Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Elisa Iacobellis
in Poesie (Poesie d'Autore)

Corpo di donna...

Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
assomigli al mondo nel tuo gesto di abbandono.
Il mio corpo di rude contadino ti scava
e fa scaturire il figlio dal fondo della terra.

Fui solo come un tunnel. Da me fuggivano gli uccelli
e in me irrompeva la notte con la sua potente invasione.
Per sopravvivere a me stesso ti forgiai come un'arma,
come freccia al mio arco, come pietra per la mia fionda.

Ma viene l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del seno! Ah gli occhi d'assenza!
Ah le rose del pube! Ah la tua voce lenta e triste!

Corpo della mia donna, resterò nella tua grazia.
Mia sete, mia ansia senza limite, mio cammino incerto!
Rivoli oscuri dove la sete eterna rimane,
e la fatica rimane, e il dolore infinito.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Sera Festiva

    O mamma, o mammina, hai stirato
    la nuova camicia di lino?
    Non c'era laggiù tra il bucato,
    sul bossolo o sul biancospino.
    Su gli occhi tu tieni le mani...
    Perché? Non lo sai che domani...?
    din don dan, din don dan.
    Si parlano i bianchi villaggi
    cantando in un lume di rosa:
    dell'ombra dè monti selvaggi
    si sente una romba festosa.
    Tu tieni a gli orecchi le mani...
    tu piangi; ed è festa domani...
    din don dan, din don dan.
    Tu pensi... Oh! Ricordo: la pieve...
    quanti anni ora sono? Una sera...
    il bimbo era freddo, di neve;
    il bimbo era bianco, di cera:
    allora sonò la campana
    (perché non pareva lontana? )
    din don dan, din don dan.
    Sonavano a festa, come ora,
    per l'angiolo; il nuovo angioletto
    nel cielo volava a quell'ora;
    ma tu lo volevi al tuo petto,
    con noi, nella piccola zana:
    gridavi; e lassù la campana...
    din don dan, din don dan.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La belle dame sans merci

      Certo i gabbiani cantonali hanno atteso invano
      le briciole di pane che io gettavo
      sul tuo balcone perché tu sentissi
      anche chiusa nel sonno le loro strida.

      Oggi manchiamo all'appuntamento tutti e due
      e il nostro breakfast gela fra cataste
      per me di libri inutili e per te di reliquie
      che non so: calendari, astucci, fiale e creme.

      Stupefacente il tuo volto s'ostina ancora, stagliato
      sui fondali di calce del mattino;
      ma una vita senz'ali non lo raggiunge e il suo fuoco
      soffocato è il bagliore dell'accendino.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Come posso ritrovare la mia pace (Sonetto 28)

        Come posso ritrovare la mia pace
        se il ristoro del sonno mi è negato?
        Se l'affanno del giorno non riposa nella notte
        ma giorno da notte è oppresso e notte da giorno?
        Ed entrambi, anche se l'un l'altro ostili,
        d'accordo si dan mano solo per torturarmi
        l'uno con la fatica, l'altra con l'angoscia
        di esser da te lontano, sempre più lontano.
        Per cattivarmi il giorno gli dico che sei luce
        e lo abbellisci se nubi oscurano il suo cielo:
        così pur blandisco la cupa notte dicendo
        che tu inargenti la sera se non brillano stelle.
        Ma il giorno ogni giorno prolunga le mie pene
        e la notte ogni notte fa il mio dolor più greve.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il tempo perso

          Sulla porta dell'officina
          d'improvviso si ferma l'operaio
          la bella giornata l'ha tirato per la giacca
          e non appena volta lo sguardo
          per osservare il sole
          tutto rosso tutto tondo
          sorridente nel suo cielo di piombo
          fa l'occhiolino
          familiarmente
          Dimmi dunque compagno Sole
          davvero non ti sembra
          che sia un po' da coglione
          regalare una giornata come questa
          ad un padrone?
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Al sonno

            O soave che balsamo soffondi
            alla quieta mezzanotte, e serri
            con attente e benevole le dita
            gli occhi nostri del buio compiaciuti,
            protetti dalla luce, avvolti d'ombra
            nel ricovero di un divino oblio.
            O dolcissimo sonno! Se ti piace
            chiudi a metà di questo, che è tuo, inno
            i miei occhi in vedetta, o attendi l'Amen
            prima che il tuo papavero al mio letto
            largisca in carità il suo dondolio.
            Poi salvami, altrimenti il giorno andato
            lucido apparirà sul mio guanciale
            di nuovo, producendo molte pene,
            salvami dall'alerte coscienza
            che viepiù insignorisce il suo vigore
            causa l'oscurità, scavando come
            una talpa. Volgi abile la chiave
            nella toppa oliata e dà il sigillo
            allo scrigno, che tace, del mio cuore.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)
              Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
              non dico che fosse come la mia ombra
              mi stava accanto anche nel buio
              non dico che fosse come le mie mani e i miei piedi
              quando si dorme si perdono le mani e i piedi
              io non perdevo la nostalgia nemmeno durante il sonno

              durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
              non dico che fosse fame o sete o desiderio
              del fresco nell'afa o del caldo nel gelo
              era qualcosa che non può giungere a sazietà
              non era gioia o tristezza non era legata
              alle città alle nuvole alle canzoni ai ricordi
              era in me e fuori di me.

              Durante tutto il viaggio la nostalgia non si è separata da me
              e del viaggio non mi resta nulla se non quella nostalgia.
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                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Coro dei morti nello studio di Federico Ruysch

                Sola nel mondo eterna, a cui si volve
                Ogni creata cosa,
                In te, morte, si posa
                Nostra ignuda natura;
                Lieta no, ma sicura
                Dall'antico dolor. Profonda notte
                Nella confusa mente
                Il pensier grave oscura;
                Alla speme, al desio, l'arido spirto
                Lena mancar si sente:
                Così d'affanno e di temenza è sciolto,
                E l'età vote e lente
                Senza tedio consuma.
                Vivemmo: e qual di paurosa larva,
                E di sudato sogno,
                A lattante fanciullo erra nell'alma
                Confusa ricordanza:
                Tal memoria n'avanza
                Del viver nostro: ma da tema è lunge
                Il rimembrar. Che fummo?
                Che fu quel punto acerbo
                Che di vita ebbe nome?
                Cosa arcana e stupenda
                Oggi è la vita al pensier nostro, e tale
                Qual dè vivi al pensiero
                L'ignota morte appar. Come da morte
                Vivendo rifuggia, così rifugge
                Dalla fiamma vitale
                Nostra ignuda natura;
                Lieta no ma sicura,
                Però ch'esser beato
                Nega ai mortali e nega à morti il fato.
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                  Scritta da: Gianni Marcantoni
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  La campanella dell'intervallo della scuola

                  I piedi di mio padre puzzavano e aveva il sorriso
                  come un
                  mucchio di merda di cane.
                  ogni volta che notavo i peli ispidi irti corti della sua
                  barba dentro al lavandino del bagno
                  pensieri disgustosi si insinuavano nel mio cranio,
                  intuivo porticati gravidi di stolti per l'eternità.

                  Essere lo stesso sangue di quell'odiato sangue
                  rendeva le finestre intollerabili,
                  e la musica e i fiori e gli alberi
                  brutti.
                  Ma si vive: il suicidio prima dei dieci anni
                  è raro.

                  Brutali erano le calle
                  brutali il nettare e il bacio
                  brutale la campanella dell'intervallo della scuola.
                  brutali le partite di softball
                  brutali calcio e pallavolo.
                  i cieli erano bianchi e alti,
                  e guardavo le facce dei gioca-
                  tori
                  ed erano stranamente mascherate.

                  Adesso mangio nelle tavole calde
                  vado a concerti
                  vivo con donne
                  scommetto
                  bevo
                  poto siepi
                  compro automobili
                  ho amici e
                  animali;
                  partecipo a matrimoni
                  funerali
                  incontri di pugilato,
                  pago un'onesta fetta di tasse,
                  faccio la fila nei supermercati,
                  mi pulisco le unghie,
                  taglio i peli lunghi delle narici,
                  mi crogiolo al sole,
                  riparo danni,
                  cerco di non offendere,
                  rido,
                  ascolto i punti di vista dei nemici,
                  telefono ad idraulici e ad avvocati,
                  vengo trainato quando ho un guasto in autostrada,
                  tengo i denti puliti,
                  ricerco eroi,
                  vengo accecato se guardo troppo a lungo il sole.

                  I piedi di mio padre puzzavano e aveva il sorriso
                  come un
                  mucchio di merda di cane.

                  Dappertutto
                  è la stessa cosa.
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