Ho veduto solo una volta un sole così insanguinato. E poi mai più. Scendeva funesto sull'orizzonte e sembrava che qualcuno avesse sfondato la porta dell'inferno. Ho domandato alla specola e ora so il perché.
L'inferno lo conosciamo, è dappertutto e cammina su due gambe. Ma il paradiso? Può darsi che il paradiso non sia null'altro che un sorriso atteso per lungo tempo, e labbra che bisbigliano il nostro nome. E poi quel breve vertiginoso momento quando ci è concesso di dimenticare velocemente quell'inferno.
Il suo volto era un letto di chiome, Come fiori in un prato- La sua mano era più bianca dell'olio che bruciando alimenta le luci sacre. La sua lingua era più tenera dell'armonia che oscilla nelle foglie- chi l'ascolta può rimanere incredulo, ma chi ne fa esperienza crede.
Senza anni né lamenti sulla terra solenne fra le morbide virgole del bene, il ventre stilla l'ultimo saluto per te che ottusa come dio non sai di aver dipinto con sabbie spente questi acuti colori. Solidamente m'insapora le labbra quella pesca granata che ha fatto l'osso docile e più lievi d'un passero le vene.
Il nulla ci ha ottenuti facilmente per languide astenie delle viste e del ferro. Nei porti restiamo, ognuno ostrato al suo infranti dal più tenero spruzzo, in pace narcotizzati da liquidi domestici. Più vigorose abilità pretende l'Avventura. Benedico il tuo fianco.
Sinfonia italiana in cinque parti, con un'epigrafe e dediche
V
Pozzuoli - Ischia Porto
A Gleb Šul'pjakov
Colui che questi versi compose senza penna viaggiava a bordo dell'"Amleto", traghetto pingue e pensieroso, nel dormiveglia ossessionato dal problema tormentoso, ma il baffuto capitano impartiva ai marinai saggi comandi, netti e ben scanditi; una mano sul timone, e nell'altra la sua bella.
Dove portava questo viaggio né lungo né breve? – Dagli ischieti ad Ischia la rotta era questa: piegando verso destra, dapprima costeggiando, poi per il mare aperto, in grembo alla divinità che cambia sesso, e le cui lodi cantano gli amanti della salamoia in ogni angolo della terra.
"Canta, Attis! canta, Cibele! bevi, o Sole, bevi, o Luna! " – l'onda spumeggiava e bianca ribolliva; dal fondo del mare i pesci un po' sorpresi seguivano con lo sguardo la chiglia che solcava i flutti: perché questo coltello incide il vello pecorino generando tremito, strepito, e stridore?
Così si rituffarono, non bastò loro un'ora e mezzo per rivelarmi qualche cosa sull'isola dei tre vulcani che si stagliava non lontano –, ma il Signore, spalancato il cielo, fece udire la sua voce – a parole non si può ridire com'avvampai e mi sentii gelare: veramente "Pater noster" non è lo stesso che "Otce naš".
Questa penna è per l'amore che non scriverai quest'abbraccio è per gli abbracci dell'abbandono questo sguardo è perduto prima di vedere questo sogno vale i sogni che non ti sogneranno questa penna dovrà sempre scrivere da sola.