Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Ragazza d'acciaio

Ragazza d'acciaio non amavo nessuno al mondo
Non amavo nessuno eccetto colui che amavo
Il mio innamorato il mio amante colui che mi attraeva
Ora tutto e cambiato è lui che ha cessato di amarmi
Il mio innamorato che ha cessato di attirarmi sono io?
Non lo so e poi cosa cambìa?
Sono ora stesa sulla paglia umida dell'amore
Tutta sola con tutti gli altri tutta sola disperata
Ragazza di latta ragazza arrugginita
O amore amore mio morto o vivo
Voglio che tu ti ricordi del passato
Amore che mi amavi da me ricambiato.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Marradi

    Il vecchio castello che ride sereno sull'alto
    La valle canora dove si snoda l'azzurro fiume
    Che rotto e muggente a tratti canta epopea
    E sereno riposa in larghi specchi d'azzurro:
    Vita e sogno che in fondo alla mistica valle
    Agitate l'anima dei secoli passati:
    Ora per voi la speranza
    Nell'aria ininterrottamente
    Sopra l'ombra del bosco che la annega
    Sale in lontano appello
    Insaziabilmente
    Batte al mio cuor che trema di vertigine.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Quelle labbra che Amor creò con le sue mani (Sonetto 145)

      Quelle labbra che Amor creò con le sue mani
      bisbigliarono un suono che diceva "Io odio"
      a me, che per amor suo languivo:
      ma quando ella avvertì il mio penoso stato,
      subito nel suo cuore scese la pietà
      a rimproverar la lingua che sempre dolce
      soleva esprimersi nel dar miti condanne;
      e le insegnò a parlarmi in altro modo,
      "Io odio" ella emendò con un finale,
      che le seguì come un sereno giorno
      segue la notte che, simile a un demonio,
      dal cielo azzurro sprofonda nell'inferno.
      Dalle parole "Io odio" ella scacciò ogni odio
      e mi salvò la vita dicendomi "non te".
      Vota la poesia: Commenta
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Di fronte all'Africa

        Aver casa è un bene
        dolce il sonno sotto il proprio tetto
        figli, giardino e cane.
        Ma certo appena ti sei riposato dall'ultimo viaggio

        la lontananza t'insegue con nuove lusinghe.
        Meglio è patire di nostalgia di casa
        e sotto le alte stelle, solo,
        riposare con la propria melanconia.

        Avere e riposare può soltanto,
        chi ha il cuore tranquillo,
        mentre il viandante sopporta fatiche e difficoltà
        con sempre delusa speranza.

        In vero più lieve è il tormento di andare,
        più lieve che trovar pace nelle valli di casa,
        dove tra le gioie e le solite cure
        solo il saggio sa costruire la propria felicità.

        Per me è meglio cercare e mai trovare
        che legarmi, caldo e stretto a quanto mi è accanto,
        perché anche nel bene, su questa terra
        sono solo ospite, mai cittadino.
        Vota la poesia: Commenta
          Scritta da: Marco Bertazzoli
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          L'Onda

          Nella cala tranquilla
          scintilla,
          intesto di scaglia
          come l'antica
          lorica
          del catafratto,
          il Mare.
          Sembra trascolorare.
          S'argenta? S'oscura?
          A un tratto
          come colpo dismaglia
          l'arme, la forza
          del vento l'intacca.
          Non dura.
          Nasce l'onda fiacca,
          sùbito s'ammorza.
          Il vento rinforza.
          Altra onda nasce,
          si perde,
          come agnello che pasce
          pel verde:
          un fiocco di spuma
          che balza!
          Ma il vento riviene,
          rincalza, ridonda.
          Altra onda s'alza,
          nel suo nascimento
          più lene
          che ventre virginale!
          Palpita, sale,
          si gonfia, s'incurva,
          s'alluma, propende.
          Il dorso ampio splende
          come cristallo;
          la cima leggiera
          s'arruffa
          come criniera
          nivea di cavallo.
          Il vento la scavezza.
          L'onda si spezza,
          precipita nel cavo
          del solco sonora;
          spumeggia, biancheggia,
          s'infiora, odora,
          travolge la cuora,
          trae l'alga e l'ulva;
          s'allunga,
          rotola, galoppa;
          intoppa
          in altra cui 'l vento
          diè tempra diversa;
          l'avversa,
          l'assalta, la sormonta,
          vi si mesce, s'accresce.
          Di spruzzi, di sprazzi,
          di fiocchi, d'iridi
          ferve nella risacca;
          par che di crisopazzi
          scintilli
          e di berilli
          viridi a sacca.
          O sua favella!
          Sciacqua, sciaborda,
          scroscia, schiocca, schianta,
          romba, ride, canta,
          accorda, discorda,
          tutte accoglie e fonde
          le dissonanze acute
          nelle sue volute
          profonde,
          libera e bella,
          numerosa e folle,
          possente e molle,
          creatura viva
          che gode
          del suo mistero
          fugace.
          E per la riva l'ode
          la sua sorella scalza
          dal passo leggero
          e dalle gambe lisce,
          Aretusa rapace
          che rapisce la frutta
          ond'ha colmo suo grembo.
          Sùbito le balza
          il cor, le raggia
          il viso d'oro.
          Lascia ella il lembo,
          s'inclina
          al richiamo canoro;
          e la selvaggia
          rapina,
          l'acerbo suo tesoro
          oblìa nella melode.
          E anch'ella si gode
          come l'onda, l'asciutta
          fura, quasi che tutta
          la freschezza marina
          a nembo
          entro le giunga!

          Musa, cantai la lode
          della mia Strofe Lunga.
          Vota la poesia: Commenta
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Quando tu sarai vecchia, bimba (Ronsard già te lo disse),
            ricorderai quei versi che io recitavo.
            Avrai i seni tristi d'aver cresciuto i figli,
            gli ultimi germogli della tua vita vuota...
            Io sarò così lungi che le tue mani di cera
            areranno il ricordo delle mie rovine nude.
            Comprenderai che può nevicare in Primavera
            e che in Primavera le nevi son più crude.
            Io sarò così lungi che l'amore e la pena
            che prima vuotai nella tua vita come un'anfora piena
            saranno condannati a morire tra le mie mani...
            E sarà tardi perché se n'è andata la mia adolescenza,
            tardi perché i fiori una volta danno essenza
            e perché anche se mi chiamerai io sarò così lungi.
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Francesca Fontana
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Divina Commedia, V canto inferno

              E quella a me: "Nessun maggior dolore
              che ricordarsi del tempo felice
              ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore.

              Ma s'a conoscer la prima radice
              del nostro amor tu hai cotanto affetto,
              dirò come colui che piange e dice.

              Noi leggiavamo un giorno per diletto
              di Lancialotto come amor lo strinse;
              soli eravamo e sanza alcun sospetto.

              Per più fïate li occhi ci sospinse
              quella lettura, e scolorocci il viso;
              ma solo un punto fu quel che ci vinse.

              Quando leggemmo il disïato riso
              esser basciato da cotanto amante,
              questi, che mai da me non fia diviso,

              la bocca mi basciò tutto tremante.
              Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse:
              quel giorno più non vi leggemmo avante".
              Vota la poesia: Commenta
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Il cielo

                Da qui si doveva cominciare: il cielo.
                Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
                Un'apertura e nulla più,
                ma spalancata.

                Non devo attendere una notte serena,
                né alzare la testa,
                per osservare il cielo.
                L'ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
                Il cielo mi avvolge ermeticamente
                e mi solleva dal basso.

                Perfino le montagne più alte
                non sono più vicine al cielo
                delle valli più profonde.
                In nessun luogo ce n'è più
                che in un altro.
                La nuvola è schiacciata dal cielo
                inesorabilmente come la tomba.
                La talpa è al settimo cielo
                come il gufo che scuote le ali.
                La cosa che cade in un abisso
                cade da cielo a cielo.

                Friabili, fluenti, rocciosi,
                infuocati e aerei,
                distese di cielo, briciole di cielo,
                folate e cumuli di cielo.
                Il cielo è onnipresente
                perfino nel buio sotto la pelle.

                Mangio cielo, evacuo cielo.
                Sono una trappola in trappola,
                un abitante abitato,
                un abbraccio abbracciato,
                una domanda in risposta a una domanda.

                La divisione in cielo e terra
                non è il modo appropriato
                di pensare a questa totalità.
                Permette solo di sopravvivere
                a un indirizzo più esatto,
                più facile da trovare,
                se dovessero cercarmi.
                Miei segni particolari:
                incanto e disperazione.
                Vota la poesia: Commenta
                  Scritta da: Phantastica
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Timor di me?

                  Oh, un terribile timore;
                  La lietezza esplode
                  Contro quei vetri al buio
                  Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
                  È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
                  Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
                  Riapparizione ctonia!
                  Non scherzo: ché tu hai esperienza
                  Di un luogo che non ho mai esplorato,
                  UN VUOTO NEL COSMO
                  È vero che la mia terra è piccola
                  Ma ho sempre affabulato sui luoghi inesplorati
                  Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
                  Ma tu ci sei, qui, in voce
                  La luna è risorta;
                  le acque scorrono;
                  il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
                  finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
                  Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
                  che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
                  C'è il padre, sì, lui!
                  Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
                  come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
                  fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
                  su questa presunzione che per te è umile
                  e non sai invece quanto sia superba
                  essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
                  L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
                  ombra infernale vagolante
                  nasconde
                  E tu ci caschi
                  Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
                  Ossia ciò che si deve conoscere;
                  lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
                  o nell'Ombra che precede la vita
                  e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
                  odiala, odiala, odiala;
                  e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
                  semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
                  in voce come una giovane figlia avida
                  che però ha sperimentato dolcezza;
                  Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
                  Con la trama dei rami neri; ormai classici;
                  questa è la storia -
                  Tu sorridi al Padre -
                  Quella persona di cui non ho alcuna informazione,
                  che ho frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
                  strano, è da quel mostro di autorità
                  che proviene anche la dolcezza
                  se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
                  accidenti, come l'ho ignorato; così ignorato da non saperne niente -
                  cosa fare?

                  Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
                  ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
                  ed è Nulla il dono di Nessuno;
                  io fingo di ricevere;
                  ti ringrazio, sinceramente grato;
                  Ma il debole sorriso sfuggente
                  non è di timidezza
                  è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
                  di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
                  se non è che un incidente:
                  ma al posto dell'Altro
                  per me c'è un vuoto nel cosmo
                  un vuoto nel cosmo
                  e da là tu canti.
                  Vota la poesia: Commenta