Sono uno che non guarda di fino, non un pignolo; non uno spaccapelo, a me basta camminare accanto al carro, sentire lo zoccolo quieto, un toc dopo l'altro; e andare: a briglia sciolta mi scelgono le strade, come per la necessità del caso e se sono tanti gli imbocchi uno solo è lo sbocco: un prato dove ti troverò distesa e candida. Hai un vestito tutto ricamato a fiori e sei giovanissima, come me del resto che mi stendo accanto tra le labbra uno stelo e la camicia bianca e pulita e guardiamo tutti e due il cielo che non ha nuvole e posso toccarti come fossimo in vita; invece siamo eterni e vediamo ogni specie di fiore e di pianta e di animale e il cavallo che ha tanto faticato è lì anche lui e quieto.
Dalla vena minerale segreta, dalla venatura occulta, copiosamente emerge il silenzioso pensiero, memoria della terra, che si divide in tutto lo spazio, filone senza fine dell'oro delle aure di gloria, che trasfigurano i germogli naturali in bellezza.
Quando mi guardi i miei occhi sono chiavi, il muro ha segreti, il mio timore parole, poesie. Solo tu fai della mia memoria una viaggiatrice affascinata, un fuoco incessante.
La fiamma viva straziò l'aria, uní i volti in purpureo gesto, svegliò la freschezza delle bocche, fece delle braccia un nido, e dei corpi brezze nelle dune, cullarsi delle foglie nelle brezze.
Si intrufola dalla porta di servizio, di soppiatto oltrepassa la cucina, il salotto, l'ingresso, sale le scale ed entra in camera. Si china sul mio letto e dice che è venuto a uccidermi. L'opera la compirà a stadi.
Prima le unghie dei piedi verranno spuntate, poi gli alluci eccetera fino a che nulla rimanga di me. Stacca uno strumentucolo dal portachiavi, e inizia. Sento il Lago dei Cigni dallo stereo di un vicino e comincio a canticchiare.
Quanto tempo trascorra, non so dire. Ma quando torno in me sento che dice di essere al collo e che non è in grado di continuare perché è stanco. Gli dico che ha fatto abbastanza, che dovrebbe rincasare, riposare. Mi ringrazia e se ne va.
Resto sempre stupefatto da quanto si accontenti di poco certa gente.
Da questo momento vivrò senza amore. Libera dal telefono e dal caso. Non soffrirò. Non avrò dolore né desiderio. Sarò vento imbrigliato, ruscello di ghiaccio.
Non pallida per la notte insonne – ma non più ardente il mio volto. Non immersa in abissi di dolore – ma non più verso il cielo in volo. Non più cattiverie – ma nemmeno gesti di apertura infinita. Non più tenebre negli occhi, ma lontano per me non s'aprirà l'orizzonte intero.
Non aspetterò più, sfinita, la sera – ma l'alba non sorgerà per me. Non mi inchioderà, gelida, una parola – ma il fuoco lento non mi arderà. Non piangerò sulla crudele spalla – ma non riderò più a cuore aperto. Non morrò solo per uno sguardo – ma non vivrò realmente mai più.
Sarò una stella come le altre perché non c'è stella che s'inabissi ognuno rimane lungo il cielo lungo il lago ghiacciato ed io sono quel punto che rimane là, tra il cielo e la terra, sono il tu dove passa la mia anima perché tutto è fermo, i paesi che sfociano in vallate e non c'è morte, una soltanto, che si distingua dalla vita.
La lepre è enorme, le nubi piccole. La notte luminosa profuma già di code di topo, trifoglio, l'eco veglia, dondola la tua voce da un margine all'altro dell'abetaia: vuoi carezzare il gattino della betulla. Ti sollevo un po'? Abbasso il ramo? No, protesa, ti allunghi da sola.