Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il Cavallino

O bel clivo fiorito Cavallino
ch'io varcai cò leggiadri eguali a schiera
al mio bel tempo; chi sa dir se l'era
d'olmo la tua parlante ombra o di pino?
Era busso ricciuto o biancospino,
da cui dorata trasparia la sera?
C'è un campanile tra una selva nera,
che canta, bianco, l'inno mattutino?
Non so: ché quando a te s'appressa il vano
desìo, per entro il cielo fuggitivo
te vedo incerta vision fluire.
So ch'or sembri il paese allor lontano
lontano, che dal tuo fiorito clivo
io rimirai nel limpido avvenire.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Alba festiva

    Che hanno le campane,
    che squillano vicine,
    che ronzano lontane?
    È un inno senza fine,
    or d'oro, ora d'argento,
    nell'ombre mattutine.
    Con un dondolìo lento
    implori, o voce d'oro,
    nel cielo sonnolento.
    Tra il cantico sonoro
    il tuo tintinno squilla,
    voce argentina - Adoro,
    adoro - Dilla, dilla,
    la nota d'oro - L'onda
    pende dal ciel, tranquilla.
    Ma voce più profonda
    sotto l'amor rimbomba,
    par che al desìo risponda:
    la voce della tomba.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Dalla spiaggia

      C'è sopra il mare tutto abbonacciato
      il tremolare quasi d'una maglia:
      in fondo in fondo un ermo colonnato,
      nivee colonne d'un candor che abbaglia:
      una rovina bianca e solitaria,
      là dove azzurra è l'acqua come l'aria:
      il mare nella calma dell'estate
      ne canta tra le sue larghe sorsate.
      O bianco tempio che credei vedere
      nel chiaro giorno, dove sei vanito?
      Due barche stanno immobilmente nere,
      due barche in panna in mezzo all'infinito.
      E le due barche sembrano due bare
      smarrite in mezzo all'infinito mare;
      e piano il mare scivola alla riva
      e ne sospira nella calma estiva.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Il fiume

        Fiume che là specchiasti un casolare
        cò suoi rossi garofani, qua mura
        d'erme castella, e tremula verzura;
        eccoti giunto al fragoroso mare:
        ed ecco i flutti verso te balzare
        su dall'interminabile pianura,
        in larghe file; e nella riva oscura
        questa si frange, e quella in alto appare;
        tituba e croscia. E là, donde tu lieto,
        di sasso in sasso, al piè d'una betulla,
        sgorghi sonoro tra le brevi sponde;
        a un po' d'auretta scricchiola il canneto,
        fruscia il castagno, e forse una fanciulla
        sogna a quell'ombre, al mormorìo dell'onde.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Canzone d'Aprile

          Fantasma tu giungi,
          tu parti mistero.
          Venisti, o di lungi?
          Ché lega già il pero,
          fiorisce il cotogno
          laggiù.
          Di cincie e fringuelli
          risuona la ripa.
          Sei tu tra gli ornelli,
          sei tu tra la stipa?
          Ombra! Anima! Sogno!
          Sei tu...?
          Ogni anno a te grido
          con palpito nuovo.
          Tu giungi: sorrido;
          tu parti: mi trovo
          due lagrime amare
          di più.
          Quest'anno... oh! Quest'anno,
          la gioia vien teco:
          già l'odo, o m'inganno,
          quell'eco dell'eco;
          già t'odo cantare
          Cu... cu.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Anniversario (1889)

            Sono più di trent'anni e, di queste ore,
            mamma, tu con dolor m'hai partorito;
            ed il mio nuovo piccolo vagito
            t'addolorava più del tuo dolore.
            Poi tra il dolore sempre ed il timore,
            o dolce madre, m'hai di te nutrito:
            e quando fui del corpo tuo vestito,
            quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore,
            allor sei morta; e son vent'anni: un giorno!
            E già gli occhi materni io penso a vuoto;
            e il caro viso già mi si scolora;
            mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno
            freddo dè morti, nel tuo sogno immoto,
            tu m'accarezzi i riccioli d'allora.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Nevicata

              Nevica: l'aria brulica di bianco;
              la terra è bianca; neve sopra neve:
              gemono gli olmi a un lungo mugghio stanco:
              cade del bianco con un tonfo lieve.
              E le ventate soffiano di schianto
              e per le vie mulina la bufera;
              passano bimbi: un balbettìo di pianto;
              passa una madre: passa una preghiera.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Il poeta solitario

                O dolce usignolo che ascolto
                (non sai dove), in questa gran pace
                cantare cantare tra il folto,
                là, dei sanguini e delle acace;
                t'ho presa - perdona, usignolo -
                una dolce nota, sol una,
                ch'io canto tra me, solo solo,
                nella sera, al lume di luna.
                E pare una tremula bolla
                tra l'odore acuto del fieno,
                un molle gorgoglio di polla,
                un lontano fischio di treno...
                Chi passa, al morire del giorno,
                ch'ode un fischio lungo laggiù
                riprende nel cuore il ritorno
                verso quello che non è più.
                Si trova al nativo villaggio,
                vi ritrova quello che c'era:
                l'odore di mesi-di-maggio
                buon odor di rose e di cera.
                Ne ronzano le litanie,
                come l'api intorno una culla:
                ci sono due voci sì pie!
                Di sua madre e d'una fanciulla.
                Poi fatto silenzio, pian piano,
                nella nota mia, che t'ho presa,
                risente squillare il lontano
                campanello della sua chiesa.
                Riprende l'antica preghiera,
                ch'ora ora non ha perché;
                si trova con quello che c'era,
                ch'ora ora ora non c'è...
                Chi sono? Non chiederlo. Io piango,
                ma di notte, perch'ho vergogna.
                O alato, io qui vivo nel fango.
                Sono un gramo rospo che sogna.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Fanciullo Mendico (Canti di Castelvecchio)

                  Ho nel cuore la mesta parola
                  d'un bimbo ch'all'uscio mi viene.
                  Una lagrima sparsi, una sola,
                  per tante sue povere pene;
                  e pur quella pensai che vanisse
                  negl'ispidi riccioli ignota:
                  egli alzò le pupille sue fisse,
                  sentendosi molle la gota.
                  E io, quasi chiedendo perdono,
                  gli tersi la stilla smarrita,
                  con un bacio, e ponevo il mio dono
                  tra quelle sue povere dita.
                  Ed allora ne intesi nel cuore
                  la voce che ancora vi sta:
                  Non li voglio: non voglio, signore,
                  che scemi le vostra pietà.
                  E quand'egli già fuor del cancello
                  riprese il solingo sentiero,
                  io sentii, che, il suo grave fardello,
                  godeva a portarselo intiero:
                  e chiamava sua madre, che sorta
                  pareva da nebbie lontane,
                  a vederlo; poi ch'erano, morta
                  lei, morta! Ma lui senza pane.
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