La poiana non ha nulla da rimproverarsi. Gli scrupoli sono estranei alla pantera nera. I piranha non dubitano della bontà delle proprie azioni. Il serpente a sonagli si accetta senza riserve. Uno sciacallo autocritico non esiste. La locusta, l'alligatore, la trichina e il tafano vivono come vivono e ne sono contenti. Non c'è nulla di più animale della coscienza pulita, sul terzo pianeta del sole.
Voglio un amore doloroso, lento, che lento sia come una lenta morte, e senza fine (voglio che più forte sia de la morte) e senza mutamento.
Voglio che senza tregua in un tormento occulto sian le nostre anime assorte; e un mare sia presso a le nostre porte, solo che pianga in un silenzio intento.
Voglio che sia la torre alta granito, ed alta sia così che nel sereno sembri attingere il grande astro polare.
Voglio un letto di porpora, e trovare in quell'ombra giacendo su quel seno, come in fondo a un sepolcro l'Infinito.
La porta è socchiusa La porta è socchiusa, dolce respiro dei tigli... Sul tavolo, dimenticati, un frustino ed un guanto.
Giallo cerchio del lume... tendo l'orecchio ai fruscii. Perché sei andato via? Non comprendo...
Luminoso e lieto domani sarà il mattino. Questa vita è stupenda, sii dunque saggio cuore. Tu sei prostrato, batti più sordo, più a rilento... Sai, ho letto che le anime sono immortali.
La bufera che sgronda sulle foglie dure della magnolia i lunghi tuoni marzolini e la grandine, (i suoni di cristallo nel tuo nido notturno ti sorprendono, dell'oro che s'è spento sui mogani, sul taglio dei libri rilegati, brucia ancora una grana di zucchero nel guscio delle tue palpebre) il lampo che candisce alberi e muro e li sorprende in quella eternità d'istante - marmo manna e distruzione - ch'entro te scolpita porti per tua condanna e che ti lega più che l'amore a me, strana sorella, - e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere dei tamburelli sulla fossa fuia, lo scalpicciare del fandango, e sopra qualche gesto che annaspa... Come quando ti rivolgesti e con la mano, sgombra la fronte dalla nube dei capelli, mi salutasti - per entrar nel buio.
Quattro stagioni fanno intero l'anno, quattro stagioni ha l'animo dell'uomo. Egli ha la sua robusta Primavera quando coglie l'ingenua fantasia ad aprire di mano ogni bellezza; ha la sua Estate quando ruminare il boccone di miel primaverile del giovine pensiero ama perduto di voluttà, e così fantasticando, quanto gli è dato approssimarsi al cielo; e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno quando ripiega strettamente le ali pago di star così a contemplare oziando le nebbie, di lasciare le cose belle inavvertite lungi passare come sulla siglia un rivo. Anche ha il suo Inverno di sfiguramento pallido, sennò forza gli sarebbe rinunciare alla sua mortal natura.
Vien da lungi la Sera, camminando per la pineta tacita, di neve. Poi, contro tutte le finestre preme le sue gelide guance; e, zitta, origlia. Si fa silenzio, allora, in ogni casa. Siedono i vecchi, meditando. I bimbi non si attentano ancora ai loro giuochi. Cade di mano alle fantesche il fuso.
La Sera ascolta, trepida, pei vetri; tutti - all'interno - ascoltano la Sera.
Quando brillava il vespero vermiglio, e il cipresso pareva oro, oro fino, la madre disse al piccoletto figlio: Così fatto è lassù tutto un giardino. Il bimbo dorme, e sogna i rami d'oro, gli alberi d'oro, le foreste d'oro; mentre il cipresso nella notte nera scagliasi al vento, piange alla bufera.