Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Sera di Gavinana

Ecco la sera e spiove
sul toscano Appennino.

Con lo scender che fa le nubi a valle,
prese a lembi qua e là
come ragne fra gli alberi intricate,
si colorano i monti di viola.
Dolce vagare allora
per chi s'affanna il giorno
ed in se stesso, incredulo, si torce.
Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,
un vociar lieto e folto in cui si sente
il giorno che declina
e il riposo imminente.
Vi si mischia il pulsare, il batter secco
ed alto del camion sullo stradone
bianco che varca i monti.
E tutto quanto a sera,
grilli, campane, fonti,
fa concerto e preghiera,
trema nell'aria sgombra.
Ma come più rifulge,
nell'ora che non ha un'altra luce,
il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.
Sui tuoi prati che salgono a gironi,
questo liquido verde, che rispunta
fra gl'inganni del sole ad ogni acquata,
al vento trascolora, e mi rapisce,
per l'inquieto cammino,
sì che teneramente fa star muta
l'anima vagabonda.
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    Scritta da: Mariella Mulas
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Mi hai fatto senza fine

    Mi hai fatto senza fine
    questa è la tua volontà.
    Questo fragile vaso
    continuamente tu vuoti
    continuamente lo riempi
    di vita sempre nuova.

    Questo piccolo flauto di canna
    hai portato per valli e colline
    attraverso esso hai soffiato
    melodie eternamente nuove.

    Quando mi sfiorano le tue mani immortali
    questo piccolo cuore si perde
    in una gioia senza confini
    e canta melodie ineffabili.
    Su queste piccole mani
    scendono i tuoi doni infiniti.
    Passano le età, e tu continui a versare,
    e ancora c'è spazio da riempire.
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      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Uomo e donna a letto alle 10 pomeridiane

      Mi sento come una scatola di sardine, disse lei.
      Mi sento come un cerotto, dissi io.
      Mi sento come un panino al tonno, disse lei.
      Mi sento come un pomodoro a fette, dissi io.
      Mi sento come se stesse per piovere, disse lei.
      Mi sento come se l'orologio s'è fermato, dissi io.
      Mi sento come se la porta fosse aperta, disse lei.
      Mi sento come se stesse per entrare un elefante, dissi io.
      Mi sento che dovremmo pagare l'affitto, disse lei.
      Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.

      Non me la sento di lavorare, dissi.

      Mi sento che di me non te me ne importa, disse lei.
      Mi sento che dovremmo far l'amore, dissi io.
      Mi sento che l'amore l'abbiamo fatto fìn troppo, disse lei.
      Mi sento che dovremmo farlo più spesso, dissi io.
      Mi sento che dovresti trovare lavoro, disse lei.
      Mi sento che dovresti trovare lavoro, dissi io.
      Mi sento una gran voglia di bere, disse lei.
      Mi sento come una bottiglia di whisky, dissi io.
      Mi sento che finiremo come due ubriaconi, disse lei.
      Mi sento che hai ragione, dissi io.
      Mi sento di mollare tutto, disse lei.
      Mi sento che ho bisogno d'un bagno, dissi io.
      Anch'io mi sento che hai bisogno d'un bagno, disse lei.
      Mi sento che dovresti lavarmi la schiena, dissi io.
      Mi sento che tu non mi ami, disse lei.
      Mi sento che ti amo, dissi io.
      Mi sento quel coso dentro adesso, disse lei.
      Anch'io sento che adesso quel coso è dentro di te, dissi io.
      Mi sento che adesso ti amo, disse lei.
      Mi sento che ti amo più di te, dissi io.
      Mi sento benone, disse lei, ho voglia di urlare.
      Mi sento che non la smetterei più, dissi io.
      Mi sento che ne saresti capace, disse lei.
      Mi sento, dissi io.
      Mi sento, disse lei.
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        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Venezia

        Colombaia dorata sull'acqua,
        tenera e verde struggente,
        e una brezza marina che spazza
        la scia sottile delle barche nere.

        Che dolci, strani volti tra la folla,
        nelle botteghe lucenti balocchi:
        un leone col libro su un cuscino a ricami,
        un leone col libro su una colonna di marmo.

        Come su di un'antica tela scolorita,
        il cielo azzurro fioco si rapprende...
        ma non si è stretti in quest'angustia,
        e non opprimono l'umido e l'afa.
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          Scritta da: Luciella Karenina
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          TIMIDEZZA

          Appena seppi, solamente, che esistevo
          e che avrei potuto essere, continuare,
          ebbi paura di ciò, della vita,
          desiderai che non mi vedessero,
          che non si conoscesse la mia esistenza.
          Divenni magro, pallido, assente,
          non volli parlare perché non potessero
          riconoscere la mia voce, non volli vedere
          perché non mi vedessero,
          camminando, mi strinsi contro il muro
          come un'ombra che scivoli via.
          Mi sarei vestito
          di tegole rosse, di fumo,
          per restare lì, ma invisibile,
          essere presente in tutto, ma lungi,
          conservare la mia identità oscura,
          legata al ritmo della primavera.
          Composta mercoledì 12 settembre 2012
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            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Vieni a rapirmi e dentro questo ardente
            panorama di sogno a rinverdirmi.
            Vieni allo spazio della vita mia,
            cambiamento di tempo: se sei uomo
            devi divaricare la mia mente,
            ma se sei donna non avrai salute
            né fame né ricordo maledetto.

            Rammento solo che son fatta eguale
            al tuo fango e resisto al tuo costato;
            chiamami nume e poi chiamami Athena
            ma soprattutto chiamami tua donna,
            o fiore di domanda doloroso.
            Composta martedì 3 maggio 2016
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              Scritta da: Violina Sirola
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Bruto minore

              Poi che divelta, nella tracia polve
              Giacque ruina immensa
              L'italica virtute, onde alle valli
              D'Esperia verde, e al tiberino lido,
              Il calpestio dè barbari cavalli
              Prepara il fato, e dalle selve ignude
              Cui l'Orsa algida preme,
              A spezzar le romane inclite mura
              Chiama i gotici brandi;
              Sudato, e molle di fraterno sangue,
              Bruto per l'atra notte in erma sede,
              Fermo già di morir, gl'inesorandi
              Numi e l'averno accusa,
              E di feroci note
              Invan la sonnolenta aura percote.

              Stolta virtù, le cave nebbie, i campi
              Dell'inquiete larve
              Son le tue scole, e ti si volge a tergo
              Il pentimento. A voi, marmorei numi,
              (Se numi avete in Flegetonte albergo
              O su le nubi) a voi ludibrio e scherno
              È la prole infelice
              A cui templi chiedeste, e frodolenta
              Legge al mortale insulta.
              Dunque tanto i celesti odii commove
              La terrena pietà? dunque degli empi
              Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta
              Per l'aere il nembo, e quando
              Il tuon rapido spingi,
              Né giusti e pii la sacra fiamma stringi?

              Preme il destino invitto e la ferrata
              Necessità gl'infermi
              Schiavi di morte: e se a cessar non vale
              Gli oltraggi lor, dè necessarii danni
              Si consola il plebeo. Men duro è il male
              Che riparo non ha? dolor non sente
              Chi di speranza è nudo?
              Guerra mortale, eterna, o fato indegno,
              Teco il prode guerreggia,
              Di cedere inesperto; e la tiranna
              Tua destra, allor che vincitrice il grava,
              Indomito scrollando si pompeggia,
              Quando nell'alto lato
              L'amaro ferro intride,
              E maligno alle nere ombre sorride.

              Spiace agli Dei chi violento irrompe
              Nel Tartaro. Non fora
              Tanto valor né molli eterni petti.
              Forse i travagli nostri, e forse il cielo
              I casi acerbi e gl'infelici affetti
              Giocondo agli ozi suoi spettacol pose?
              Non fra sciagure e colpe,
              Ma libera né boschi e pura etade
              Natura a noi prescrisse,
              Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra
              Sparse i regni beati empio costume,
              E il viver macro ad altre leggi addisse;
              Quando gl'infausti giorni
              Virile alma ricusa,
              Riede natura, e il non suo dardo accusa?

              Di colpa ignare e dè lor proprii danni
              Le fortunate belve
              Serena adduce al non previsto passo
              La tarda età. Ma se spezzar la fronte
              Né rudi tronchi, o da montano sasso
              Dare al vento precipiti le membra,
              Lor suadesse affanno;
              Al misero desio nulla contesa
              Legge arcana farebbe
              O tenebroso ingegno. A voi, fra quante
              Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
              Figli di Prometeo, la vita increbbe;
              A voi le morte ripe,
              Se il fato ignavo pende,
              Soli, o miseri, a voi Giove contende.

              E tu dal mar cui nostro sangue irriga,
              Candida luna, sorgi,
              E l'inquieta notte e la funesta
              All'ausonio valor campagna esplori.
              Cognati petti il vincitor calpesta,
              Fremono i poggi, dalle somme vette
              Roma antica ruina;
              Tu sì placida sei? Tu la nascente
              Lavinia prole, e gli anni
              Lieti vedesti, e i memorandi allori;
              E tu su l'alpe l'immutato raggio
              Tacita verserai quando né danni
              Del servo italo nome,
              Sotto barbaro piede
              Rintronerà quella solinga sede.

              Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
              E la fera e l'augello,
              Del consueto obblio gravido il petto,
              L'alta ruina ignora e le mutate
              Sorti del mondo: e come prima il tetto
              Rosseggerà del villanello industre,
              Al mattutino canto
              Quel desterà le valli, e per le balze
              Quella l'inferma plebe
              Agiterà delle minori belve.
              Oh casi! oh gener vano! abbietta parte
              Siam delle cose; e non le tinte glebe,
              Non gli ululati spechi
              Turbò nostra sciagura,
              Né scolorò le stelle umana cura.

              Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi
              Regi, o la terra indegna,
              E non la notte moribondo appello;
              Non te, dell'atra morte ultimo raggio,
              Conscia futura età. Sdegnoso avello
              Placàr singulti, ornàr parole e doni
              Di vil caterva? In peggio
              Precipitano i tempi; e mal s'affida
              A putridi nepoti
              L'onor d'egregie menti e la suprema
              Dè miseri vendetta. A me d'intorno
              Le penne il bruno augello avido roti;
              Prema la fera, e il nembo
              Tratti l'ignota spoglia;
              E l'aura il nome e la memoria accoglia.
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                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Arte poetica

                Tra ombre e spazio, tra guarnigioni e donzelle,
                dotato di cuor singolare e di sogni funesti,
                precipitosamente pallido, appassito in fronte,
                e con lutto di vedovo furioso per ogni giorno della mia vita,
                ahi, per ogni acqua invisibile che bevo sonnolento
                e per ogni suono che accolgo tremando,
                ho la stessa sete assente, la stessa febbre fredda,
                un udito che nasce, un'angustia indiretta,
                come se arrivassero ladri o fantasmi,
                e in un guscio di estensione fissa e profonda,
                come un cameriere umiliato, come una campana un po' roca,
                come uno specchio vecchio, come un odor di casa sola
                in cui gli ospiti entrano di notte perdutamente ebbri,
                e c'è un odore di biancheria gettata al suolo, e un'assenza di fiori
                - forse un altro modo ancor meno malinconico -,
                ma, la verità d'improvviso, il vento che sferza il mio petto,
                le notti di sostanza infinita cadute nella mia camera,
                il rumore di un giorno che arde con sacrificio
                sollecitano ciò che di profetico è in me, con malinconia,
                e c'è un colpo di oggetti che chiamano senza risposta
                e un movimento senza tregua, e un nome confuso.
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