Poesie d'Autore


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

In viaggio

Si ferma, e già fischia, ed insieme,
tra il ferreo strepito del treno,
si sente una squilla che geme,
là da un paesello sereno,
paesello lungo la via:
Ave Maria...
Un poco, tra l'ansia crescente
della nera vaporiera,
l'addio della sera si sente
seguire come una preghiera,
seguire il treno che s'avvia:
Ave Maria...
E, come se voglia e non voglia,
il treno nel partir vacilla:
quel suono ci chiama alla soglia
e alla lampada che brilla,
nella casa, ch'è una badia:
Ave Maria...
Il padre a quel suono rincasa
facendo un passo ad ogni tocco;
e subito all'uscio di casa
trova il visino del suo cocco,
del più piccino che ci sia...
Ave Maria...
Si chiude, la casa; e s'appanna
d'un tratto il vocerìo che c'è;
si chiude, ristringe, accapanna,
per parlare tra sé e sé;
e saluta la compagnia...
Ave Maria...
O, tinta d'un lieve rossore,
casina che sorridi al sole!
Per noi c'è la notte con l'ore
lunghe lunghe, con l'ore sole,
con l'ore di malinconia...
Ave Maria...
Il treno già vola e ci porta
sbuffando l'alito di fuoco;
e ancora nell'aria più smorta
ci giunge quell'addio più fioco,
dal paese che fugge via:
Ave Maria...
E cessa. Ma uno che vuole
velar gli occhi, pensar lontano,
tra gemiti e strilli e parole,
tra il frastuono or tremolo or piano,
ode il suono che non s'oblia:
Ave Maria...
Con l'uomo che va nella notte,
tra gli aspri urli, i lunghi racconti
del treno che corre per grotte
di monti, sopra lenti ponti,
vien nell'ombrìa la voce pia:
Ave Maria...
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Il Cane

    Noi mentre il mondo va per la sua strada,
    noi ci rodiamo, e in cuor doppio è l'affanno,
    e perché vada, e perché lento vada.
    Tal, quando passa il grave carro avanti
    del casolare, che il rozzon normanno
    stampa il suolo con zoccoli sonanti,
    sbuca il can dalla fratta, come il vento;
    lo precorre, rincorre; uggiola, abbaia.
    Il carro è dilungato lento lento.
    Il cane torna sternutando all'aia.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Tra il dolore e la gioia

      Vidi il mio sogno sopra il monte in cima;
      era una striscia pallida, cò suoi
      Boschi d'un verde quale mai né prima
      vidi né poi.
      Prima, il sonante nembo coi velari,
      tutto ascondeva, delle nubi nere:
      poi, tutto il sole disvelò del pari
      bello a vedere.
      Ma quel mio sogno al raggio d'un'aurora
      nuova m'apparve e sparve in un baleno,
      che il ciel non era torbo più né ancora
      tutto sereno.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Le Ciaramelle

        Udii tra il sonno le ciaramelle,
        ho udito un suono di ninne nanne.
        Ci sono in cielo tutte le stelle,
        ci sono i lumi nelle capanne.
        Sono venute dai monti oscuri
        le ciaramelle senza dir niente;
        hanno destata nè suoi tuguri
        tutta la buona povera gente.
        Ognuno è sorto dal suo giaciglio;
        accende il lume sotto la trave;
        sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio,
        di cauti passi, di voce grave.
        Le pie lucerne brillano intorno,
        là nella casa, qua su la siepe:
        sembra la terra, prima di giorno,
        un piccoletto grande presepe.
        Nel cielo azzurro tutte le stelle
        paion restare come in attesa;
        ed ecco alzare le ciaramelle
        il loro dolce suono di chiesa;
        suono di chiesa, suono di chiostro,
        suono di casa, suono di culla,
        suono di mamma, suono del nostro
        dolce e passato pianger di nulla.
        O ciaramelle degli anni primi,
        d'avanti il giorno, d'avanti il vero,
        or che le stelle son là sublimi,
        conscie del nostro breve mistero;
        che non ancora si pensa al pane,
        che non ancora s'accende il fuoco;
        prima del grido delle campane
        fateci dunque piangere un poco.
        Non più di nulla, sì di qualcosa,
        di tante cose! Ma il cuor lo vuole,
        quel pianto grande che poi riposa,
        quel gran dolore che poi non duole;
        sopra le nuove pene sue vere
        vuol quei singulti senza ragione:
        sul suo martòro, sul suo piacere,
        vuol quelle antiche lagrime buone!
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          L'or di notte

          Nelle case, dove ancora
          si ragiona coi vicini
          presso al fuoco, e già la nuora
          porta a nanna i suoi bambini,
          uno in collo e due per mano;
          pel camino nero il vento,
          tra lo scoppiettar dei ciocchi,
          porta un suono lungo e lento,
          tre, poi cinque, sette tocchi,
          da un paese assai lontano:
          tre, poi cinque e sette voci,
          lente e languide, di gente:
          voci dal borgo alle croci,
          gente che non ha più niente:
          - Fate piano! Piano! Piano!
          Non vogliamo saper nulla:
          notte? Giorno? Verno? State?
          Piano, voi, con quella culla!
          Che non pianga il bimbo... Fate
          piano! Piano! Piano! Piano!
          Non vogliamo ricordare
          vino e grano, monte e piano,
          la capanna, il focolare,
          mamma, bimbi... Fate piano!
          Piano! Piano! Piano! Piano!
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Dopo l'acquazzone (Myricae)

            Passò strosciando e sibilando il nero
            nembo: or la chiesa squilla; il tetto, rosso,
            luccica; un fresco odor dal cimitero
            viene, di bosso.
            Presso la chiesa; mentre la sua voce
            tintinna, canta, a onde lunghe romba;
            ruzza uno stuolo, ed alla grande croce
            tornano a bomba.
            Un vel di pioggia vela l'orizzonte;
            ma il cimitero, sotto il ciel sereno,
            placido olezza: va da monte a monte
            l'arcobaleno.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
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              I due girovaghi

              Siamo soli. Bianca l'aria
              vola come in un mulino.
              Nella terra solitaria
              siamo in due, sempre in cammino.
              Soli i miei, soli i tuoi stracci
              per le vie. Non altro suono
              che due gridi:
              - Oggi ci sono
              e doman me ne vo...
              - Stacci!
              Stacci! Stacci!
              Io di qua, battendo i denti,
              tu di là, pestando i piedi:
              non ti vedo e tu mi senti;
              io ti sento, e non mi vedi.
              Noi gettiamo i nostri urlacci,
              come cani in abbandono
              fuor dell'uscio:
              - Oggi ci sono
              e doman me ne vo...
              - Stacci!
              Stacci! Stacci!
              Questa terra ha certe porte,
              che ci s'entra e non se n'esce.
              È il castello della morte.
              S'ode qui l'erba che cresce:
              crescer l'erba e i rosolacci
              qui, di notte, al tempo buono:
              ma nient'altro...
              - Oggi ci sono
              e doman me ne vo...
              - Stacci!
              Stacci! Stacci!
              C'incontriamo... Io ti derido?!
              No, compagno nello stento!
              No, fratello! È un vano grido
              che gettiamo al freddo vento.
              Né c'è un viso che s'affacci
              per dire, Eh! Spazzacamino!...
              per dire, Oh! Quel vecchiettino
              degli stacci...
              degli stacci!...
              - stacci! Stacci!
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                Scritta da: Silvana Stremiz
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                Pioggia

                Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
                E gracidò nel bosco la cornacchia:
                il sole si mostrava a finestrelle.
                Il sol dorò la nebbia della macchia,
                poi si nascose; e piovve a catinelle.
                Poi fra il cantare delle raganelle
                guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
                Stupìano i rondinotti dell'estate
                di quel sottile scendere di spille:
                era un brusìo con languide sorsate
                e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
                poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
                di stille d'oro in coppe di cristallo.
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
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                  Morii per la Bellezza, e non appena

                  Morii per la Bellezza, e non appena
                  mi ebbero accomodata nella tomba
                  un uomo morto per la Verità
                  venne deposto nella stanza attigua.
                  Mi chiese piano perché fossi morta.
                  "Per la Bellezza", gli risposti pronta,
                  "Io per la Verità", soggiunse lui.
                  "Sono una cosa sola, siam fratelli".
                  Come parenti incontratisi una notte,
                  conversammo da una stanza all'altra,
                  finché il muschio ci raggiunse le labbra,
                  ricoprendo per sempre i nostri nomi.
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