in Poesie (Poesie d'Autore)
Se non puoi amarmi, amore mio, perdona il mio dolore.
Non guardarmi sdegnato, da lontano.
Tornerò nel mio cantuccio e siederò al buio.
Con entrambe le mani coprirò
la mia nuda vergogna.
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Se non puoi amarmi, amore mio, perdona il mio dolore.
Non guardarmi sdegnato, da lontano.
Tornerò nel mio cantuccio e siederò al buio.
Con entrambe le mani coprirò
la mia nuda vergogna.
La porta è socchiusa
La porta è socchiusa,
dolce respiro dei tigli...
Sul tavolo, dimenticati,
un frustino ed un guanto.
Giallo cerchio del lume...
tendo l'orecchio ai fruscii.
Perché sei andato via?
Non comprendo...
Luminoso e lieto
domani sarà il mattino.
Questa vita è stupenda,
sii dunque saggio cuore.
Tu sei prostrato, batti
più sordo, più a rilento...
Sai, ho letto
che le anime sono immortali.
La bufera che sgronda sulle foglie
dure della magnolia i lunghi tuoni
marzolini e la grandine,
(i suoni di cristallo nel tuo nido
notturno ti sorprendono, dell'oro
che s'è spento sui mogani, sul taglio
dei libri rilegati, brucia ancora
una grana di zucchero nel guscio
delle tue palpebre)
il lampo che candisce
alberi e muro e li sorprende in quella
eternità d'istante - marmo manna
e distruzione - ch'entro te scolpita
porti per tua condanna e che ti lega
più che l'amore a me, strana sorella, -
e poi lo schianto rude, i sistri, il fremere
dei tamburelli sulla fossa fuia,
lo scalpicciare del fandango, e sopra
qualche gesto che annaspa...
Come quando
ti rivolgesti e con la mano, sgombra
la fronte dalla nube dei capelli,
mi salutasti - per entrar nel buio.
Quello che amo
Mi ha detto
Che ha bisogno di me
Per questo ho cura di me stessa
guardo dove cammino e
temo che ogni goccia di pioggia
mi possa uccidere.
Quattro stagioni fanno intero l'anno,
quattro stagioni ha l'animo dell'uomo.
Egli ha la sua robusta Primavera
quando coglie l'ingenua fantasia
ad aprire di mano ogni bellezza;
ha la sua Estate quando ruminare
il boccone di miel primaverile
del giovine pensiero ama perduto
di voluttà, e così fantasticando,
quanto gli è dato approssimarsi al cielo;
e calmi ormeggi in rada ha nel suo Autunno
quando ripiega strettamente le ali
pago di star così a contemplare
oziando le nebbie, di lasciare
le cose belle inavvertite lungi
passare come sulla siglia un rivo.
Anche ha il suo Inverno di sfiguramento
pallido, sennò forza gli sarebbe
rinunciare alla sua mortal natura.
Vien da lungi la Sera, camminando
per la pineta tacita, di neve.
Poi, contro tutte le finestre preme
le sue gelide guance; e, zitta, origlia.
Si fa silenzio, allora, in ogni casa.
Siedono i vecchi, meditando. I bimbi
non si attentano ancora ai loro giuochi.
Cade di mano alle fantesche il fuso.
La Sera ascolta, trepida, pei vetri;
tutti - all'interno - ascoltano la Sera.
Bambine che si vendono sui marciapiedi.
Bambini con la mano tesa al semaforo.
Cani abbandonati.
Uomini con le tette che si esibiscono sotto i lampioni.
Uomini senza palle che vendono droga all'angolo.
Bambini nei cassonetti e immondizie per la strada.
Scippi, rapine e risse.
Ragazzini che fumano e sputano sui muri.
Vestiti tutti uguali e pensieri tutti uguali.
Ubriaconi alla guida che vanno a tutta birra.
Pensavo che lavando il parabrezza della mia auto
tutto questo sarebbe sparito.
Prima di me
non sono geloso,
Vieni con un uomo
alla schiena,
vieni con cento uomini nella tua chioma,
vieni con mille uomini tra il il tuo petto e i tuoi piedi,
vieni come un fiume
pieno d'affogati
che trova il mare furioso,
la spuma eterna del tempo!
Portali tutti
dove io t'attendo:
sempre saremo soli,
sempre sarem tu e io
sali sopra la terra
per iniziare la vita.
Quando brillava il vespero vermiglio,
e il cipresso pareva oro, oro fino,
la madre disse al piccoletto figlio:
Così fatto è lassù tutto un giardino.
Il bimbo dorme, e sogna i rami d'oro,
gli alberi d'oro, le foreste d'oro;
mentre il cipresso nella notte nera
scagliasi al vento, piange alla bufera.
Sono cresciuto in una terra strana
dopo che hai messo all'ombra la mia luce,
quasi non mossi piede dalla soglia
della mia meraviglia
per il dio nuovo cui tu m'opponevi.
In me cresceva il Dio dei miei domini
(ero ancora ragazzo)
ma tu mi hai rotto l'urlo ai vorticosi
margini della bocca,
l'urlo della potente giovinezza.
Mamma, io ti ringrazio
dalla rigida tomba entro cui siede
il mio pensiero finalmente puro.
Ora vedo che a forza mi hai strappato
il verde degli amari desideri,
mi hai edificato come l'architetto
sapiente che ritoglie chiari miti
dalle antiche macerie.
Nacqui umana rovina come tutti,
tu mi hai intessuta un'ala senza geli...