Poesie d'Autore


Scritta da: Cheope
in Poesie (Poesie d'Autore)

Edonismo puro

Dolci
le mani smaniose di proibito su di me torci
piano;
un filo di gemito m'accarezza le tempie,
soffio leggero,
gonfio è il pensiero mio
nel ventre; un'impudica ebbrezza m'empie
di getto,
rosso di voglia il mio petto nudo,
distratto dalla tua carnosa opulenza,
s'agita sotto.
Imploro clemenza, assaporo i tuoi gemiti,
scostanti;
linfa s'insinua in ogni poro lasciando distanti
i gesti di mano e le colate d'oro pressanti,
come acqua e diga in esplosione
rallento dolcemente,
lo sento lei mi sente mentre pigra
la mia voglia latente lacera il mio ventre e grida.
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    Scritta da: Cheope
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Incantatrice

    La mia rabbia per te non è sopita
    ma lo farà domattina;
    si ridesterà solo quando la tua carezza
    brucierà la mia pelle vergine.
    Avevo gli occhi chiusi dalle tue parole.

    Un tuo sguardo ha aperto la mia anima
    e l'ha lasciata finalmente volare sola.

    Da domani sarò solo schiavo di me.
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      Scritta da: Cheope
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il bambino di gomma

      Melampo era un bambino
      di gomma e cancellava
      i passi che segnava
      mettendosi in cammino.

      Era di gomma rossa,
      tondo come una palla,
      e stava sempre a galla
      nel bagno, e senza ossa

      dolce, tenero, buono,
      scendeva dalle scale
      senza mai farsi male
      saltando dal balcone.

      A scuola era bocciato,
      sempre il quaderno bianco!
      Eppure era il più franco
      a scrivere il dettato.

      Scriveva e poi cassava
      con la mano di gomma,
      i numeri, la somma,
      le lettere, e tornava

      a scrivere, a cassare.
      E sempre zitto rosso
      con tutti gli occhi addosso
      senza poter parlare.

      O povero Melampo!
      Un giorno, detto fatto,
      saltò su di scatto
      e si bucò la pancia.

      Fischiò come un pallone
      sgonfiato d'ogni affanno
      e visse senza danno
      tappando col bottone

      il buco della pancia.

      Visse nel tempo antico
      Melampo - ve l'ho detto? -
      Fischiò col suo fischietto
      premendosi a soffietto
      il disco all'ombelico.
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        Scritta da: Cheope
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Infinità d'amore

        Se ancor non ho tutto l'amore tuo,
        cara, giammai tutto l'avrò;
        non posso esalare un altro sospiro per intenerirti,
        né posso implorare un'altra lacrima a che sgorghi;
        ormai tutto il tesoro che avevo per acquistarti
        - sospiri, lacrime, e voti e lettere - l'ho consumato.
        Eppure non può essermi dovuto
        più di quanto fu inteso alla stipulazione del contratto;
        se allora il tuo dono d'amore fu parziale,
        si che parte a me toccasse, parte ad altri,
        cara giammai tutta ti avrò

        Ma se allora tu mi cedesti tutto,
        quel tutto non fu che il tutto di cui allora tu disponevi;
        ma se nel cuore tuo, in seguito, sia stato o sarà
        generato amor nuovo, ad opera di altri,
        che ancor possiedono intatte le lor sostanze, e possono di lacrime,
        di sospiri, di voti, di lettere, fare offerte maggiori,
        codesto amore nuovo può produrre nuove ansie,
        poiché codesto amore non fu da te impegnato.
        Eppur lo fu, dacché la tua donazione fu totale:
        il terreno, cioè il tuo cuore, è mio; quanto ivi cresca,
        cara, dovrebbe tutto spettare a me.

        Tuttavia ancor non vorrei avere tutto;
        chi tutto ha non può aver altro,
        e dacché il mio amore ammette quotidianamente
        nuovo accrescimento, tu dovresti avere in serbo nuove ricompense;
        tu non puoi darmi ogni giorno il tuo cuore:
        se puoi darlo, vuol dire che non l'hai mai dato.
        il paradosso d'amore consiste nel fatto che, sebbene il tuo cuore si diparta,
        tuttavia rimane, e tu col perderlo lo conservi.
        Ma noi terremo un modo più liberale
        di quello di scambiar cuori: li uniremo; così saremo
        un solo essere, e il Tutto l'un dell'altro.
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          Scritta da: Cheope
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il fiore

          Ben poco ti preoccupi, povero fiore,
          che ho osservato per sei o sette giorni,
          e ho visto la tua nascita, e ho visto quanto ogni ora donava
          al tuo sviluppo, affinché tu crescessi fino a questa altezza,
          e ora che su questo ramo tu trionfi e ridi,
          ben poco ti preoccupi
          che gelerà fra breve, e che domani
          ti troverò caduto, o non ti troverò per nulla.

          Ben poco ti preoccupi, povero cuore,
          che ancora fatichi a costruirti un nido,
          e pensi qui svolando di conquistarti un luogo
          su un albero vietato o che a te si rifiuta,
          e speri di piegare, in un lungo assedio, la sua rigidezza:
          ben poco ti preoccupi,
          che prima che si desti il sole, domani mattina,
          dovrai con questo sole e insieme a me metterti in viaggio.

          Ma tu, che ami essere
          sottile a tormentarti, dirai:
          ahimè, se tu devi partire a me che importa?
          Qui son le mie faccende, qui voglio restare;
          tu vai da amici il cui affetto e i cui mezzi
          altro piacere arrecano
          agli occhi tuoi, agli orecchi, alla lingua, a ogni parte di te.
          Se quindi parte il tuo corpo, che bisogno hai di un cuore?

          Bene, allora rimani: ma sappi,
          quando sarai rimasto, e fatto del tuo meglio:
          un cuore nudo e pesante, che non fa mostra di sè,
          per una donna non è che una specie di spettro;
          come potrà conoscere il mio cuore; o non avendo cuore
          in te riconoscerne uno?
          La pratica le può insegnare a conoscere altre parti,
          ma, parola mia, non a conoscere un cuore.

          Vienimi incontro a Londra, allora,
          fra venti giorni, e mi potrai vedere
          più fresco e grasso, per la compagnia degli uomini,
          che se fossi rimasto insieme a te e a lei.
          Per amore di Dio, se ti è possibile, segui il mio esempio:
          laggiù ti vorrei dare
          a un altro amico, che si mostrerà felice
          di avere tanto il mio corpo quanto la mia anima.
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            Scritta da: Cheope
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La partita di calcio

            Boccaccio era il portiere,
            il gran portiere giallo
            della squadra del quartiere.
            Stava all’erta come un gallo

            sulla porta del campetto
            alla periferia.
            Diceva: "Qua sul petto,
            ed ogni palla è mia".

            Ma quel giorno, chi lo sa,
            sbuca di qua sbuca di là
            - Boccaccio attento! - pa pa
            la palla è in rete. "Ma va,
            ma va, Boccaccio, è uno".

            Attento, di qua di là,
            passa non passa, tira.
            Boccaccio si rigira;
            si tuffa - passerà?-
            "Qui non passa nessuno",
            ma la palla è nel sacco.

            E son due. Lo smacco,
            i fischi, e poi sotto...
            "Salta a pugno, Boccaccio,
            ma non la vedi dov’è,
            salta, salta"... E son tre.

            E quattro e cinque e sei.
            - Boccaccio dove sei?-
            E sette e otto e nove
            e piove e piove e piove
            con grandine e con tuoni.  
            Quattordici palloni
            nella rete di Boccaccio
            poveretto poveraccio,
            bianco come uno straccio
            col berretto da fantino
            ubriaco senza vino.

            Quanti fischi! e poi "cretino",
            "pastafrolla", "posapiano",
            "tappabuchi", "moscardino!"
            Oh, quel povero Boccaccio
            nella furia del baccano
            si strappava i suoi capelli
            e la folla dai cancelli
            gli gridava: "Ancora, ancora".

            Tutti tutti, ad uno ad uno
            si strappò capelli e baffi
            e poi schiaffi sopra schiaffi
            si ridette per lezione.
            Restò lì con la sua testa
            tonda, liscia come palla.
            "Oh, son quindici con questa
            - gli gridò dietro la folla -
            tappabuchi, pastafrolla
            vai a guardia d’un portone!"

            E difatti il buon Boccaccio
            col berretto e col gallone,
            mani pronte e spazzolone,
            oggi è a guardia d’un portone
            dove passano persone
            che fermare egli non può,
            dieci venti cento e più.
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              Scritta da: Cheope
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              A palazzo Oro Ror

              Nel cuor della notte, ogni notte,
              la veglia incomincia a palazzo Oro Ror.
              In riva allo stagno s'innalza il palazzo,
              soltanto lo stagno lo guarda perenne e lo specchia.

              Già lenta l'orchestra incomincia la danza,
              la notte è profonda.

              Comincian le dame che giungon da lungi,
              discendon silenti dai cocchi dorati.
              Dei ricchi broccati ricopron le dame,
              ricopron le vesti cosparse di gemme i ricchi broccati.

              Finestra non s'apre a palazzo Oro Ror,
              ma solo la porta, la sera, pel passo alle dame.
              In fila infinita si seguono i cocchi dorati,
              discendon le dame silenti ravvolte nei ricchi broccati.
              Lo stagno ne specchia l'entrata,
              e l'oro dei cocchi risplende nell'acqua estasiata.

              L'orchestra soltanto si sente.
              Si perde il vaghissimo suono
              confuso fra muover di serici manti.
              La veglia ora è piena.
              Di fuori più nulla.
              Silenzio.

              Un cocchio lucente ancora lontano risplende,
              s'appressa più ratto del vento
              e rapida scende la dama tardante.
              Se n'ode soltanto il leggero frusciare del serico manto.

              Il cocchio ora lento nell'ombra si perde.
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