il tempo è malato i fanciulli non giocano più le ragazze non hanno più occhi che splendono a sera.
E anche gli amori non si cantano più, le speranze non hanno più voce, i morti doppiamente morti al freddo di queste liturgie:
ognuno torna alla sua casa sempre più solo.
Tempo è di tornare poveri per ritrovare il sapore del pane, per reggere alla luce del sole per varcare sereni la notte e cantare la sete della cerva. E la gente, l'umile gente abbia ancora chi l'ascolta, e trovino udienza le preghiere.
La sera fumosa d'estate Dall'alta invetriata mesce chiarori nell'ombra E mi lascia nel cuore un suggello ardente. Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? C'è Nella stanza un odor di putredine: c'è Nella stanza una piaga rossa languente. Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto: E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c'è, Nel cuore della sera c'è, Sempre una piaga rossa languente.
Firenze nel fondo era gorgo di luci di fremiti sordi: Con ali di fuoco i lunghi rumori fuggenti Del tram spaziavano: il fiume mostruoso Torpido riluceva come un serpente a squame. Su un circolo incerto le inquiete facce beffarde Dei ladri, ed io tra i doppi lunghi cipressi uguali a fiaccole spente Più aspro ai cipressi le siepi Più aspro del fremer dei bussi, Che dal mio cuore il mio amore, Che dal mio cuore, l'amore un ruffiano che intonò e cantò: Amo le vecchie troie Gonfie lievitate di sperma Che cadono come rospi a quattro zampe sovra la coltrice rossa E aspettano e sbuffano ed ansimano Flaccide come mantici.
Il vecchio castello che ride sereno sull'alto La valle canora dove si snoda l'azzurro fiume Che rotto e muggente a tratti canta epopea E sereno riposa in larghi specchi d'azzurro: Vita e sogno che in fondo alla mistica valle Agitate l'anima dei secoli passati: Ora per voi la speranza Nell'aria ininterrottamente Sopra l'ombra del bosco che la annega Sale in lontano appello Insaziabilmente Batte al mio cuor che trema di vertigine.
Le vele le vele le vele Che schioccano e frustano al vento Che gonfia di vane sequele Le vele le vele le vele! Che tesson e tesson: lamento Volubil che l'onda che ammorza Ne l'onda volubile smorza... Ne l'ultimo schianto crudele... Le vele le vele le vele.
Al giardino spettrale al lauro muto de le verdi ghirlande a la terra autunnale un ultimo saluto! A l'aride pendici aspre arrossate nell'estremo sole confusa di rumori rauchi grida la lontana vita: grida al morente sole che insanguina le aiole. S'intende una fanfara che straziante sale: il fiume spare ne le arene dorate; nel silenzio stanno le bianche statue a capo i ponti volte: e le cose già non sono più. E dal fondo silenzio come un coro tenero e grandioso sorge ed anela in alto al mio balcone: e in aroma d'alloro, in aroma d'alloro acre languente, tra le statue immortali nel tramonto ella m'appar, presente.
Non so se tra rocce il tuo pallido viso m'apparve, o sorriso di lontananze ignote fosti, la china eburnea fronte fulgente o giovine suora de la Gioconda: o delle primavere spente, per i tuoi mitici pallori o Regina o Regina adolescente: ma per il tuo ignoto poema di voluttà e di dolore musica fanciulla esangue segnato di linea di sangue nel cerchio delle labbra sinuose, regina de la melodia: ma per il vergine capo reclino, io poeta notturno vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo, io per il tuo dolce mistero io per il tuo divenir taciturno. Non so se la fiamma pallida fu dei capelli il vivente segno del suo pallore, non so se fu un dolce vapore, dolce sul mio dolore, sorriso di un volto notturno: guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti e l'immobilità dei firmamenti e i gonfii rivi che vanno piangenti e l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti e ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti e ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.
Tu mi portasti un po' d'alga marina Nei tuoi capelli, ed un odor di vento, Che è corso di lontano e giunge grave D'ardore, era nel tuo corpo bronzino: -Oh la divina Semplicità delle tue forme snelle- Non amore non spasimo, un fantasma, Un'ombra della necessità che vaga Serena e ineluttabile per l'anima E la discioglie in gioia, in incanto serena Perché per l'infinito lo scirocco Se la possa portare. Come è piccolo il mondo e leggero nelle tue mani!
O poesia poesia poesia Sorgi, sorgi, sorgi Su dalla febbre elettrica del selciato notturno. Sfrenati dalle elastiche silhouttes equivoche Guizza nello scatto e nell'urlo improvviso Sopra l'anonima fucileria monotona Delle voci instancabili come i flutti Stride la troia perversa al quadrivio Poiché l'elegantone le rubò il cagnolino Saltella una cocotte cavalletta Da un marciapiede a un altro tutta verde E scortica le mie midolla il raschio ferrigno del tram Silenzio - un gesto fulmineo Ha generato una pioggia di stelle Da un fianco che piega e rovina sotto il colpo prestigioso In un mantello di sangue vellutato occhieggiante Silenzio ancora. Commenta secco E sordo un revolver che annuncia E chiude un altro destino.