Poesie d'Autore


Scritta da: Cheope
in Poesie (Poesie d'Autore)
Parola che l'amor da la rotonda
bocca mi versa come unguenti e odori;
Parola che da l'odio irrompi fuori
fischiando come sasso da la fionda;

sola virtù che da la carne immonda
alzi gli spinti e inebri di fulgori;
o seme indistruttibile né cuori,
Parola, o cosa mistica e profonda;

ben io so la tua specie e il tuo mistero
e la forza terribile che dentro
porti e la pia soavità che spandi;

ma fossi tu per me fiume tra i grandi
fiumi più grande, e limpido nel centro
de la Vita recassi il mio pensiero!
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    Scritta da: Cheope
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    I poeti

    Il sogno d'un passato lontano, d'una ignota
    stirpe, d'una remota
    favola nei Poeti luce. Ai Poeti oscuro
    è il sogno del futuro.
    Qual contro l'aure avverse una chioma divina,
    una fiamma divina,
    tal ne la vita splende
    l'Anima, si distende,
    in dietro effusa pende.

    Ospiti fummo (O tu che m'ami: ti sovviene?
    Era ne le tue vene
    il Ritmo), ospiti fummo in imperi di gloria.
    Nativa è la memoria
    in noi, dei fiori ardenti su dai cavi alabastri
    come tangibili astri,
    dei misteri veduti,
    degli amori goduti,
    degli aromi bevuti.

    In qual sera purpurea chiudemmo gli occhi? Quale
    fu ne l'ora mortale
    il nostro Dio? Da quale portentosa ferita
    esalammo la vita?
    Forse dopo una strage di eroi? Sotto il profondo
    ciel d'un letto profondo?
    Le nostre spoglie fiera
    custodì la Chimera
    ne la purpurea sera.

    E al risveglio improvviso dal sonno secolare
    noi vedemmo raggiare
    un altro cielo; udimmo altre voci, altri canti;
    udimmo tutti i pianti
    umani, tutti i pianti umani che la Terra
    nel suo cerchio rinserra.
    Udimmo tutti i vani
    gemiti e gli urli insani
    e le bestemmie immani.

    Udimmo taciturni la querela confusa.
    Ma ne l'anima chiusa
    l'antichissimo sogno, che fluttuava ancòra,
    ebbe una nuova aurora.
    E vivemmo; e ingannammo la vita ricordando
    quella morte, cantando
    dei misteri veduti,
    degli amori goduti,
    degli aromi bevuti.

    Or conviene il silenzio: alto silenzio. Oscuro
    è il sogno del futuro.
    Nuova morte ci attende. Ma in qual giorno supremo,
    o Fato, rivivremo?
    Quando i Poeti al mondo canteranno su corde
    d'oro l'inno concorde:
    - O voi che il sangue opprime,
    Uomini, su le cime
    splende l'Alba sublime!
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      Scritta da: Cheope
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      Aprile

      Socchiusa è la finestra, sul giardino.
      Un'ora passa lenta, sonnolenta.
      Ed ella, ch'era attenta, s'addormenta
      a quella voce che già si lamenta,
      - che si lamenta in fondo a quel giardino.

      Non è che voce d'acque su la pietra:
      e quante volte, quante volte udita!
      Quell'amore e quell'ora in quella vita
      s'affondan come ne l'onda infinita
      stretti insieme il cadavere e la pietra.

      Ella stende l'angoscia sua nel sonno.
      L'angoscia è forte, e il sonno è così lieve!
      (Par la luce d'april quasi una neve
      che sia tiepida. ) Ed ella certo deve
      soffrire, vagamente, anche nel sonno.

      Tutto nel sonno si rivela il male
      che la corrompe. Il volto impallidisce
      lentamente: la bocca s'appassisce
      nel suo respiro; su le guance lisce
      s'incava un'ombra... O rose, è il vostro male:

      rose del sole nuovo, pur di ieri,
      ch'ella recise ad una ad una (e intanto
      ella era affaticata un poco, e intanto
      l'acque avean su la stessa pietra il pianto
      d'oggi), oggi quasi sfatte, e pur di ieri!

      Ella non è più giovine. I suoi tardi
      fiori effuse nel primo ultimo amore.
      Fu di voluttà ebra e di dolore.
      Un grido era nel suo segreto cuore,
      assiduo: - Troppo tardi! Troppo tardi! -

      Ella non è più giovine. Son quasi
      bianchi i capelli su la tempia; sono
      su la fronte un po' radi. L'abbandono
      (ella è supina e immota), l'abbandono
      fa sembrar morte le sue mani, quasi.

      Né pure il gesto fa scendere mai
      sangue all'estrenútà de le sue dita!
      La tragga il sogno lungi da la vita.
      Veda nel sogno almen ringiovanita
      l'Amato ch'ella non vedrà piu mai.

      Socchiusa è la finestra, sul giardino.
      Un'ora passa lenta, sonnolenta.
      Non altro s'ode, ne la luce spenta,
      che quella voce che giù si lamenta,
      - che si lamenta in fondo a quel giardino.
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        Scritta da: Cheope
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        Autunno

        Autunno, che negli occhi suoi specchiasti
        e nel mar taciturno il tuo fulvo oro
        - tutte le acque un immobile tesoro
        parvero, e gli occhi più del mare vasti -,

        Autunno, io non sentii mai così forte
        la tristezza che tu solo diffondi
        - quante di me né tuoi boschi profondi
        son cose morte tra le foglie morte!

        Come ieri. Fu ieri la suprema
        tristezza e fu l'amor supremo. Ah mai,
        ne l'ore più segrete, mai l'amai
        come ieri. Ancor l'anima ne trema.

        Ella taceva, chiusa ne la nera
        tunica dove sparsi erano fiori
        pallidi, Autunno, come i tuoi che indori
        sul vano stelo; e, china a la ringhiera,

        guardava il golfo solitario, china
        come colei che un peso immane aggrava.
        - Ombra de la sua fronte! - O non guardava
        forse dentro di sé la sua ruina?

        Forse. Non domandai. Ma così piena-
        mente a lei rispondean tutte le cose
        visibili, apparenze dolorose
        d'anime involte ne la stessa pena,

        che io credetti vedere il suo dolore
        in quelle forme, vivere in un mondo
        espresso intero dal suo cuor profondo,
        irradiato da quel solo cuore;

        e fu per me ciascuna forma un segno
        che svelava un mistero: quasi un muto
        verbo; e più nulla fu disconosciuto,
        anche per me, ne l'infinito regno.
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          Scritta da: Cheope
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          Il vento scrive

          Su la docile sabbia il vento scrive
          con le penne dell'ala; e in sua favella
          parlano i segni per le bianche rive.

          Ma, quando il sol declina, d'ogni nota
          ombra lene si crea, d'ogni ondicella,
          quasi di ciglia su soave gota.

          E par che nell'immenso arido viso
          della pioggia s'immilli il tuo sorriso.
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            I Pastori

            Settembre, andiamo. È tempo di migrare.
            Ora in terra d'Abruzzi i miei pastori
            lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
            scendono all'Adriatico selvaggio
            che verde è come i pascoli dei monti.

            Han bevuto profondamente ai fonti
            alpestri, che sapor d'acqua natia
            rimanga né cuori esuli a conforto,
            che lungo illuda la lor sete in via.
            Rinnovato hanno verga d'avellano.

            E vanno pel tratturo antico al piano,
            quasi per un erbal fiume silente,
            su le vestigia degli antichi padri.
            O voce di colui che primamente
            conosce il tremolar della marina!

            Ora lungh'esso il litoral cammina
            La greggia. Senza mutamento è l'aria.
            Il sole imbionda sì la viva lana
            che quasi dalla sabbia non divaria.
            Isciacquio, calpestio, dolci romori.

            Ah perché non son io cò miei pastori?
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              A vucchella

              Si comm'a nu sciurillo...
              tu tiene na vucchella,
              nu poco pucurillo,
              appassuliatella.

              Méh, dammillo, dammillo,
              è comm'a na rusella...
              dammillo nu vasillo,
              dammillo, Cannetella!

              Dammillo e pigliatillo
              nu vaso... piccerillo
              comm'a chesta vucchella

              che pare na rusella...
              nu poco pucurillo
              appassuliatella...
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                Scritta da: Cheope
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                L'amico che dorme

                Che diremo stanotte all'amico che dorme?
                La parola più tenue ci sale alle labbra
                dalla pena più atroce. Guarderemo l'amico,
                le sue inutili labbra che non dicono nulla,
                parleremo sommesso.
                La notte avrà il volto
                dell'antico dolore che riemerge ogni sera
                impassibile e vivo. Il remoto silenzio
                soffrirà come un'anima, muto, nel buio.
                Parleremo alla notte che fiata sommessa.

                Udiremo gli istanti stillare nel buio
                al di là delle cose, nell'ansia dell'alba,
                che verrà d'improvviso incidendo le cose
                contro il morto silenzio. L'inutile luce
                svelerà il volto assorto del giorno. Gli istanti
                taceranno. E le cose parleranno sommesso.
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                  Scritta da: Cheope
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                  Il vino triste

                  La fatica è sedersi senza farsi notare.
                  Tutto il resto poi viene da sé. Tre sorsate
                  e ritorna la voglia di pensarci da solo.
                  Si spalanca uno sfondo di lontani ronzii,
                  ogni cosa si sperde, e diventa un miracolo
                  esser nato e guardare il bicchiere. Il lavoro
                  (l'uomo solo non può non pensare al lavoro)
                  ridiventa l'antico destino che è bello soffrire
                  per poterci pensare. Poi gli occhi si fissano
                  a mezz'aria, dolenti, come fossero ciechi.

                  Se quest'uomo si rialza e va a casa a dormire,
                  pare un cieco che ha perso la strada. Chiunque
                  può sbucare da un angolo e pestarlo di colpi.
                  Può sbucare una donna e distendersi in strada,
                  bella e giovane, sotto un altr'uomo, gemendo
                  come un tempo una donna gemeva con lui.
                  Ma quest'uomo non vede. Va a casa a dormire
                  e la vita non è che un ronzio di silenzio.

                  A spogliarlo, quest'uomo, si trovano membra sfinite
                  e del pelo brutale, qua e là. Chi direbbe
                  che in quest'uomo trascorrono tiepide vene
                  dove un tempo la vita bruciava? Nessuno
                  crederebbe che un tempo una donna abbia fatto carezze
                  su quel corpo e baciato quel corpo, che trema,
                  e bagnato di lacrime, adesso che l'uomo
                  giunto a casa a dormire, non riesce, ma geme.
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