Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Lavandare

Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.
E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:
Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Chiesa veneziana

    Così, da sempre, come una memoria
    che mai giunge a sbiadirsi, che mai
    perde
    la traccia immaginosa, questa storia
    di pietra e d'acqua, di laguna verde,

    tratteggiata dai neri colombari
    delle mura, da lapidi di rosa,
    s'è fatta chiesa aperta agli estuari,
    all'incrocio dei venti. Non riposa

    mai tomba che non veda la sua morte
    frangersi ancora contro il nero eterno.
    E le gondole, battono alle porte
    i lugubri mareggi dell'inverno.
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      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il cielo

      Da qui si doveva cominciare: il cielo.
      Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
      Un'apertura e nulla più,
      ma spalancata.

      Non devo attendere una notte serena,
      né alzare la testa,
      per osservare il cielo.
      L'ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
      Il cielo mi avvolge ermeticamente
      e mi solleva dal basso.

      Perfino le montagne più alte
      non sono più vicine al cielo
      delle valli più profonde.
      In nessun luogo ce n'è più
      che in un altro.
      La nuvola è schiacciata dal cielo
      inesorabilmente come la tomba.
      La talpa è al settimo cielo
      come il gufo che scuote le ali.
      La cosa che cade in un abisso
      cade da cielo a cielo.

      Friabili, fluenti, rocciosi,
      infuocati e aerei,
      distese di cielo, briciole di cielo,
      folate e cumuli di cielo.
      Il cielo è onnipresente
      perfino nel buio sotto la pelle.

      Mangio cielo, evacuo cielo.
      Sono una trappola in trappola,
      un abitante abitato,
      un abbraccio abbracciato,
      una domanda in risposta a una domanda.

      La divisione in cielo e terra
      non è il modo appropriato
      di pensare a questa totalità.
      Permette solo di sopravvivere
      a un indirizzo più esatto,
      più facile da trovare,
      se dovessero cercarmi.
      Miei segni particolari:
      incanto e disperazione.
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        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La lettura di poesia

        Pieno pomeriggio
        in un college vicino al mare
        sobrio
        col sudore che mi cola sulle braccia,
        una goccia di sudore sul tavolo,
        l'asciugo col dito,
        per i soldi per i soldi
        mio dio penseranno che adoro tutto questo come gli altri
        mentre è per il pane e la birra e l'affitto
        per i soldi,
        sono teso faccio schifo mi sento male
        poveracci che fiasco, che disastro.

        Una donna si alza,
        esce
        sbatte la porta.

        Una poesia sconcia
        me l'avevano detto di non leggere poesie sconce
        qui
        troppo tardi.

        I miei occhi non vedono alcune righe,
        le leggo
        fino alla fine -
        disperato, tremante,
        che schifezza.

        Non possono sentire la mia voce
        e io dico
        basta, è finita, sono
        rovinato.

        E più tardi in camera mia
        trovo birra e scotch:
        il sangue d'un codardo.

        Questo dunque
        sarà il mio destino:
        scribacchiare per quattro soldi in stanze semibuie
        leggere poesie di cui da un pezzo mi sono
        stancato.

        E una volta credevo
        che gli uomini che guidano l'autobus
        o puliscono le latrine
        o ammazzano altri uomini nei vicoli
        fossero degli idioti.
        Composta mercoledì 25 settembre 2013
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          Scritta da: Phantastica
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Timor di me?

          Oh, un terribile timore;
          La lietezza esplode
          Contro quei vetri al buio
          Ma tale lietezza, che ti fa cantare in voce
          È un ritorno dalla morte: e chi può mai ridere -
          Dietro, sotto il riquadro del cielo annerito
          Riapparizione ctonia!
          Non scherzo: ché tu hai esperienza
          Di un luogo che non ho mai esplorato,
          UN VUOTO NEL COSMO
          È vero che la mia terra è piccola
          Ma ho sempre affabulato sui luoghi inesplorati
          Con una certa lietezza, quasicché non fosse vero
          Ma tu ci sei, qui, in voce
          La luna è risorta;
          le acque scorrono;
          il mondo non sa di essere nuovo e la sua nuova giornata
          finisce contro gli alti cornicioni e il nero del cielo
          Chi c'è, in quel VUOTO DEL COSMO,
          che tu porti nei tuoi desideri e conosci?
          C'è il padre, sì, lui!
          Tu credi che io lo conosca? Oh, come ti sbagli;
          come ingenuamente dai per certo ciò che non lo è affatto;
          fondi tutto il discorso, ripreso qui, cantando,
          su questa presunzione che per te è umile
          e non sai invece quanto sia superba
          essa porta in sé i segni della volontà mortale della maggioranza -
          L'occhio ilare di me mai disceso agli Inferi,
          ombra infernale vagolante
          nasconde
          E tu ci caschi
          Tu conosci di ciò che è realtà solo quell'Uomo Adulto
          Ossia ciò che si deve conoscere;
          lei, la Donna Adulta, stia all'Inferno
          o nell'Ombra che precede la vita
          e di là operi pure i suoi malefizi, i suoi incantesimi;
          odiala, odiala, odiala;
          e se tu canti e nessuno ti sente, sorridi
          semplicemente perché, per ora, intanto, sei vittoriosa -
          in voce come una giovane figlia avida
          che però ha sperimentato dolcezza;
          Parigi calca dietro alle tue spalle un cielo basso
          Con la trama dei rami neri; ormai classici;
          questa è la storia -
          Tu sorridi al Padre -
          Quella persona di cui non ho alcuna informazione,
          che ho frequentato in un sogno che evidentemente non ricordo -
          strano, è da quel mostro di autorità
          che proviene anche la dolcezza
          se non altro come rassegnazione e breve vittoria;
          accidenti, come l'ho ignorato; così ignorato da non saperne niente -
          cosa fare?

          Tu doni, spargi doni, hai bisogno di donare,
          ma il tuo dono te l'ha dato Lui, come tutto;
          ed è Nulla il dono di Nessuno;
          io fingo di ricevere;
          ti ringrazio, sinceramente grato;
          Ma il debole sorriso sfuggente
          non è di timidezza
          è lo sgomento, più terribile, ben più terribile
          di avere un corpo separato, nei regni dell'essere - se è una colpa
          se non è che un incidente:
          ma al posto dell'Altro
          per me c'è un vuoto nel cosmo
          un vuoto nel cosmo
          e da là tu canti.
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