O abbiamo la speranza in noi, o non l'abbiamo; è una dimensione dell'anima, e non dipende da una particolare osservazione del mondo o da una stima della situazione. La speranza non è una predizione, ma un orientamento dello spirito e del cuore; trascende il mondo che viene immediatamente sperimentato, ed è ancorata da qualche parte al di là dei suoi orizzonti.
Mi piace quando taci Mi piace quando taci perché sei come assente, e mi ascolti da lungi e la mia voce non ti tocca. Sembra che gli occhi ti sian volati via e che un bacio ti abbia chiuso la bocca. Poiché tutte le cose son piene della mia anima emergi dalle cose, piene dell'anima mia. Farfalla di sogno, rassomigli alla mia anima, e rassomigli alla parola malinconia. Mi piace quando taci e sei come distante. E stai come lamentandoti, farfatta turbante. E mi ascolti da lungi, e la mia voce non ti raggiunge: lascia che io taccia col tuo silenzio. Lascia che ti parli pure col tuo silenzio chiaro come una lampada, semplice come un anello. Sei come la notte, silenziosa e costellata. Il tuo silenzio è di stella, così lontano e semplice. Mi piace quando taci perché sei come assente. Distante e dolorosa, come se fossi morta. Allora una parola, un sorriso bastano. E son felice, felice che non sia così.
È un ampio armadio scolpito; l'antica scura quercia ha preso una buon'aria di vecchia gente; l'armadio è aperto, e scioglie dentro l'ombratura come onda di vin vecchio, un profumo attraente.
È un miscuglio di vecchie anticaglie, stipato di panni odorosi e gialli, di straccetti di donne e fanciulli, di appassiti merletti, di scialli di nonna col grifo pitturato;
- Qui trovi ciocche di capelli bianche e bionde, i ritratti, i medaglioni, la frutta e i fiori secchi il cui profumo insieme si confonde.
- Ne sai di storie, o mia credenza d'ore morte! Vorresti dirci i tuoi racconti, e fai rumori se lente s'aprono le grandi nere porte.
Boccaccio era il portiere, il gran portiere giallo della squadra del quartiere. Stava all’erta come un gallo
sulla porta del campetto alla periferia. Diceva: "Qua sul petto, ed ogni palla è mia".
Ma quel giorno, chi lo sa, sbuca di qua sbuca di là - Boccaccio attento! - pa pa la palla è in rete. "Ma va, ma va, Boccaccio, è uno".
Attento, di qua di là, passa non passa, tira. Boccaccio si rigira; si tuffa - passerà?- "Qui non passa nessuno", ma la palla è nel sacco.
E son due. Lo smacco, i fischi, e poi sotto... "Salta a pugno, Boccaccio, ma non la vedi dov’è, salta, salta"... E son tre.
E quattro e cinque e sei. - Boccaccio dove sei?- E sette e otto e nove e piove e piove e piove con grandine e con tuoni. Quattordici palloni nella rete di Boccaccio poveretto poveraccio, bianco come uno straccio col berretto da fantino ubriaco senza vino.
Quanti fischi! e poi "cretino", "pastafrolla", "posapiano", "tappabuchi", "moscardino!" Oh, quel povero Boccaccio nella furia del baccano si strappava i suoi capelli e la folla dai cancelli gli gridava: "Ancora, ancora".
Tutti tutti, ad uno ad uno si strappò capelli e baffi e poi schiaffi sopra schiaffi si ridette per lezione. Restò lì con la sua testa tonda, liscia come palla. "Oh, son quindici con questa - gli gridò dietro la folla - tappabuchi, pastafrolla vai a guardia d’un portone!"
E difatti il buon Boccaccio col berretto e col gallone, mani pronte e spazzolone, oggi è a guardia d’un portone dove passano persone che fermare egli non può, dieci venti cento e più.
Cum subit illius tristissima noctis imago, Quae mihi supremum tempus in Urbe fruit; Cum repecto noctem, qua tot mihi cara reliqui; Labitur ex oculis nunc quoque gutta meis. Iamque quiscebant voces hominunque canumque; Lunaque nocturnos alta regebat equos. Hanc ego suspiciens, et ab hac Capitolia cernens. Quae nostro frustra iuncta fuere Lari.
Quando risorge in me la tristissima immagine di quella notte che fu l'ultima ora a me concessa in Roma, quando rivivo la notte in cui lasciai tante cose care, qualche lacrima ancora mi scorre dagli occhi. E già le voci degli uomini e dei cani tacevano; e la luna alta nel cielo reggeva i cavalli notturni. Io la guardavo lassù, e poi guardavo i templi capitolini, che inutilmente furono vicini al nostro Lare.
Ride la puttana Selvaggia come una vecchia zitella Megera, ti vediamo, torna ancora alla mente Io mento come la febbre Danzando il tuo nubile zittìo desiderando di esser posseduto storie mai raccontate che gli indiani osino ribellarsi Calpestati come di pellerossa sacri prepuzi il cancro iniziò c/la crudele coltellata & la verga danneggiata è risorta all'Est come una Stella in fiamme.
Eppure ognuno uccide la cosa che ama, Tutti lo devono sapere, c'è chi lo fa con uno sguardo e chi con le lusinghe, Il codardo può farlo con un bacio, Chi ha il coraggio usa la spada!
Qui giace come virgola antiquata l'autrice di qualche poesia. La terra l'ha degnata dell'eterno riposo, sebbene la defunta dai gruppi letterari stesse ben distante. E anche sulla tomba di meglio non c'è niente di queste poche rime, d'un gufo e la bardana. Estrai dalla borsa il tuo personal, passante, e sulla sorte di Szymborska medita un istante.
Viviamo d'un fremito d'aria, d'un filo di luce, dei più vaghi e fuggevoli moti del tempo, di albe furtive, di amori nascenti, di sguardi inattesi.
E per esprimere quel che sentiamo c'è una parola sola: disperazione. Dolce, infinita, profonda parola.
Vaga e triste è degli uomini la sorte: degli uomini che passano con non maggior fragore d'una foglia che si tramuta in terra.
Precario stato il loro.
La morte è uno sciogliersi, non un finire e senza tempo, senza memoria il terrestre viaggio.
Il sole è stanco di contemplare una tanto monotona vicenda. Così parlava un monaco neghittoso e bizzarro, là, nell'antico Oriente: piccolo uomo assediato da immani fantasmi.