Ragazza d'acciaio non amavo nessuno al mondo Non amavo nessuno eccetto colui che amavo Il mio innamorato il mio amante colui che mi attraeva Ora tutto e cambiato è lui che ha cessato di amarmi Il mio innamorato che ha cessato di attirarmi sono io? Non lo so e poi cosa cambìa? Sono ora stesa sulla paglia umida dell'amore Tutta sola con tutti gli altri tutta sola disperata Ragazza di latta ragazza arrugginita O amore amore mio morto o vivo Voglio che tu ti ricordi del passato Amore che mi amavi da me ricambiato.
Il vecchio castello che ride sereno sull'alto La valle canora dove si snoda l'azzurro fiume Che rotto e muggente a tratti canta epopea E sereno riposa in larghi specchi d'azzurro: Vita e sogno che in fondo alla mistica valle Agitate l'anima dei secoli passati: Ora per voi la speranza Nell'aria ininterrottamente Sopra l'ombra del bosco che la annega Sale in lontano appello Insaziabilmente Batte al mio cuor che trema di vertigine.
Quelle labbra che Amor creò con le sue mani (Sonetto 145)
Quelle labbra che Amor creò con le sue mani bisbigliarono un suono che diceva "Io odio" a me, che per amor suo languivo: ma quando ella avvertì il mio penoso stato, subito nel suo cuore scese la pietà a rimproverar la lingua che sempre dolce soleva esprimersi nel dar miti condanne; e le insegnò a parlarmi in altro modo, "Io odio" ella emendò con un finale, che le seguì come un sereno giorno segue la notte che, simile a un demonio, dal cielo azzurro sprofonda nell'inferno. Dalle parole "Io odio" ella scacciò ogni odio e mi salvò la vita dicendomi "non te".
Aver casa è un bene dolce il sonno sotto il proprio tetto figli, giardino e cane. Ma certo appena ti sei riposato dall'ultimo viaggio
la lontananza t'insegue con nuove lusinghe. Meglio è patire di nostalgia di casa e sotto le alte stelle, solo, riposare con la propria melanconia.
Avere e riposare può soltanto, chi ha il cuore tranquillo, mentre il viandante sopporta fatiche e difficoltà con sempre delusa speranza.
In vero più lieve è il tormento di andare, più lieve che trovar pace nelle valli di casa, dove tra le gioie e le solite cure solo il saggio sa costruire la propria felicità.
Per me è meglio cercare e mai trovare che legarmi, caldo e stretto a quanto mi è accanto, perché anche nel bene, su questa terra sono solo ospite, mai cittadino.
Nella cala tranquilla scintilla, intesto di scaglia come l'antica lorica del catafratto, il Mare. Sembra trascolorare. S'argenta? S'oscura? A un tratto come colpo dismaglia l'arme, la forza del vento l'intacca. Non dura. Nasce l'onda fiacca, sùbito s'ammorza. Il vento rinforza. Altra onda nasce, si perde, come agnello che pasce pel verde: un fiocco di spuma che balza! Ma il vento riviene, rincalza, ridonda. Altra onda s'alza, nel suo nascimento più lene che ventre virginale! Palpita, sale, si gonfia, s'incurva, s'alluma, propende. Il dorso ampio splende come cristallo; la cima leggiera s'arruffa come criniera nivea di cavallo. Il vento la scavezza. L'onda si spezza, precipita nel cavo del solco sonora; spumeggia, biancheggia, s'infiora, odora, travolge la cuora, trae l'alga e l'ulva; s'allunga, rotola, galoppa; intoppa in altra cui 'l vento diè tempra diversa; l'avversa, l'assalta, la sormonta, vi si mesce, s'accresce. Di spruzzi, di sprazzi, di fiocchi, d'iridi ferve nella risacca; par che di crisopazzi scintilli e di berilli viridi a sacca. O sua favella! Sciacqua, sciaborda, scroscia, schiocca, schianta, romba, ride, canta, accorda, discorda, tutte accoglie e fonde le dissonanze acute nelle sue volute profonde, libera e bella, numerosa e folle, possente e molle, creatura viva che gode del suo mistero fugace. E per la riva l'ode la sua sorella scalza dal passo leggero e dalle gambe lisce, Aretusa rapace che rapisce la frutta ond'ha colmo suo grembo. Sùbito le balza il cor, le raggia il viso d'oro. Lascia ella il lembo, s'inclina al richiamo canoro; e la selvaggia rapina, l'acerbo suo tesoro oblìa nella melode. E anch'ella si gode come l'onda, l'asciutta fura, quasi che tutta la freschezza marina a nembo entro le giunga!
Quando tu sarai vecchia, bimba (Ronsard già te lo disse), ricorderai quei versi che io recitavo. Avrai i seni tristi d'aver cresciuto i figli, gli ultimi germogli della tua vita vuota... Io sarò così lungi che le tue mani di cera areranno il ricordo delle mie rovine nude. Comprenderai che può nevicare in Primavera e che in Primavera le nevi son più crude. Io sarò così lungi che l'amore e la pena che prima vuotai nella tua vita come un'anfora piena saranno condannati a morire tra le mie mani... E sarà tardi perché se n'è andata la mia adolescenza, tardi perché i fiori una volta danno essenza e perché anche se mi chiamerai io sarò così lungi.
Da qui si doveva cominciare: il cielo. Finestra senza davanzale, telaio, vetri. Un'apertura e nulla più, ma spalancata.
Non devo attendere una notte serena, né alzare la testa, per osservare il cielo. L'ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre. Il cielo mi avvolge ermeticamente e mi solleva dal basso.
Perfino le montagne più alte non sono più vicine al cielo delle valli più profonde. In nessun luogo ce n'è più che in un altro. La nuvola è schiacciata dal cielo inesorabilmente come la tomba. La talpa è al settimo cielo come il gufo che scuote le ali. La cosa che cade in un abisso cade da cielo a cielo.
Friabili, fluenti, rocciosi, infuocati e aerei, distese di cielo, briciole di cielo, folate e cumuli di cielo. Il cielo è onnipresente perfino nel buio sotto la pelle.
Mangio cielo, evacuo cielo. Sono una trappola in trappola, un abitante abitato, un abbraccio abbracciato, una domanda in risposta a una domanda.
La divisione in cielo e terra non è il modo appropriato di pensare a questa totalità. Permette solo di sopravvivere a un indirizzo più esatto, più facile da trovare, se dovessero cercarmi. Miei segni particolari: incanto e disperazione.
Oh, un terribile timore; La lietezza esplode Contro quei vetri al buio Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere - Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito Riapparizione ctonia! Non scherzo: ché tu hai esperienza Di un luogo che non ho mai esplorato, UN VUOTO NEL COSMO È vero che la mia terra è piccola Ma ho sempre affabulato sui luoghi inesplorati Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero Ma tu ci sei, qui, in voce La luna è risorta; le acque scorrono; il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO, che tu porti nei tuoi desideri e conosci? C'è il padre, sì, lui! Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli; come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto; fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando, su questa presunzione che per te è umile e non sai invece quanto sia superba essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza - L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi, ombra infernale vagolante nasconde E tu ci caschi Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto Ossia ciò che si deve conoscere; lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno o nell'Ombra che precede la vita e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi; odiala, odiala, odiala; e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa - in voce come una giovane figlia avida che però ha sperimentato dolcezza; Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso Con la trama dei rami neri; ormai classici; questa è la storia - Tu sorridi al Padre - Quella persona di cui non ho alcuna informazione, che ho frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo - strano, è da quel mostro di autorità che proviene anche la dolcezza se non altro come rassegnazione e breve vittoria; accidenti, come l'ho ignorato; così ignorato da non saperne niente - cosa fare?
Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare, ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto; ed è Nulla il dono di Nessuno; io fingo di ricevere; ti ringrazio, sinceramente grato; Ma il debole sorriso sfuggente non è di timidezza è lo sgomento, più terribile, ben più terribile di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa se non è che un incidente: ma al posto dell'Altro per me c'è un vuoto nel cosmo un vuoto nel cosmo e da là tu canti.