Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Valeria S
in Poesie (Poesie d'Autore)

Per il mio cuore

Per il mio cuore basta il tuo petto,
per la tua libertà bastano le mie ali.
Dalla mia bocca arriverà fino in cielo
ciò che stava sopito sulla tua anima.

È in te l'illusione di ogni giorno.
Giungi come la rugiada sulle corolle.
Scavi l'orizzonte con la tua assenza.
Eternamente in fuga come l'onda.

Ho detto che cantavi nel vento
come i pini e come gli alberi maestri delle navi.
Come quelli sei alta e taciturna.
E di colpo ti rattristi, come un viaggio.

Accogliente come una vecchia strada.
Ti popolano echi e voci nostalgiche.
Io mi sono svegliato e a volte migrano e fuggono
gli uccelli che dormivano nella tua anima.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Anche questa mattina mi sono svegliato

    Anche questa mattina mi sono svegliato
    e il muro la coperta i vetri la plastica il legno
    si sono buttati addosso a me alla rinfusa
    e la luce d'argento annerito della lampada

    mi si è buttato addosso anche un biglietto di tram
    e il giallo della parete e tre righe di scritto
    e la camera d'albergo e questo paese nemico
    e la metà del sogno caduta da questo lato s'è spenta

    mi si è buttata addosso la fronte bianca del tempo
    e i ricordi più vecchi e la tua assenza nel letto
    e la nostra separazione e quello che siamo

    mi sono svegliato anche questa mattina
    e ti amo.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Lettera alla madre

      "Mater dolcissima, ora scendono le nebbie,
      il Naviglio urta confusamente sulle dighe,
      gli alberi si gonfiano d'acqua, bruciano di neve;
      non sono triste nel Nord: non sono
      in pace con me, ma non aspetto
      perdono da nessuno, molti mi devono lacrime
      da uomo a uomo. So che non stai bene, che vivi
      come tutte le madri dei poeti, povera
      e giusta nella misura d'amore
      per i figli lontani. Oggi sono io
      che ti scrivo. " - Finalmente, dirai, due parole
      di quel ragazzo che fuggì di notte con un mantello corto
      e alcuni versi in tasca. Povero, così pronto di cuore
      lo uccideranno un giorno in qualche luogo. -
      "Certo, ricordo, fu da quel grigio scalo
      di treni lenti che portavano mandorle e arance,
      alla foce dell'Imera, il fiume pieno di gazze,
      di sale, d'eucalyptus. Ma ora ti ringrazio,
      questo voglio, dell'ironia che hai messo
      sul mio labbro, mite come la tua.
      Quel sorriso m'ha salvato da pianti e da dolori.
      E non importa se ora ho qualche lacrima per te,
      per tutti quelli che come te aspettano,
      e non sanno che cosa. Ah, gentile morte,
      non toccare l'orologio in cucina che batte sopra il muro
      tutta la mia infanzia è passata sullo smalto
      del suo quadrante, su quei fiori dipinti:
      non toccare le mani, il cuore dei vecchi.
      Ma forse qualcuno risponde? O morte di pietà,
      morte di pudore. Addio, cara, addio, mia dolcissima mater."
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Viaggio a Montevideo

        Io vidi dal ponte della nave
        I colli di Spagna
        Svanire, nel verde
        Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
        Come una melodia:
        D'ignota scena fanciulla sola
        Come una melodia
        Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
        Illanguidiva la sera celeste sul mare:
        Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
        Varcaron lentamente in un azzurreggiare:...
        Lontani tinti dei varii colori
        Dai più lontani silenzii
        Ne la ceste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
        Già cieca varcando battendo la tenebra
        Coi nostri naufraghi cuori
        Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
        Ma un giorno
        Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
        Da gli occhi torbidi e angelici
        Dai seni gravidi di vertigine. Quando
        In una baia profonda di un'isola equatoriale
        In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
        Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
        Una bianca città addormentata
        Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
        Nel soffio torbido dell'equatore: finché
        Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
        Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
        Noi lasciammo la città equatoriale
        Verso l'inquieto mare notturno.
        Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
        gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
        Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
        Una fanciulla della razza nuova,
        Occhi lucenti e le vesti al vento! Ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno che apparve
        La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
        E vidi come cavalle
        Vertiginose che si scioglievano le dune
        Verso la prateria senza fine
        Deserta senza le case umane
        E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
        Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
        Del continente nuovo la capitale marina.
        Limpido fresco ed elettrico era il lume
        Della sera e là le alte case parevan deserte
        Laggiù sul mar del pirata
        De la città abbandonata
        Tra il mare giallo e le dune...
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          Scritta da: Roberta68
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Quercia sfrondata

          Ti abbiamo tagliato,
          albero!
          Come sei spoglio e bizzarro.
          Cento volte hai patito,
          finché tutto in te fu solo tenacia
          e volontà!
          Io sono come te. Non ho
          rotto con la vita
          incisa, tormentata
          e ogni giorno mi sollevo dalle
          sofferenze e alzo la fronte alla luce.
          Ciò che in me era tenero e delicato,
          il mondo lo ha deriso a morte,
          ma indistruttibile è il mio essere,
          sono pago, conciliato.
          Paziente genero nuove foglie
          Da rami cento volte sfrondati
          e a dispetto di ogni pena
          rimango innamorato
          del mondo folle.
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            Scritta da: Maresa Schembri
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Amore

            Dicono che lo sciacallo e la talpa
            bevano allo stesso ruscello
            dove viene a bere il leone.

            E dicono che l'aquila e l'avvoltoio
            infilino il becco nella stessa carcassa,
            e stanno in pace l'uno con l'altro, davanti alla cosa morta.

            O amore, che con la tua regale mano
            hai imbrigliato i miei desideri,
            e hai elevato la mia fame e la mia sete
            a dignità di orgoglio,
            non permettere che il forte e il durevole in me
            mangino il pane e bevano il vino
            che tentano il mio io più debole.
            Lasciami piuttosto morire di fame,
            e consenti che il mio cuore bruci dalla sete
            e lasciami morire e avvizzirmi,
            prima che io stenda la mano
            verso una coppa che tu non abbia riempito
            o una ciotola che tu non abbia benedetto.
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