo specchio ovale ch'ora adombrano
      i tuoi ricci bergére fra santini e ritratti
      di ragazzi infilati un po' alla svelta
      nella cornice, una caraffa vuota,
      bicchierini di cenere e di bucce,
      le luci di Mayfair, poi a un crocicchio
      le anime, le bottiglie che non seppero aprirsi,
      non più guerra né pace, il tardo frullo
      di un piccione incapace di seguirti
      sui gradini automatici che ti slittano in giù….
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Meriggiare pallido e assorto

        Meriggiare pallido e assorto
        presso un rovente muro d'orto,
        ascoltare tra i pruni e gli sterpi
        schiocchi di merli, frusci di serpi.

        Nelle crepe del suolo o su la veccia
        spiar le file di rosse formiche
        ch'ora si rompono ed ora s'intrecciano
        a sommo di minuscole biche.

        Osservare tra frondi il palpitare
        lontano di scaglie di mare
        mentre si levano tremuli scricchi
        di cicale dai calvi picchi.

        E andando nel sole che abbaglia
        sentire con triste meraviglia
        com'è tutta la vita e il suo travaglio
        in questo seguitare una muraglia
        che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          I limoni

          Ascoltami, i poeti laureati
          si muovono soltanto fra le piante
          dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
          Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
          fossi dove in pozzanghere
          mezzo seccate agguantano i ragazzi
          qualche sparuta anguilla:
          le viuzze che seguono i ciglioni,
          discendono tra i ciuffi delle canne
          e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

          Meglio se le gazzarre degli uccelli
          si spengono inghiottite dall'azzurro:
          più chiaro si ascolta il susurro
          dei rami amici nell'aria che quasi non si muove,
          e i sensi di quest'odore
          che non sa staccarsi da terra
          e piove in petto una dolcezza inquieta.
          Qui delle divertite passioni
          per miracolo tace la guerra,
          qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
          ed è l'odore dei limoni.

          Vedi, in questi silenzi in cui le cose
          s'abbandonano e sembrano vicine
          a tradire il loro ultimo segreto,
          talora ci si aspetta
          di scoprire uno sbaglio di Natura,
          il punto morto del mondo, l'anello che non tiene,
          il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
          nel mezzo di una verità
          Lo sguardo fruga d'intorno,
          la mente indaga accorda disunisce
          nel profumo che dilaga
          quando il giorno più languisce.
          Sono i silenzi in cui si vede
          in ogni ombra umana che si allontana
          qualche disturbata Divinità

          Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo
          nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra
          soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
          La pioggia stanca la terra, di poi; s'affolta
          il tedio dell'inverno sulle case,
          la luce si fa avara - amara l'anima.
          Quando un giorno da un malchiuso portone
          tra gli alberi di una corte
          ci si mostrano i gialli dei limoni;
          e il gelo del cuore si sfa,
          e in petto ci scrosciano
          le loro canzoni
          le trombe d'oro della solarità.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Al mare (o quasi)

            L'ultima cicala stride
            sulla scorza gialla dell'eucalipto
            i bambini raccolgono pinòli
            indispensabili per la galantina
            un cane alano urla dall'inferriata
            di una villa ormai disabitata
            le ville furono costruite dai padri
            ma i figli non le hanno volute
            ci sarebbe spazio per centomila terremotati
            di qui non si vede nemmeno la proda
            se può chiamarsi cosí quell'ottanta per cento
            ceduta in uso ai bagnini
            e sarebbe eccessivo pretendervi
            una pace alcionica
            il mare è d'altronde infestato
            mentre i rifiuti in totale
            formano ondulate collinette plastiche
            esaurite le siepi hanno avuto lo sfratto
            i deliziosi figli della ruggine
            gli scriccioli o reatini come spesso
            li citano i poeti. E c'è anche qualche boccio
            di magnolia l'etichetta di un pediatra
            ma qui i bambini volano in bicicletta
            e non hanno bisogno delle sue cure
            Chi vuole respirare a grandi zaffate
            la musa del nostro tempo la precarietà
            può passare di qui senza affrettarsi
            è il colpo secco quello che fa orrore
            non già l'evanescenza il dolce afflato del nulla
            Hic manebimus se vi piace non proprio
            ottimamente ma il meglio sarebbe troppo simile
            alla morte ( e questa piace solo ai giovani)
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              Non chiederci la parola

              Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
              l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
              lo dichiari e risplenda come un croco
              perduto in mezzo a un polveroso prato.

              Ah l'uomo che se ne va sicuro,
              agli altri ed a se stesso amico,
              e l'ombra sua non cura che la canicola
              stampa sopra uno scalcinato muro!

              Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
              sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
              Codesto solo oggi possiamo dirti,
              ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Spesso il male di vivere ho incontrato

                Spesso il male di vivere ho incontrato:
                era il rivo strozzato che gorgoglia,
                era l'incartocciarsi della foglia
                riarsa, era il cavallo stramazzato.
                Bene non seppi; fuori del prodigio
                che schiude la divina Indifferenza:
                era la statua nella sonnolenza
                del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale

                  Ho sceso, dandoti il braccio, almeno milioni di scale
                  e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
                  Anche così è stato breve il nostro viaggio.
                  Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
                  le coincidenze, le prenotazioni,
                  le trappole, gli scorni di chi crede
                  che la realtà sia quella che si vede.
                  Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
                  non già perché con quattr'occhi forse si vede di più.
                  Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
                  le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
                  erano le tue.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
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                    Forse un mattino

                    Forse un mattino andando in un'aria di vetro,
                    arida, rivolgendomi, vedrò compirsi il miracolo:
                    il nulla alle mie spalle, il vuoto dietro
                    di me, con un terrore da ubriaco.

                    Poi, come s'uno schermo, s'accamperanno di gitto
                    alberi, case, colli per l'inganno consueto.
                    Ma sarà troppo tardi; ed io me n'andrò zitto
                    tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto.
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