Poesie personali


Scritta da: Rosita Matera
in Poesie (Poesie personali)

Attese

Linee verso il cielo le attese,
fanno giochi d'equlibrio sulla fune dei pensieri,
cadono radendo il suolo
ma fanno piroette
senza infrangersi nel fango.

Feriscono ma non muiono
le attese,
le ritrovi in fondo ai pensieri di ritorno,
le trovi fra le mani che si sfiorano per caso,
le vedi prepotenti ricomporsi
tra le lacrime che tu non meritasti,
tra i tragitti di quelle navi
che salpano ogni giorno
e tra queste parole
che hanno il sapore antico di verdi montagne
dove riposano ed echeggiano le immortali attese del nostro domani.
Composta mercoledì 25 ottobre 2017
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    Scritta da: Rosita Matera
    in Poesie (Poesie personali)

    Mattino

    Dall'occhio scuro della Notte
    sgorga il Mattino
    si stende sui viali come velo in controluce,
    ne sento i passi lievi sulle foglie intorpidite,
    m'appoggio sul suo fianco
    su cui s'appiana il mio pensiero.
    E sul suo foglio bianco
    le mie speranze caparbie
    si fondono coi germogli che mi nascono nel petto
    ogni volta che contemplo e mi confondo
    col suo volto denso
    di folle meraviglia.
    Composta mercoledì 25 ottobre 2017
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      Scritta da: venerebionda
      in Poesie (Poesie personali)

      Tramonto

      Spicchio di luna
      sulle palme del porto.
      Acqua ferma del mare.
      Nei chiaroscuri della sera
      pennellate di viola e porpora.
      Tela dipinta del tramonto.
      L'ombra di un galeone,
      di una grande matita contro il cielo.
      Fregi barocchi di palazzi
      s'illuminano.
      La città spegne i suoi colori,
      si prepara
      ad immergersi
      nell'inchiostro della notte.
      Composta mercoledì 25 ottobre 2017
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        Scritta da: Andrea De Candia
        in Poesie (Poesie personali)

        Persiano morto

        Per decreto del sangue
        trasse dall'orcio azzurro della fuga
        il ben scolpito ed affilato brando
        e lo vibrò più alto
        dei confini vitali: su cervici
        immaginose, cui la sua miseria
        umana contrastava in agonia
        di serafiche forze. E non lo volle
        vittorioso la Furia che s'accampa
        ora pietosa al lato del suo scudo.
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          Scritta da: Andrea De Candia
          in Poesie (Poesie personali)

          Come una litania su santa Ombra, la più sacra e profana nel contempo!

          Ombra fedele come una custodia,
          cane segugio di quella mia musica
          che sono i passi scritti sui leggii
          dei marciapiedi. Ombra, formica china
          trascini la mollica del mio corpo
          al nulla della meta più distante.
          Ombra, neonata, la mia carne un latte
          e le piante dei piedi, infimi seni
          cui succhi quel guadagno ch'è la vita.
          Ombra, carezza lieve del riflesso
          biondo, solare, ombra, più crudele
          masso attaccato a sprofondanti colli,
          giù verso il fondo – ché s'annega insieme –
          del mare caldo della passeggiata,
          eco di suola senza eco di scarpa
          e suo privilegiato farne a meno!
          Cadavere che porto inseppellito,
          onnipresente bara che la strada
          porta sulle sue spalle
          nel funebre corteo ch'è solitudine!
          Ombra vigliacca notte che ha implorato
          china fin sotto i piedi ad ogni passo,
          aspettando che alzassi le mie scarpe
          per rifugiarsi dalle paranoie
          del freddo, della pioggia, del suo essere,
          sentirsi nuda, tranne sotto il tetto
          provvisorio che io potevo offrirle!
          Chè sembri allontanarmi dalla luce
          anche se non sprofondo
          nel solo vero inferno
          del sottosuolo! Chè, più di mia madre,
          mi ami, ed è un amore possessivo,
          ma mi ami, m'ami, non mi uccideresti
          lo faresti a te stessa e non vorresti!
          Ombra, che ti riscopro
          cane fedele a sera, quando scelgo
          di cadere sul letto del mio sonno,
          entrato il corpo delle mie pupille
          sotto quelle lenzuola delle palpebre!
          Ombra, ché sembri non dormire mai!
          Ombra, me senza sensi!
          Ombra la senza voce, senza sguardo,
          la senza mano e piedi, senza naso,
          Morte che in vita vive solo inerzia!
          O forse Ombra caduta
          in me, che chiedi l'approfondimento
          e ti spalanchi in più buio colore,
          emergi, usi il corpo come bara
          per vivere sepolta, parassita!
          Ombra, custodia di un non mai suonato
          strumento della luce, unica nota,
          fama che si bisbiglia immeritata
          del me compositore che non sono,
          un non talento che infine è pur dono,
          composizione stanca trascinata
          fin dagli inizi, già verso la fine,
          e non coraggio dell'incompiutezza,
          ché ci pensa la Morte per finirla.
          Ombra, bara da cui fuoriuscirà
          vivendo solo un giorno quella data.
          Notte, ti penso, folle, quel totale
          di tutte le ombre divenute eterne
          di quelli morti che sono vissuti!
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie personali)
            Soltanto echi di pietra dei miei occhi,
            palpebre condannate a cecità,
            ventre tattile mima affusolandosi
            le doglie di quel parto misterioso,

            O piangere le lettere di lacrime,
            usando il rigo come fazzoletto,
            andare a capo è aversele asciugate –
            illuso solamente, questo sono! –
            e ancora piango, utero, la mano,
            grida il suo movimento
            cuccioli di parole,
            madre prolificissima
            si mostra tutto l'aborto spontaneo
            del sangue che diviene infine nero,
            ché troppo a lungo mi è rimasto dentro!
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              Scritta da: Andrea De Candia
              in Poesie (Poesie personali)
              Avrai imparato che la gravidanza
              era già vita e il ventre era il suo mondo,
              dato alla luce solo della madre,
              e il parto un lutto e un mettere ad un altro
              mondo, fuori dal proprio, il proprio figlio.
              Così ogni creatura, a sua insaputa,
              nascerà sempre orfana.
              E la distanza, pur ravvicinata,
              tra madre e figlio, mentre lo carezza
              la prima volta, è già il suo pentimento
              per averlo spedito all'aldilà.
              E segno ineluttabile del Fato
              lo stacco del cordone ombelicale,
              come il filo che spezza con le forbici,
              delle tre Parche, Atropo.
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie personali)
                Se penso ai fogli come bare bianche,
                cosa son io che ho scritto l'impossibile?
                Fogli strappati senza ripotere
                farli tornare al prima, alla chiusura
                d'un libro o d'un quaderno.
                Oh, gli scritti degli altri
                quando aprivo e sfogliavo
                nella lettura, l'una dopo l'altra
                sembrava ritornassero alla vita.
                Quale consolazione posso darmi?
                Sol essere il lettore di me stesso?
                Parole scritte per non esser dette,
                rimaste a lungo chiuse nella gabbia
                alata della mente,
                sopravvissute come quell'uccello
                che non si lascia andare, liberandolo,
                a cieli d'aria, d'aria senza fine,
                che non trovano pagina nell'altro,
                nella risposta, nel suo ascoltarle,
                nel ricordarle, nel farne tesoro.
                Sembra un avervi uccise, ma era come
                fosse già morte prima.
                Dal grembo del mio tutto – ora son madre! –
                vedo le dita diventarmi occhi
                e palpebre abbassate dalla nascita,
                piangervi come lacrime di sangue
                delle vostre pupille! Chè nessuno
                è più solo nel lutto di chi scrive:
                ho pianto con le dita dei miei occhi
                il vostro corpo, allora, l'ho sepolto,
                ero la folla della solitudine,
                il disumano che lasciava voi
                giacere con la schiena sulla neve,
                nuda terra d'inverni ripetuti!
                Nel rimanere c'era il vostro grazie:
                "morte, c'hai piante, c'hai dato la vita!"
                E parlavo, parlavo con la voce,
                sperando di rispondervi, di dirvi:
                "Di nulla, io sono madre."
                Ma per voi ero come fossi muto!
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie personali)
                  Eppure, penna alata, questo corpo
                  pecca, cadendo a terra, e nel silenzio
                  il tonfo s'ode clamorosamente.
                  Sul foglio d'una strada della terra
                  la mano ch'è discesa nel mio piede
                  col moto di scrittura ch'è il mio passo
                  lascia s'imprima l'inchiostro dell'ombra.
                  L'occhio inveduto, attento, in quell'istante
                  avrà letto furtivo il contenuto.
                  Eppur ti illuderà con quella gomma
                  del successivo andare avanti ancora
                  d'avere cancellatolo per sempre.
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