Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Gabriella Stigliano
in Poesie (Poesie d'Autore)

La sera

Come una indefinibile fata d'ombre
vien da lungi la sera, camminando
per l'abetaia tacita e nevosa.
Poi, contro tutte le finestre preme
le sue gelide guance e, zitta, origlia!
Si fa silenzio, allora, in ogni casa.
Siedono i vecchi, meditando. I bimbi
non si attentano ancora ai loro giochi!
Le madri stanno siccome regine.
Cade di mano alle fantesche il fuso.
La sera ascolta, trepida pei vetri:
tutti, all'interno, ascoltano la sera.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    La canzone del Girarrosto

    Domenica! Il dì che a mattina
    sorride e sospira al tramonto!...
    Che ha quella teglia in cucina?
    Che brontola brontola brontola...
    È fuori un frastuono di giuoco,
    per casa è un sentore di spigo...
    Che ha quella pentola al fuoco?
    Che sfrigola sfrigola sfrigola...
    E già la massaia ritorna
    da messa;
    così come trovasi adorna,
    s'appressa:
    la brage qua copre, là desta,
    passando, frr, come in un volo,
    spargendo un odore di festa,
    di nuovo, di tela e giaggiolo.
    La macchina è in punto; l'agnello
    nel lungo schidione è già pronto;
    la teglia è sul chiuso fornello,
    che brontola brontola brontola...
    Ed ecco la macchina parte
    da sé, col suo trepido intrigo:
    la pentola nera è da parte,
    che sfrigola sfrigola sfrigola...

    Ed ecco che scende, che sale,
    che frulla,
    che va con un dondolo eguale
    di culla.
    La legna scoppietta; ed un fioco
    fragore all'orecchio risuona
    di qualche invitato, che un poco
    s'è fermo su l'uscio, e ragiona.
    È l'ora, in cucina, che troppi
    due sono, ed un solo non basta:
    si cuoce, tra murmuri e scoppi,
    la bionda matassa di pasta.
    Qua, nella cucina, lo svolo
    di piccole grida d'impero;
    là, in sala, il ronzare, ormai solo,
    d'un ospite molto ciarliero.
    Avanti i suoi ciocchi, senz'ira
    né pena,
    la docile macchina gira
    serena,
    qual docile servo, una volta
    ch'ha inteso, né altro bisogna:
    lavora nel mentre che ascolta,
    lavora nel mentre che sogna.
    Va sempre, s'affretta, ch'è l'ora,
    con una vertigine molle:
    con qualche suo fremito incuora
    la pentola grande che bolle.
    È l'ora: s'affretta, né tace,
    ché sgrida, rimprovera, accusa,
    col suo ticchettìo pertinace,
    la teglia che brontola chiusa.
    Campana lontana si sente
    sonare.
    Un'altra con onde più lente,
    più chiare,
    risponde. Ed il piccolo schiavo
    già stanco, girando bel bello,
    già mormora, in tavola! In tavola!,
    e dondola il suo campanello.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      L'ultimo canto di Saffo

      Placida notte, e verecondo raggio
      Della cadente luna; e tu che spunti
      Fra la tacita selva in su la rupe,
      Nunzio del giorno; oh dilettose e care
      Mentre ignote mi fur l'erinni e il fato,
      Sembianze agli occhi miei; già non arride
      Spettacol molle ai disperati affetti.
      Noi l'insueto allor gaudio ravviva
      Quando per l'etra liquido si volve
      E per li campi trepidanti il flutto
      Polveroso dè Noti, e quando il carro,
      Grave carro di Giove a noi sul capo,
      Tonando, il tenebroso aere divide.
      Noi per le balze e le profonde valli
      Natar giova trà nembi, e noi la vasta
      Fuga dè greggi sbigottiti, o d'alto
      Fiume alla dubbia sponda
      Il suono e la vittrice ira dell'onda.
      Bello il tuo manto, o divo cielo, e bella
      Sei tu, rorida terra. Ahi di cotesta
      Infinita beltà parte nessuna
      Alla misera Saffo i numi e l'empia
      Sorte non fenno. À tuoi superbi regni
      Vile, o natura, e grave ospite addetta,
      E dispregiata amante, alle vezzose
      Tue forme il core e le pupille invano
      Supplichevole intendo. A me non ride
      L'aprico margo, e dall'eterea porta
      Il mattutino albor; me non il canto
      Dè colorati augelli, e non dè faggi
      Il murmure saluta: e dove all'ombra
      Degl'inchinati salici dispiega
      Candido rivo il puro seno, al mio
      Lubrico piè le flessuose linfe
      Disdegnando sottragge,
      E preme in fuga l'odorate spiagge.
      Qual fallo mai, qual sì nefando eccesso
      Macchiommi anzi il natale, onde sì torvo
      Il ciel mi fosse e di fortuna il volto?
      In che peccai bambina, allor che ignara
      Di misfatto è la vita, onde poi scemo
      Di giovanezza, e disfiorato, al fuso
      Dell'indomita Parca si volvesse
      Il ferrigno mio stame? Incaute voci
      Spande il tuo labbro: i destinati eventi
      Move arcano consiglio. Arcano è tutto,
      Fuor che il nostro dolor. Negletta prole
      Nascemmo al pianto, e la ragione in grembo
      Dè celesti si posa. Oh cure, oh speme
      Dè più verd'anni! Alle sembianze il Padre,
      Alle amene sembianze eterno regno
      Diè nelle genti; e per virili imprese,
      Per dotta lira o canto,
      Virtù non luce in disadorno ammanto.
      Morremo. Il velo indegno a terra sparto
      Rifuggirà l'ignudo animo a Dite,
      E il crudo fallo emenderà del cieco
      Dispensator dè casi. E tu cui lungo
      Amore indarno, e lunga fede, e vano
      D'implacato desio furor mi strinse,
      Vivi felice, se felice in terra
      Visse nato mortal. Me non asperse
      Del soave licor del doglio avaro
      Giove, poi che perir gl'inganni e il sogno
      Della mia fanciullezza. Ogni più lieto
      Giorno di nostra età primo s'invola.
      Sottentra il morbo, e la vecchiezza, e l'ombra
      Della gelida morte. Ecco di tante
      Sperate palme e dilettosi errori,
      Il Tartaro m'avanza; e il prode ingegno
      Han la tenaria Diva,
      E l'atra notte, e la silente riva.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Le conchiglie

        Ogni incrostata conchiglia che sta
        In quella grotta in cui ci siamo amati
        Ha la sua propria particolarità.

        Una dell'anima nostra ha la porpora
        Che ha succhiato nel sangue ai nostri cuori
        Quando io brucio e tu a quel fuoco ardi;

        Un'altra imita te nei tuoi languori
        E nei pallori tuoi di quando, stanca,
        Ce l'hai con me perché ho gli occhi beffardi.

        Questa fa specchio a come in te s'avvolge
        La grazia del tuo orecchio, un'altra invece
        Alla tenera e corta nuca rosa;

        Ma una sola, fra tutte, mi sconvolge.
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          Scritta da: Rosarita De Martino
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          A Dio

          Sempre ti chiamo
          quando tocco il fondo,
          so il numero a memoria
          e ti disturbo come un maniaco
          abbarbicato al telefono;
          lascio un messaggio se sei fuori.
          So che a volte cancelli
          a qualche fortunato
          il debito che tutti con te abbiamo.
          La bolletta falla pagare a me,
          ma dimmi almeno
          che non farai tagliare la mia linea.
          Ti prego, quando echeggerà
          quell'ultimo e dolorante squillo,
          Dio-per-Dio!
          non staccare: rispondimi!
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            La sera del dì di festa

            Dolce e chiara è la notte e senza vento,
            E queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
            Posa la luna, e di lontan rivela
            Serena ogni montagna. O donna mia,
            Già tace ogni sentiero, e pei balconi
            Rara traluce la notturna lampa:
            Tu dormi, che t'accolse agevol sonno
            Nelle tue chete stanze; e non ti morde
            Cura nessuna; e già non sai né pensi
            Quanta piaga m'apristi in mezzo al petto.
            Tu dormi: io questo ciel, che sì benigno
            Appare in vista, a salutar m'affaccio,
            E l'antica natura onnipossente,
            Che mi fece all'affanno. A te la speme
            Nego, mi disse, anche la speme; e d'altro
            Non brillin gli occhi tuoi se non di pianto.
            Questo dì fu solenne: or dà trastulli
            Prendi riposo; e forse ti rimembra
            In sogno a quanti oggi piacesti, e quanti
            Piacquero a te: non io, non già ch'io speri,
            Al pensier ti ricorro. Intanto io chieggo
            Quanto a viver mi resti, e qui per terra
            Mi getto, e grido, e fremo. Oh giorni orrendi
            In così verde etate! Ahi, per la via
            Odo non lunge il solitario canto
            Dell'artigian, che riede a tarda notte,
            Dopo i sollazzi, al suo povero ostello;
            E fieramente mi si stringe il core,
            A pensar come tutto al mondo passa,
            E quasi orma non lascia. Ecco è fuggito
            Il dì festivo, ed al festivo il giorno
            Volgar succede, e se ne porta il tempo
            Ogni umano accidente. Or dov'è il suono
            Di què popoli antichi? Or dov'è il grido
            Dè nostri avi famosi, e il grande impero
            Di quella Roma, e l'armi, e il fragorio
            Che n'andò per la terra e l'oceano?
            Tutto è pace e silenzio, e tutto posa
            Il mondo, e più di lor non si ragiona.
            Nella mia prima età, quando s'aspetta
            Bramosamente il dì festivo, or poscia
            Ch'egli era spento, io doloroso, in veglia,
            Premea le piume; ed alla tarda notte
            Un canto che s'udia per li sentieri
            Lontanando morire a poco a poco,
            Già similmente mi stringeva il core.
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              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Aquila solitaria

              Un migliaio di anni,
              un migliaio di paure,
              un migliaio di lacrime
              abbiamo versato
              l'uno per l'altro,
              come falene
              alla fiamma,
              un gioco mortale,
              bambini smarriti
              in cerca
              della loro mamma,
              e quando i cuori cantano,
              la musica porta
              una magia
              come nessun'altra,
              il freddo inverno,
              non una mano da stringere,
              l'estate
              breve
              e assolata,
              e la mattina,
              stretta
              a te,
              momenti preziosi,
              teneri, amorosi,
              divertenti,
              ballavamo,
              ridevamo,
              volavamo,
              crescevamo,
              osavamo,
              volevamo vene
              più di quanto qualunque anima
              potesse capire
              o accettare,
              la luce cosi splendente,
              l'accordo cosi perfetto,
              per cento
              preziose
              stagioni,
              la falena
              la fiamma,
              la danza
              le stesse,
              poi ali spezzate
              e cose
              tenute come un tesoro
              in pezzi
              intorno a noi,
              il sogno
              l'unico
              per il quale mi struggo,
              qui o là,
              le nostre anime
              messe a nudo,
              fra un milione di anni,
              il mio cuore
              ti terrà
              sempre
              con se.
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