Ragazzo mio, io non ho paura di morire. Tuttavia, ogni tanto mentre lavoro nella solitudine della notte, ho un sussulto nel cuore, saziarsi della vita vita, figlio mio, è impossibile. Non vivere su questa terra come un inquilino, o come un villeggiante stagionale. Ricorda: in questo mondo devi vivere saldo, vivere come nella casa paterna. Credi al grano, alla terra, al mare ma prima di tutto all'uomo. Ama la nuvola, il libro la macchina, ma prima di tutto l'uomo. Senti infondo al tuo cuore il dolore del ramo che secca, della stella che si spegne, della bestia ferita, ma prima di tutto il dolore dell'uomo. Godi di tutti i beni terrestri, del sole, della pioggia e della neve, dell'inverno e dell'estate, del buio e della luce, ma prima di tutto godi dell'uomo.
La curva dei tuoi occhi intorno al cuore ruota un moto di danza e di dolcezza, aureola di tempo, arca notturna e sicura e se non so più quello che ho vissuto è perché non sempre i tuoi occhi mi hanno visto.
Foglie di luce e spuma di rugiada canne del vento, risa profumate, ali che coprono il mondo di luce, navi cariche di cielo e di mare, caccia di suoni e fonti di colori,
profumi schiusi da una cova di aurore sempre posata sulla paglia degli astri, come il giorno vive di innocenza, così il mondo vive dei tuoi occhi puri e tutto il mio sangue va in quegli sguardi.
Bisticciammo quella mattina, perché lui aveva sessantacinque anni, e io trenta, ed ero nervosa e greve del bimbo la cui nascita mi atterriva. Io pensavo all'ultima lettera scrittami da quella giovane anima straniata il cui abbandono nascosi sposando quel vecchio. Poi presi la morfina e sedetti a leggere. Attraverso l'oscurità che mi scese sugli occhi io vedo ancora la luce vacillante di queste parole: "E Gesù gli disse: In verità io ti dico, Oggi tu sarai con me in paradiso"
Tutto il tuo dolore, Louise, e il tuo odio per me nacquero dalla tua illusione, che fosse leggerezza di spirito e disprezzo dei diritti della tua anima ciò che mi fece volgere ad Annabella e abbandonarti. In realtà tu prendesti ad odiarmi per amor mio, poiché io ero la gioia della tua anima, formato e temprato per risolverti la vita, e non volli. Ma tu eri la mia disgrazia. Se tu fossi stata la mia gioia, non mi sarei forse attaccato a te? Questo è il dolore della vita: le si può essere felici solo in due; e i nostri cuori rispondono a stelle che non voglion saperne di noi.
L'esangue primavera già tristemente esilia L'inverno, tempo lucido, tempo d'arte serena, E in me, dove un oscuro sangue colma ogni vena, L'impotenza si stira ed a lungo sbadiglia. Crepuscoli s'imbiancano tiepidi nella mente Che come vecchia tomba serra un cerchio di ferro, Ed inseguendo un sogno vago e bello, io erro Pei campi ove la linfa esulta immensamente. Poi procombo snervato di silvestri sentori, E scavando al mio sogno una fossa col viso, Mordendo il suolo caldo dove, sbocciano i fiori, Attendo nell'abisso che il tedio s'alzi... Oh riso Intanto dell'Azzurro sulla siepe e sui voli Degli uccelli ridesti che cinguettano al sole!
Tu sei come una giovane una bianca pollastra. Le si arruffano al vento le piume, il collo china per bere, e in terra raspa; ma, nell'andare, ha il lento tuo passo di regina, ed incede sull'erba pettoruta e superba. È migliore del maschio. È come sono tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio, Così, se l'occhio, se il giudizio mio non m'inganna, fra queste hai le tue uguali, e in nessun'altra donna. Quando la sera assonna le gallinelle, mettono voci che ricordan quelle, dolcissime, onde a volte dei tuoi mali ti quereli, e non sai che la tua voce ha la soave e triste musica dei pollai.
Tu sei come una gravida giovenca; libera ancora e senza gravezza, anzi festosa; che, se la lisci, il collo volge, ove tinge un rosa tenero la tua carne. Se l'incontri e muggire l'odi, tanto è quel suono lamentoso, che l'erba strappi, per farle un dono. È così che il mio dono t'offro quando sei triste.
Tu sei come una lunga cagna, che sempre tanta dolcezza ha negli occhi, e ferocia nel cuore. Ai tuoi piedi una santa sembra, che d'un fervore indomabile arda, e così ti riguarda come il suo Dio e Signore. Quando in casa o per via segue, a chi solo tenti avvicinarsi, i denti candidissimi scopre. Ed il suo amore soffre di gelosia.
Tu sei come la pavida coniglia. Entro l'angusta gabbia ritta al vederti s'alza, e verso te gli orecchi alti protende e fermi; che la crusca e i radicchi tu le porti, di cui priva in sé si rannicchia, cerca gli angoli bui. Chi potrebbe quel cibo ritoglierle? Chi il pelo che si strappa di dosso, per aggiungerlo al nido dove poi partorire? Chi mai farti soffrire?
Tu sei come la rondine che torna in primavera. Ma in autunno riparte; e tu non hai quest'arte.
Tu questo hai della rondine: le movenze leggere: questo che a me, che mi sentiva ed era vecchio, annunciavi un'altra primavera.
Tu sei come la provvida formica. Di lei, quando escono alla campagna, parla al bimbo la nonna che l'accompagna.
E così nella pecchia ti ritrovo, ed in tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio; e in nessun'altra donna.
Perché mi dici cose fuggenti che non sanno di vero, perché inganni te stessa? Il violino armonico che avevi dentro si è rotto per sempre. Inutile sperare... Così spero che qualcuno bussi alla porta, e non solo il vento.
Chiare, fresche et dolci acque ove le belle membra pose colei che sola a me par donna; gentil ramo, ove piacque, (con sospir mi rimembra) a lei di fare al bel fianco colonna; erba e fior che la gonna leggiadra ricoverse con l'angelico seno; aere sacro sereno ove Amor cò begli occhi il cor m'aperse: date udienza insieme a le dolenti mie parole estreme.
S'egli è pur mio destino, e 'l cielo in ciò s'adopra, ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda, qualche grazia il meschino corpo fra voi ricopra, e torni l'alma al proprio albergo ignuda; la morte fia men cruda se questa spene porto a quel dubbioso passo, ché lo spirito lasso non poria mai più riposato porto né in più tranquilla fossa fuggir la carne travagliata e l'ossa.
Tempo verrà ancor forse ch'a l'usato soggiorno torni la fera bella e mansueta, e là 'v'ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa e lieta, cercandomi; ed o pietà! Già terra infra le pietre vedendo, Amor l'inspiri in guisa che sospiri sì dolcemente che mercè m'impetre, e faccia forza al cielo asciugandosi gli occhi col bel velo.
Dà bè rami scendea, (dolce ne la memoria) una pioggia di fior sovra 'l suo grembo; ed ella si sedea umile in tanta gloria, coverta già de l'amoroso nembo; qual fior cadea sul lembo, qual su le treccie bionde, ch'oro forbito e perle eran quel dì a vederle; qual si posava in terra e qual su l'onde, qual con un vago errore girando perea dir: "Qui regna Amore".
Quante volte diss'io allor pien di spavento: "Costei per fermo nacque in paradiso! ". Così carco d'oblio il divin portamento e 'l volto e le parole e'l dolce riso m'aveano, e sì diviso da l'imagine vera, ch'ì dicea sospirando: "Qui come venn'io o quando?" credendo esser in ciel, non là dov'era. Da indi in qua mi piace quest'erba sì ch'altrove non ò pace.
Se tu avessi ornamenti quant'ai voglia, poresti arditamente uscir del bosco e gir infra la gente.