Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Il Natale del 1833

Sì che Tu sei terribile!
Sì che in quei lini ascoso,
In braccio a quella Vergine,
Sovra quel sen pietoso,
Come da sopra i turbini
Regni, o Fanciul severo!
E fato il tuo pensiero,
È legge il tuo vagir.

Vedi le nostre lagrime,
Intendi i nostri gridi;
Il voler nostro interroghi,
E a tuo voler decidi.
Mentre a stornar la folgore
Trepido il prego ascende
Sorda la folgor scende
Dove tu vuoi ferir.

Ma tu pur nasci a piangere,
Ma da quel cor ferito
Sorgerà pure un gemito,
Un prego inesaudito:
E questa tua fra gli uomini
Unicamente amata,
Nel guardo tuo beata,
Ebra del tuo respir,

Vezzi or ti fa; ti supplica
Suo pargolo, suo Dio,
Ti stringe al cor, che attonito
Va ripetendo: è mio!
Un dì con altro palpito,
Un dì con altra fronte,
Ti seguirà sul monte.
E ti vedrà morir.

Onnipotente….
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Sera di Gavinana

    Ecco la sera e spiove
    sul toscano Appennino.

    Con lo scender che fa le nubi a valle,
    prese a lembi qua e là
    come ragne fra gli alberi intricate,
    si colorano i monti di viola.
    Dolce vagare allora
    per chi s'affanna il giorno
    ed in se stesso, incredulo, si torce.
    Viene dai borghi, qui sotto, in faccende,
    un vociar lieto e folto in cui si sente
    il giorno che declina
    e il riposo imminente.
    Vi si mischia il pulsare, il batter secco
    ed alto del camion sullo stradone
    bianco che varca i monti.
    E tutto quanto a sera,
    grilli, campane, fonti,
    fa concerto e preghiera,
    trema nell'aria sgombra.
    Ma come più rifulge,
    nell'ora che non ha un'altra luce,
    il manto dei tuoi fianchi ampi, Appennino.
    Sui tuoi prati che salgono a gironi,
    questo liquido verde, che rispunta
    fra gl'inganni del sole ad ogni acquata,
    al vento trascolora, e mi rapisce,
    per l'inquieto cammino,
    sì che teneramente fa star muta
    l'anima vagabonda.
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      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Venezia

      Colombaia dorata sull'acqua,
      tenera e verde struggente,
      e una brezza marina che spazza
      la scia sottile delle barche nere.

      Che dolci, strani volti tra la folla,
      nelle botteghe lucenti balocchi:
      un leone col libro su un cuscino a ricami,
      un leone col libro su una colonna di marmo.

      Come su di un'antica tela scolorita,
      il cielo azzurro fioco si rapprende...
      ma non si è stretti in quest'angustia,
      e non opprimono l'umido e l'afa.
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        Scritta da: Luciella Karenina
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        TIMIDEZZA

        Appena seppi, solamente, che esistevo
        e che avrei potuto essere, continuare,
        ebbi paura di ciò, della vita,
        desiderai che non mi vedessero,
        che non si conoscesse la mia esistenza.
        Divenni magro, pallido, assente,
        non volli parlare perché non potessero
        riconoscere la mia voce, non volli vedere
        perché non mi vedessero,
        camminando, mi strinsi contro il muro
        come un'ombra che scivoli via.
        Mi sarei vestito
        di tegole rosse, di fumo,
        per restare lì, ma invisibile,
        essere presente in tutto, ma lungi,
        conservare la mia identità oscura,
        legata al ritmo della primavera.
        Composta mercoledì 12 settembre 2012
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          Scritta da: Sylvia Drago
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Consigli a me stessa quando piove

          Dormi in silenzio

          Non far rumore quando non ci sei
          Coltivati
          ma non covare pietre

          i mattoni servono per costruire ponti
          i giorni per tessere
          il mattino per ricominciare
          la carne è pesante per ancorare all'amore

          Piangi, lasciati piovere, lasciati stare
          Riposati, lasciati vegliare
          Brinda, ci sono notti da ubriacare

          Se le tue mani ti sembrano opache
          dipingi le unghie di rosso

          Ricorda che per sopravvivere bisogna disobbedire

          Porta con te un ombrello a colori

          se non puoi vincerla, sfoggia la malinconia.
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            Scritta da: Violina Sirola
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Bruto minore

            Poi che divelta, nella tracia polve
            Giacque ruina immensa
            L'italica virtute, onde alle valli
            D'Esperia verde, e al tiberino lido,
            Il calpestio dè barbari cavalli
            Prepara il fato, e dalle selve ignude
            Cui l'Orsa algida preme,
            A spezzar le romane inclite mura
            Chiama i gotici brandi;
            Sudato, e molle di fraterno sangue,
            Bruto per l'atra notte in erma sede,
            Fermo già di morir, gl'inesorandi
            Numi e l'averno accusa,
            E di feroci note
            Invan la sonnolenta aura percote.

            Stolta virtù, le cave nebbie, i campi
            Dell'inquiete larve
            Son le tue scole, e ti si volge a tergo
            Il pentimento. A voi, marmorei numi,
            (Se numi avete in Flegetonte albergo
            O su le nubi) a voi ludibrio e scherno
            È la prole infelice
            A cui templi chiedeste, e frodolenta
            Legge al mortale insulta.
            Dunque tanto i celesti odii commove
            La terrena pietà? dunque degli empi
            Siedi, Giove, a tutela? e quando esulta
            Per l'aere il nembo, e quando
            Il tuon rapido spingi,
            Né giusti e pii la sacra fiamma stringi?

            Preme il destino invitto e la ferrata
            Necessità gl'infermi
            Schiavi di morte: e se a cessar non vale
            Gli oltraggi lor, dè necessarii danni
            Si consola il plebeo. Men duro è il male
            Che riparo non ha? dolor non sente
            Chi di speranza è nudo?
            Guerra mortale, eterna, o fato indegno,
            Teco il prode guerreggia,
            Di cedere inesperto; e la tiranna
            Tua destra, allor che vincitrice il grava,
            Indomito scrollando si pompeggia,
            Quando nell'alto lato
            L'amaro ferro intride,
            E maligno alle nere ombre sorride.

            Spiace agli Dei chi violento irrompe
            Nel Tartaro. Non fora
            Tanto valor né molli eterni petti.
            Forse i travagli nostri, e forse il cielo
            I casi acerbi e gl'infelici affetti
            Giocondo agli ozi suoi spettacol pose?
            Non fra sciagure e colpe,
            Ma libera né boschi e pura etade
            Natura a noi prescrisse,
            Reina un tempo e Diva. Or poi ch'a terra
            Sparse i regni beati empio costume,
            E il viver macro ad altre leggi addisse;
            Quando gl'infausti giorni
            Virile alma ricusa,
            Riede natura, e il non suo dardo accusa?

            Di colpa ignare e dè lor proprii danni
            Le fortunate belve
            Serena adduce al non previsto passo
            La tarda età. Ma se spezzar la fronte
            Né rudi tronchi, o da montano sasso
            Dare al vento precipiti le membra,
            Lor suadesse affanno;
            Al misero desio nulla contesa
            Legge arcana farebbe
            O tenebroso ingegno. A voi, fra quante
            Stirpi il cielo avvivò, soli fra tutte,
            Figli di Prometeo, la vita increbbe;
            A voi le morte ripe,
            Se il fato ignavo pende,
            Soli, o miseri, a voi Giove contende.

            E tu dal mar cui nostro sangue irriga,
            Candida luna, sorgi,
            E l'inquieta notte e la funesta
            All'ausonio valor campagna esplori.
            Cognati petti il vincitor calpesta,
            Fremono i poggi, dalle somme vette
            Roma antica ruina;
            Tu sì placida sei? Tu la nascente
            Lavinia prole, e gli anni
            Lieti vedesti, e i memorandi allori;
            E tu su l'alpe l'immutato raggio
            Tacita verserai quando né danni
            Del servo italo nome,
            Sotto barbaro piede
            Rintronerà quella solinga sede.

            Ecco tra nudi sassi o in verde ramo
            E la fera e l'augello,
            Del consueto obblio gravido il petto,
            L'alta ruina ignora e le mutate
            Sorti del mondo: e come prima il tetto
            Rosseggerà del villanello industre,
            Al mattutino canto
            Quel desterà le valli, e per le balze
            Quella l'inferma plebe
            Agiterà delle minori belve.
            Oh casi! oh gener vano! abbietta parte
            Siam delle cose; e non le tinte glebe,
            Non gli ululati spechi
            Turbò nostra sciagura,
            Né scolorò le stelle umana cura.

            Non io d'Olimpo o di Cocito i sordi
            Regi, o la terra indegna,
            E non la notte moribondo appello;
            Non te, dell'atra morte ultimo raggio,
            Conscia futura età. Sdegnoso avello
            Placàr singulti, ornàr parole e doni
            Di vil caterva? In peggio
            Precipitano i tempi; e mal s'affida
            A putridi nepoti
            L'onor d'egregie menti e la suprema
            Dè miseri vendetta. A me d'intorno
            Le penne il bruno augello avido roti;
            Prema la fera, e il nembo
            Tratti l'ignota spoglia;
            E l'aura il nome e la memoria accoglia.
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              Scritta da: Cheope
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Pianto della notte

              Tacciono i boschi e i fiumi,
              e'l mar senza onda giace,
              ne le spelonche i venti han tregua e pace,
              e ne la notte bruna
              alto silenzio fa la bianca luna;
              e noi tegnamo ascose
              le dolcezze morose.
              Amor non parli o spiri,
              sien muti i baci e muti i miei sospiri.
              Qual rugiada o qual pianto,
              quai lagrime eran quelle
              che sparger vidi dal notturno manto
              e dal candido volto de le stelle?
              E perché seminò la bianca luna
              di cristalline stelle un puro nembo
              a l'erba fresca in grembo?
              Perché ne l'aria bruna
              s'udian, quasi dolendo, intorno intorno
              gir l'aure insino al giorno?
              Fur segni forse de la tua partita,
              vita de la mia vita?
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Fotografia della folla

                Nella foto della folla
                la mia testa è la quarta dal bordo
                o forse la settima da sinistra
                o la ventesima dal basso;

                la mia testa non so quale,
                non più una, non più unica,
                già simile alle simili,
                né femminile, né maschile;

                i segni che lei mi manda
                non sono affatto particolari;

                forse lo Spirito del Tempo
                la vede, però non la guarda;

                la mia testa statistica,
                che consuma acciaio e cavi
                tranquillamente, globalmente;

                è qualunque e non si vergogna,
                è scambiale, e non si dispera;

                è come se non l'avessi fatto
                a parte, a modo mio;

                è come se si scavasse un cimitero
                pieno di crani anonimi
                di buona conservabilità
                nonostante la mortalità;
                come se lei già fosse là,
                la mia testa d'altri, di chiunque -

                dove, se qualcosa ricorda,
                è il suo avvenire profondo.
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