Alla fine il segreto viene fuori, come deve succedere ogni volta, è matura la deliziosa storia da raccontare all'amico del cuore; davanti al tè fumante e nella piazza la lingua ottiene quello che voleva; le acque chete corrono profonde mio caro, non c'è fumo senza fuoco.
Dietro il morto in fondo al serbatoio, dietro il fantasma sul prato da golf, dietro la dama che ama il ballo e dietro il signore che beve come un matto, sotto l'aspetto affaticato, l'attacco di emicrania e il sospiro c'è sempre un'altra storia, c'è più di quello che si mostra all'occhio.
Per la voce argentina che d'un tratto canta lassù dal muro del convento, per l'odore che viene dai sanbuchi, per le stampe di caccia nell'ingresso, per le gare di croquet in estate, la tosse, il bacio, la stretta di mano, c'è sempre un segreto malizioso, un motivo privato in tutto questo.
Fermate tutti gli orologi, isolate il telefono, fate tacere il cane con un osso succulento, chiudete i pianoforti e fra un rullio smorzato portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.
Incrocino gli aereoplani lassù e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto, allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni, i vigili si mettano i guanti di tela nera.
Lui era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed il mio Ovest, la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica, il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto; pensavo che l'amore fosse eterno: avevo torto.
Non servono più le stelle: spegnetele anche tutte; imballate la luna, smontate pure il sole; svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco; perché ormai nulla può giovare.
Dicono alcuni che amore è un bambino e alcuni che è un uccello, alcuni che manda avanti il mondo e alcuni che è un'assurdità e quando ho domandato al mio vicino, che aveva tutta l'aria di sapere, sua moglie si è seccata e ha detto che non era il caso, no.
Assomiglia a una coppia di pigiami o al salame dove non c'è da bere? Per l'odore può ricordare i lama o avrà un profumo consolante? È pungente a toccarlo, come un prugno o è lieve come morbido piumino? È tagliente o ben lischio lungo gli orli? La verità, vi prego, sull'amore.
I manuali di storia ce ne parlano in qualche noticina misteriosa, ma è un argomento assai comune a bordo delle navi da crociera; ho trovato che vi si accenna nelle cronache dei suicidi e l'ho visto persino scribacchiato sul retro degli orari ferroviari.
Ha il latrato di un alsaziano a dieta o il bum-bum di una banda militare? Si può farne una buona imitazione su una sega o uno Steinway da concerto? Quando canta alle este è un finimondo? Apprezzerà soltanto roba classica? Smetterà se si vuole un po' di pace? La verità grave, vi prego, sull'amore.
Sono andato a guardare nel bersò lì non c'era mai stato; ho esportato il Tamigi a Maidenhead, e poi l'aria balsamica di Brighton. Non so che cosa mi cantasse il merlo, o che cosa dicesse il tulipano, ma non era nascosto nel pollaio e non era nemmeno sotto il letto.
Sa fare delle smorfie straordinarie? Sull'altalena soffre di vertigini? Passerà tutto il suo tempo alle corse o strimpellando corde sbrindellate? Avrà idee personali sul denaro? È un buon patriota o mica tanto? Ne racconta di allegre, anche se spinte? La verità, vi prego, sull'amore.
Quando viene, verrà senza avvisare, proprio mentre sto frugando il naso? Busserà la mattina alla mia porta o là sul bus mi pesterà un piede? Accedrà come quando cambia il tempo? Sarà cortese o spiccio il suo saluto? Darà una svolta a tutta la mia vita? La verità, vi prego, sull'amore.
"Parla il cameriere" Quando tiene i discorsi, è vero, è rivoluzionario, lo ammetto: ma quando non parla cambia aspetto, diventa di tutt'altro umore.
È a casa che avviene il cambiamento: povero me, se manco di rispetto! O se nel dargli un foglio non lo metto come vuole lui, nel vassoio d'argento!
Ti basti questo: quando va in campagna a tenere le conferenze nei comizi sua moglie la chiama: la compagna. La compagna? Benissimo: ma allora perché con le persone di servizio continua a chiamarla: la mia signora?
- Alzatevi, accusata: vi chiamate? - Pia Tonzi. - Maritata? - Sissignora. - Con prole? - No... con uno che lavora... - D'anni? - Ventotto. - Che mestiere fate?
- Esco la sera verso una cert'ora... - Già, comprendo benissimo, abbordate... - Oh, dico, sor pretore, rispettate l'onorabbilità d'una signora!
- Ma le guardie vi presero al momento che facevate i segni ad un signore, scandalizzando tutto il casamento...
- Loro potranno divve quer che vonno: ma io, su le questioni de l'onore, fo come li Ministri: nun risponno!
Un lupo che beveva in un ruscello vidde, dall'antra parte de la riva, l'immancabbile Agnello. -Perché nun venghi qui? - je chiese er Lupo - L'acqua, in quer punto, é torbida e cattiva e un porco ce fa spesso er semicupio. Da me, che nun ce bazzica er bestiame, er ruscelletto è limpido e pulito... - L'Agnello disse: - Accetterò l'invito quanno avrò sete e tu nun avrai fame.
Er Chirichetto d'una sacrestia sfasciò l'ombrello su la groppa a un gatto pè castigallo d'una porcheria. - Che fai? - je strillò er Prete ner vedello - Ce vò un coraccio nero come er tuo pè menaje in quer modo... Poverello!... - Che? - fece er Chirichetto - er gatto è suo? - Er Prete disse: - No... ma è mio l'ombrello! -.
Torno, ritrovo il fenomeno della fuga del capitale, l'epifenomeno (infimo) dell'avanguardia. La polizia tributaria (quasi accertamento filosofico sugli incartamenti di un poeta) fruga in quel fatto privato che sono i soldi, contaminati da carità, dolenti di inspiegabili consunzioni, e pieni di senso di colpa, come il corpo da ragazzi: però con mia gongolante leggerezza perché qua, non c'è da accertare nulla, se non la mia ingenuità. Torno, e trovo milioni di uomini occupati soltanto a vivere come barbari discesi da poco su una terra felice, estranei ad essa, e suoi possessori. Così nella vigilia della Preistoria che a tutto ciò darà senso, riprendo a Roma le mie abitudini di bestia ferita, che guarda negli occhi, godendo del morire, i suoi feritori….
Mi domando che madri avete avuto. Se ora vi vedessero al lavoro in un mondo a loro sconosciuto, presi in un giro mai compiuto d'esperienze così diverse dalle loro, che sguardo avrebbero negli occhi? Se fossero lì, mentre voi scrivete il vostro pezzo, conformisti e barocchi, o lo passate a redattori rotti a ogni compromesso, capirebbero chi siete?
Madri vili, con nel viso il timore antico, quello che come un male deforma i lineamenti in un biancore che li annebbia, li allontana dal cuore, li chiude nel vecchio rifiuto morale. Madri vili, poverine, preoccupate che i figli conoscano la viltà per chiedere un posto, per essere pratici, per non offendere anime privilegiate, per difendersi da ogni pietà.
Madri mediocri, che hanno imparato con umiltà di bambine, di noi, un unico, nudo significato, con anime in cui il mondo è dannato a non dare né dolore né gioia. Madri mediocri, che non hanno avuto per voi mai una parola d'amore, se non d'un amore sordidamente muto di bestia, e in esso v'hanno cresciuto, impotenti ai reali richiami del cuore.
Madri servili, abituate da secoli a chinare senza amore la testa, a trasmettere al loro feto l'antico, vergognoso segreto d'accontentarsi dei resti della festa. Madri servili, che vi hanno insegnato come il servo può essere felice odiando chi è, come lui, legato, come può essere, tradendo, beato, e sicuro, facendo ciò che non dice.
Madri feroci, intente a difendere quel poco che, borghesi, possiedono, la normalità e lo stipendio, quasi con rabbia di chi si vendichi o sia stretto da un assurdo assedio. Madri feroci, che vi hanno detto: Sopravvivete! Pensate a voi! Non provate mai pietà o rispetto per nessuno, covate nel petto la vostra integrità di avvoltoi!
Ecco, vili, mediocri, servi, feroci, le vostre povere madri! Che non hanno vergogna a sapervi – nel vostro odio – addirittura superbi, se non è questa che una valle di lacrime. È così che vi appartiene questo mondo: fatti fratelli nelle opposte passioni, o le patrie nemiche, dal rifiuto profondo a essere diversi: a rispondere del selvaggio dolore di esser uomini.