Sei appena uscito di prigione e appena uscito ecco tua moglie incinta. La sera la prendi sottobraccio. Ve ne andate a passeggio per le strade del quartiere. Ha il ventre quasi fino al naso tua moglie. E il suo peso sacro lo porta con civetteria. Tu sei fiero e pieno di rispetto. Fa fresco, una freschezza come le mani di un bimbo infreddolito. I gatti del quartiere aspettano attorno alla macelleria. Al primo piano, la macellaia ricciuta, i grossi seni appoggiati sul davanzale, contempla il tramonto. In mezzo al cielo compare una stella, limpida e bella come un bicchier d'acqua. L'estate è durata a lungo quest'anno e se i gelsi sono ingialliti, i fichi sono ancora verdi. Refik, il tipografo, e la figlia più giovane di Jorghi, il lattaio, passeggiano su e giù, con le dita intrecciate. Karabè, il pizzicagnolo, ha già acceso le luci. Quest'armeno non ha dimenticato il massacro di suo padre tra le montagne curde. Ma a te, ti vuol bene. Anche tu non li puoi perdonare quelli che hanno messo questo marchio sulla fronte del popolo turco. I malati, i tisici del quartiere guardano da dietro i vetri. Il figlio di Nuriye, la lavandaia, disoccupato, ingobbito dalla tristezza, s'avvia verso la bettola. In casa di Rahmi si sente il radio-giornale. Hanno mandato 4500 ragazzi in un paese dell'Estremo Oriente per massacrare i loro fratelli, dal viso giallo lunare. Il tuo viso arrossisce di collera e di vergogna. Non sei obiettivo, no, al diavolo, ma triste di una tristezza tua propria, una tristezza con le mani e i piedi legati, come se fossi ancora in prigione, e giù in guardina sentissi i gendarmi battere i contadini . La notte è caduta. Il passeggio serale è terminato. Una jeep della polizia entra nella strada. Tua moglie sussurra: "andrà a casa? ".
Ricordi quand'eri saggina, coi penduli grani che il vento scoteva, come una manina di bimbo il sonaglio d'argento? Cadeva la brina; la pioggia cadeva: passavano uccelli gemendo: tu gracile e roggia tinnivi coi cento ramelli. Ed oggi non più come ieri tu senti la pioggia e la brina, ma sgrigioli come quand'eri saggina. Restavi negletta nei solchi quand'ogni pannocchia fu colta: te, colsero, quando i bifolchi v'ararono ancora una volta. Un vecchio ti prese, recise, legò; ti privò della bella semenza tua rossa; e ti mise nell'angolo, ad essere ancella. E in casa tu resti, in un canto, negletta qui come laggiù; ma niuno è di casa pur quanto sei tu. Se t'odia colui che la trama distende negli alti solai, l'arguta gallina pur t'ama, cui porti la preda che fai. E t'ama anche senza, ché ai costi ti sbalza, ed i grani t'invola, residui del tempo che fosti saggina, nei campi già sola. Ma più, gracilando t'aspetta con ciò che in tua vasta rapina le strascichi dalla già netta cucina. Tu lasci che t'odiino, lasci che t'amino: muta, il tuo giorno, nell'angolo, resti, coi fasci di stecchi che attendono il forno. Nell'angolo il giorno tu resti, pensosa del canto del gallo; se al bimbo tu già non ti presti, che viene, e ti vuole cavallo. Riporti, con lui che ti frena, le paglie ch'hai tolte, e ben più; e gioia or n'ha esso; ma pena poi tu. Sei l'umile ancella; ma reggi la casa: tu sgridi a buon'ora, mentre impaziente passeggi, gl'ignavi che dormono ancora. E quanto tu muovi dal canto, la rondine è ancora nel nido; e quando comincia il suo canto, già ode per casa il tuo strido. E l'alba il suo cielo rischiara, ma prima lo spruzza e imperlina, così come tu la tua cara casina. Sei l'umile ancella, ma regni su l'umile casa pulita. Minacci, rimproveri; insegni ch'è bella, se pura, la vita. Insegni, con l'acre tua cura rodendo la pietra e la creta, che sempre, per essere pura, si logora l'anima lieta. Insegni, tu sacra ad un rogo non tardo, non bello, che più di ciò che tu mondi, ti logori tu!
Vola, canzone, rapida davanti a Lei e dille che, nel mio cuor fedele, gioioso ha fatto luce un raggio, dissipando, santo lume, le tenebre dell'amore: paura, diffidenza e incertezza. Ed ecco il grande giorno! Rimasta a lungo muta e pavida - la senti? - l'allegria ha cantato come una viva allodola nel cielo rischiarato. Vola, canzone ingenua, e sia la benvenuta senza rimpianti vani colei che infine torna.
Un'ape esser vorrei, donna bella e crudele, che sussurrando in voi suggesse il mèle; e, non potendo il cor, potesse almeno pungervi il bianco seno, e 'n sì dolce ferita vendicata lasciar la propria vita.
Pace non trovo e non ho da far guerra e temo, e spero; e ardo e sono un ghiaccio; e volo sopra 'l cielo, e giaccio in terra; e nulla stringo, e tutto il mondo abbraccio.
Tal m'ha in pregion, che non m'apre nè sera, nè per suo mi riten nè scioglie il laccio; e non m'ancide Amore, e non mi sferra, nè mi vuol vivo, nè mi trae d'impaccio.
Veggio senz'occhi, e non ho lingua, e grido; e bramo di perire, e chieggio aita; e ho in odio me stesso, e amo altrui.
Pascomi di dolor, piangendo rido; egualmente mi spiace morte e vita: in questo stato son, donna, per voi.
Sempre ti chiamo quando tocco il fondo, so il numero a memoria e ti disturbo come un maniaco abbarbicato al telefono; lascio un messaggio se sei fuori. So che a volte cancelli a qualche fortunato il debito che tutti con te abbiamo. La bolletta falla pagare a me, ma dimmi almeno che non farai tagliare la mia linea. Ti prego, quando echeggerà quell'ultimo e dolorante squillo, Dio-per-Dio! non staccare: rispondimi!
Sempre assorto in me stesso e nel mio mondo come in sonno tra gli uomini mi muovo. Di chi m'utra col braccio non m'accorgo, e se ogni cosa guardo acutamente quasi sempre non vedo ciò che guardo. Stizza mi prende contro chi mi toglie a me stesso. Ogni voce m'importuna. Amo solo la voce delle cose. M'irrita tutto ciò che è necessario e consueto, tutto ciò che è vita, m'irrita come il fuscello la lumaca e com'essa in me stesso mi ritiro.
Chè la vita che basta agli altri uomini non basterebbe a me. E veramente se un altro mondo non avessi, mio, nel quale dalla vita rifugiarmi, se oltre le miserie e le tristezze e le necessità e le consuetudini a me stesso non rimanessi io stesso, oh come non esistere vorrei! Ma un'impressione strana m'accompagna sempre in ogni mio passo e mi conforta: mi pare di passare come per caso da questo mondo...