Il clamore d'un passero sulle grondaie, La luna brillante e tutto il latteo cielo, E tutta quella famosa armonia di foglie, Avean cancellato l'immagine dell'uomo ed il suo grido.
Una fanciulla sorse che aveva labbra rosse e dolenti E sembrava la grandezza del mondo in lacrime, Condannata come Odisseo e le navi travagliate E orgogliosa come Priamo assassinato con i suoi pari.
Sorse, e sull'istante le grondaie piene di clamore, Una luna che si arrampicava su un vuoto cielo, E tutto quel lamento delle foglie, Potevano soltanto comporre l'immagine dell'uomo e il suo grido.
Lenzuola bianche in un armadio Lenzuola rosse in un letto Un figlio in una madre La madre nei dolori Il padre davanti alla stanza La stanza nella casa La casa nella città La città nella notte La morte in un grido E il figlio nella vita.
La vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia tutti e quattro camminiamo fianco a fianco senza parlarci
ciascuno cammina solo ma siamo l'uno a fianco dell'altro
che cosa non avremmo dato gli uni e gli altri per non sentire il rumore dei passi gli uni degli altri
dentro di noi abbiamo pietà imprechiamo gli uni contro gli altri ma ci amiamo perché non crediamo gli uni negli altri
che cosa non avremmo dato per arrivare a un incrocio e infilare presto quattro strade diverse ma non so se uno di noi morisse se quelli che restano sarebbero contenti
la vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia tutti e quattro camminiamo fianco a fianco
la notte prendiamo il tram i tram che non sappiamo dove vadano
la notte i tram puliti larghi a tre vagoni ci portano in qualche luogo con stridori sferragliamenti
a un tratto si levano davanti a noi dei muri bruciati e sotto il riverbero dei lampioni marciano diritti e testardi verso di noi
delle finestre appaiono davanti a noi e vengono in folla verso di noi schiaciandosi l'una con l'altra
finestre che non hanno nè vetri nè infissi che non sono finestre delle stanze degli uomini ma finestre del vuoto
passiamo davanti alle porte senza battenti le porte che aprono su nulla
sui marciapiedi degli uomini con tre punti sopra il bracciale aspettano il tram
sono appoggiati sui loro bastoni dalle punte di gomma
non so se tutti i muti sono anche dei sordi ma certo la maggior parte dei ciechi sono dei ciechi con gli occhi aperti e le luci dei tram cadono nei loro occhi aperti ma loro non si rendono conto che la luce cade nei loro occhi
vecchie bigliettaie stanche fanno salire i ciechi sui tram
donne che mi avete guidato teneramente tenendomi per mano
a quasi tutte voi non ho dato che qualche poesia e forse un po' di tristezza
sono grato a voi tutte
traversiamo le tenebre degli spiazzi vuoti dove crescono i ciuffi d'erbacce
i tram traversano le piazze i cui palazzi barocchi sono distrutti
e le pietre bruciate spezzate si somigliano talmente che la testa ci gira e giriamo in tondo
questa città è tutta bucata perché ha mandato i suoi soldati a distruggere altre città
ho visto città rase al suolo avevano mandato i loro soldati a distruggere altre città e i soldati delle altre città le avevano rase al suolo
ho visto città che preparavano i loro soldati per mandarli a distruggere altre città ed essere distrutte esse stesse
dei violinisti salgono in tram con le scatole dei violini sotto il braccio e i loro lunghi capelli tristi non riescono a nascondere la loro calvizie
questo agosto è forse l'ultimo agosto del mondo ha chiesto uno dei violinisti alla bigliettaia in una lingua che non conosco sulle piattaforme dei tram ci sono dei giovani in collera
credo ch'essi stessi non sappiano perché e contro chi sono in collera
che ora sarà adesso all'Avana amore mio sarà notte o giorno
le ragazze scendono dai tram
le loro gambe sono abbastanza ben fatte
senza fare un gesto seduto dove sono le seguo e sotto il ponte di pietra sento vicinissimo al mio viso il calore delle loro bocche e volto la testa a una giovane donna che mi tocca la spalla senza ch'io sappia dov'è
i suoi capelli son paglia d'oro le sue ciglia azzurre
il suo collo bianco è lungo e rotondo
alle fermate vecchie donne terribili con cappelli di paglia nera traversano le rotaie tenendosi per mano
l'uomo seduto alla mia destra s'è inabissato dentro se stesso s'è perduto dentro se stesso
è così lo so è così che la vecchiaia comincia
tuttavia non è in mio potere non cadere nelle onde tristi
così comincia la vecchiaia
l'uomo seduto alla mia destra è caduto ancora nelle onde tristi
alla porta del deposito siamo scesi dall'ultimo tram
rientriamo a piedi
tutti e quattro
la vecchiaia la solitudine e io e poi una malinconia
quando arriviamo all'albergo il sole comincia a spuntare
Un murmure, un rombo... Son solo: ho la testa confusa di tetri pensieri. Mi desta quel murmure ai vetri. Che brontoli, o bombo? Che nuove mi porti? E cadono l'ore giù giù, con un lento gocciare. Nel cuore lontane risento parole di morti... Che brontoli, o bombo? Che avviene nel mondo? Silenzio infinito. Ma insiste profondo, solingo smarrito, quel lugubre rombo.
Felicità raggiunta, si cammina per te sul fil di lama. Agli occhi sei barlume che vacilla al piede, teso ghiaccio che s'incrina; e dunque non ti tocchi chi più t'ama.
Se giungi sulle anime invase di tristezza e le schiari, il tuo mattino è dolce e turbatore come i nidi delle cimase. Ma nulla paga il pianto di un bambino a cui fugge il pallone tra le case.
Tu verrai comunque perché dunque non ora? Ti attendo sono sfinita Ho spento il lume e aperto l'uscio a te, così semplice e prodigiosa. Prendi per questo l'aspetto che più ti aggrada irrompi come una palla avvelenata o insinuati furtiva come un freddo bandito o intossicami col delirio del tifo o con una storiella da te inventata e nota a tutti fino alla nausea che io veda la punta di un berretto turchino e il capopalazzo pallido di paura. Ora per me tutto è uguale turbina lo Enisej risplende la stella polare e annebbia un ultimo terrore l'azzurro bagliore di occhi addolorati.
Il sogno d'un passato lontano, d'una ignota stirpe, d'una remota favola nei Poeti luce. Ai Poeti oscuro è il sogno del futuro. Qual contro l'aure avverse una chioma divina, una fiamma divina, tal ne la vita splende l'Anima, si distende, in dietro effusa pende.
Ospiti fummo (O tu che m'ami: ti sovviene? Era ne le tue vene il Ritmo), ospiti fummo in imperi di gloria. Nativa è la memoria in noi, dei fiori ardenti su dai cavi alabastri come tangibili astri, dei misteri veduti, degli amori goduti, degli aromi bevuti.
In qual sera purpurea chiudemmo gli occhi? Quale fu ne l'ora mortale il nostro Dio? Da quale portentosa ferita esalammo la vita? Forse dopo una strage di eroi? Sotto il profondo ciel d'un letto profondo? Le nostre spoglie fiera custodì la Chimera ne la purpurea sera.
E al risveglio improvviso dal sonno secolare noi vedemmo raggiare un altro cielo; udimmo altre voci, altri canti; udimmo tutti i pianti umani, tutti i pianti umani che la Terra nel suo cerchio rinserra. Udimmo tutti i vani gemiti e gli urli insani e le bestemmie immani.
Udimmo taciturni la querela confusa. Ma ne l'anima chiusa l'antichissimo sogno, che fluttuava ancòra, ebbe una nuova aurora. E vivemmo; e ingannammo la vita ricordando quella morte, cantando dei misteri veduti, degli amori goduti, degli aromi bevuti.
Or conviene il silenzio: alto silenzio. Oscuro è il sogno del futuro. Nuova morte ci attende. Ma in qual giorno supremo, o Fato, rivivremo? Quando i Poeti al mondo canteranno su corde d'oro l'inno concorde: - O voi che il sangue opprime, Uomini, su le cime splende l'Alba sublime!
Temo i tuoi baci fanciulla gentile, ma tu non hai motivo di temere i miei; troppo profondamente il mio spirito è oppresso perché io possa opprimere anche il tuo.
Temo il tuo viso e la tua voce e i gesti, ma tu non hai motivo di temere i miei; la devozione del cuore con la quale adoro il tuo cuore, sii certa, è innocente.
Abbiamo bisogno di contadini, di poeti, gente che sa fare il pane, che ama gli alberi e riconosce il vento. più che l'anno della crescita, ci vorrebbe l'anno dell'attenzione. Attenzione a che cade, al sole che nasce e che muore, ai ragazzi che crescono, attenzione anche a un semplice lampione, a un muro scrostato. Oggi essere rivoluzionari significa togliere più che aggiungere, rallentare più che accelerare, significa dare valore al silenzio, alla luce, alla fragilità, alla dolcezza.