E l'acqua cade su la morta estate, e l'acqua scroscia su le morte foglie; e tutto è chiuso, e intorno le ventate gettano l'acqua alle inverdite soglie; e intorno i tuoni brontolano in aria; se non qualcuno che rotola giù. Apersi un poco la finestra: udii rugliare in piena due torrenti e un fiume; e mi parve d'udir due scoppiettìi e di vedere un nereggiar di piume. O rondinella spersa e solitaria, per questo tempo come sei qui tu? Oh! non è questo un temporale estivo col giorno buio e con la rosea sera, sera che par la sera dell'arrivo, tenera e fresca come a primavera, quando, trovati i vecchi nidi al tetto, li salutava allegra la tribù. Se n'è partita la tribù, da tanto! Tanto, che forse pensano al ritorno, tanto, che forse già provano il canto che canteranno all'alba di quel giorno: sognano l'alba di San Benedetto nel lontano Baghirmi e nel Bornù. E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote, l'acqua mi sferza, mi respinge il vento. Non più gli scoppiettìi, ma le remote voci dei fiumi, ma sgrondare io sento sempre più l'acqua, rotolare il tuono, il vento alzare ogni minuto più. E fuori vedo due ombre, due voli, due volastrucci nella sera mesta, rimasti qui nel grigio autunno soli, ch'aliano soli in mezzo alla tempesta: rimasti addietro il giorno del frastuono, delle grida d'amore e gioventù. Son padre e madre. C'è sotto le gronde un nido, in fila con quei nidi muti, il lor nido che geme e che nasconde sei rondinini non ancor pennuti. Al primo nido già toccò sventura. Fecero questo accanto a quel che fu. Oh! tardi! Il nido ch'è due nidi al cuore, ha fame in mezzo a tante cose morte; e l'anno è morto, ed anche il giorno muore, e il tuono muglia, e il vento urla più forte, e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura, e quello ch'era non sarà mai più.
Un murmure, un rombo... Son solo: ho la testa confusa di tetri pensieri. Mi desta quel murmure ai vetri. Che brontoli, o bombo? Che nuove mi porti? E cadono l'ore giù giù, con un lento gocciare. Nel cuore lontane risento parole di morti... Che brontoli, o bombo? Che avviene nel mondo? Silenzio infinito. Ma insiste profondo, solingo smarrito, quel lugubre rombo.
Come un'arca d'aromi oltremarini, il santuario, a mezzo la scogliera, esala ancora l'inno e la preghiera tra i lunghi intercolunnii dè pini; e trema ancor dè palpiti divini che l'hanno scosso nella dolce sera, quando dalla grand'abside severa uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini. S'incurva in una luminosa arcata il ciel sovr'esso: alle colline estreme il Carro è fermo e spia l'ombra che sale. Sale con l'ombra il suon d'una cascata che grave nel silenzio sacro geme con un sospiro eternamente uguale.
L'osteria della pergola è in faccende: piena è di grida, di brusìo, di sordi tonfi; il camin fumante a tratti splende. Sulla soglia, tra il nembo degli odori pingui, un mendico brontola: Altri tordi c'era una volta, e altri cacciatori. Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno dal villaggio a rintocchi lenti squilla; e dai remoti campanili intorno un'ondata di riso empie la villa.
Allora... in un tempo assai lunge felice fui molto; non ora: ma quanta dolcezza mi giunge da tanta dolcezza d'allora! Quell'anno! Per anni che poi fuggirono, che fuggiranno, non puoi, mio pensiero, non puoi, portare con te, che quell'anno! Un giorno fu quello, ch'è senza compagno, ch'è senza ritorno; la vita fu vana parvenza sì prima sì dopo quel giorno! Un punto!... così passeggero, che in vero passò non raggiunto, ma bello così, che molto ero felice, felice, quel punto!
Si sente un galoppo lontano (è la...? ), che viene, che corre nel piano con tremula rapidità. Un piano deserto, infinito; tutto ampio, tutt'arido, eguale: qualche ombra d'uccello smarrito, che scivola simile a strale: non altro. Essi fuggono via da qualche remoto sfacelo; ma quale, ma dove egli sia, non sa né la terra né il cielo. Si sente un galoppo lontano più forte, che viene, che corre nel piano: la Morte! La Morte! La Morte!
O mamma, o mammina, hai stirato la nuova camicia di lino? Non c'era laggiù tra il bucato, sul bossolo o sul biancospino. Su gli occhi tu tieni le mani... Perché? Non lo sai che domani...? din don dan, din don dan. Si parlano i bianchi villaggi cantando in un lume di rosa: dell'ombra dè monti selvaggi si sente una romba festosa. Tu tieni a gli orecchi le mani... tu piangi; ed è festa domani... din don dan, din don dan. Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve... quanti anni ora sono? Una sera... il bimbo era freddo, di neve; il bimbo era bianco, di cera: allora sonò la campana (perché non pareva lontana? ) din don dan, din don dan. Sonavano a festa, come ora, per l'angiolo; il nuovo angioletto nel cielo volava a quell'ora; ma tu lo volevi al tuo petto, con noi, nella piccola zana: gridavi; e lassù la campana... din don dan, din don dan.