in Poesie (Poesie d'Autore)
La stella del mattino
scrive sorridente
l’arrivo della luce nell’ultima pagina della notte.
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La stella del mattino
scrive sorridente
l’arrivo della luce nell’ultima pagina della notte.
Assunto mio malgrado nella fabbrica delle idee
mi sono rifiutato di timbrare il cartellino
Mobilitato altresì nell'esercito delle idee
ho disertato
Non ho mai capito granché
Non c'è mai granché
né piccolo che
C'è altro.
Altro
vuol dire che amo chi mi piace
e ciò che faccio.
La frase contiene espressioni adatte ad un solo pubblico adulto.
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Prima costruii sulla sabbia,
poi costruii sulla roccia.
Quando la roccia crollò
non ho più costruito su nulla.
Poi ancora talvolta costruivo
su sabbia e roccia, come capitava, ma
avevo imparato.
Coloro ai quali affidavo la lettera
la buttavano via.
Ma chi non curavo
me la riportava.
Allora ho imparato.
Le mie disposizioni non furono rispettate.
Quando giunsi, m'avvidi
che erano sbagliate.
Era stato fatto
quel che era giusto.
Così ho imparato.
Le cicatrici dolgono
nel tempo di gelo.
Ma spesso dico: solo la fossa
non m'insegnerà più nulla.
Ti svegli.
Dove sei?
A casa.
Non hai potuto ancora abituarti:
al tuo risveglio
trovarti a casa.
Ecco quel che ti lasciano
tredici anni di carcere.
Chi c'è nel letto, accanto a te?
Non è la solitudine, è tua moglie.
Dorme coi pugni chiusi, come un angelo.
Le dona, essere incinta.
Che ore sono?
Le otto.
Possiamo dunque star tranquilli
fino a sera.
È l'uso,
la polizia non fa irruzione in pieno giorno.
Saltimbanco, addio! Buona sera, Pagliaccio! Indietro, Babbeo:
Fate posto, buffoni antiquati, dalla burla impeccabile,
Fate largo! Solenne, altero e discreto,
ecco venire il migliore di tutti, l'agile clown.
Più snello d'Arlecchino e più impavido di Achille
è lui di certo, nella sua bianca armatura di raso:
etereo e chiaro come uno specchio senza argento.
I suoi occhi non vivono nella sua maschera d'argilla.
Brillano azzurri fra il belletto e gli unguenti
mentre, eleganti il busto e il capo si bilanciano
sull'arco paradossale delle gambe.
Poi sorride. Intorno il volgo stupido e sporco
la canaglia puzzolente e santa dei Giambi
applaude al sinistro istrione che l'odia.
Verde ramo libero
da ritmo ed uccelli.
Eco di singhiozzo
senza dolore né labbro.
Uomo e Bosco.
Piango
di fronte al mare amaro.
Nelle mie pupille
due mari che cantano!
La mia poesia è alacre come il fuoco
trascorre tre le mie dita come un rosario.
Non prego perché sono un poeta della sventura che tace, a volte, le doglie di un parto dentro le ore,
sono il poeta che grida e che gioca con le sue grida,
sono il poeta che canta e non trova parole,
sono la paglia arida sopra cui batte il suono,
sono la ninnananna che fa piangere i figli,
sono la vanagloria che si lascia cadere,
il manto di metallo di una lunga preghiera del passato cordoglio che non vede la luce.
Lamentele infime e triviali,
costantemente ripetute,
possono far ammattire un santo,
per tacere di un bravo ragazzo
qualunque (me)
e il peggio è che chi
si lamenta
nemmeno si accorge di farlo
a meno che non glielo dici,
e perfino se glielo dici
non ci crede.
E così non si conclude
niente
ed è solo un altro giorno
sprecato,
preso a calci,
mutilato
mentre il Buddha
siede nell'angolo e sorride.
Oggi più veloci del suono,
dopodomani della luce,
muteremo il suono in tartaruga
e la luce in lepre.
Di antica parabola
onorati animali,
nobile coppia in gara
da sempre.
Correvate, correvano
per questa bassa terra,
provate a galleggiare
in alto nel cielo.
Via libera. Non vi saremo
d'intralcio nella corsa:
per inseguire noi stessi
primi ci alzeremo in volo.