Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Donna genovese

Tu mi portasti un po' d'alga marina
Nei tuoi capelli, ed un odor di vento,
Che è corso di lontano e giunge grave
D'ardore, era nel tuo corpo bronzino:
-Oh la divina
Semplicità delle tue forme snelle-
Non amore non spasimo, un fantasma,
Un'ombra della necessità che vaga
Serena e ineluttabile per l'anima
E la discioglie in gioia, in incanto serena
Perché per l'infinito lo scirocco
Se la possa portare.
Come è piccolo il mondo e leggero nelle tue mani!
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Auschwitz

    Laggiù, ad Auschwitz, lontano dalla Vistola,
    amore, lungo la pianura nordica,
    in un campo di morte: fredda, funebre,
    la pioggia sulla ruggine dei pali
    e i grovigli di ferro dei recinti:
    e non albero o uccelli nell'aria grigia
    o su dal nostro pensiero, ma inerzia
    e dolore che la memoria lascia
    al suo silenzio senza ironia o ira.
    Da quell'inferno aperto da una scritta
    bianca: " Il lavoro vi renderà liberi "
    uscì continuo il fumo
    di migliaia di donne spinte fuori
    all'alba dai canili contro il muro
    del tiro a segno o soffocate urlando
    misericordia all'acqua con la bocca
    di scheletro sotto le doccie a gas.
    Le troverai tu, soldato, nella tua
    storia in forme di fiumi, d'animali,
    o sei tu pure cenere d'Auschwitz,
    medaglia di silenzio?
    Restano lunghe trecce chiuse in urne
    di vetro ancora strette da amuleti
    e ombre infinite di piccole scarpe
    e di sciarpe d'ebrei: sono reliquie
    d'un tempo di saggezza, di sapienza
    dell'uomo che si fa misura d'armi,
    sono i miti, le nostre metamorfosi.

    Sulle distese dove amore e pianto
    marcirono e pietà, sotto la pioggia,
    laggiù, batteva un no dentro di noi,
    un no alla morte, morta ad Auschwitz,
    per non ripetere, da quella buca
    di cenere, la morte.
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      Scritta da: Paolo Broni
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Pi greco

      È degno di ammirazione il Pi greco
      tre virgola uno quattro uno.
      Anche tutte le sue cifre successive sono iniziali, cinque nove due, poiché non finisce mai.
      Non si lascia abbracciare sei cinque tre cinque dallo sguardo,
      otto nove, dal calcolo, sette nove dall'immaginazione,
      e nemmeno tre due tre otto dallo scherzo,
      ossia dal paragone quattro sei con qualsiasi cosa due sei quattro tre al mondo.
      Il serpente più lungo della terra dopo vari metri si interrompe.
      Lo stesso, anche se un po' dopo, fanno i serpenti delle fiabe.
      Il corteo di cifre che compongono il Pi greco non si ferma sul bordo della pagina,
      È capace di srotolarsi sul tavolo, nell'aria, attraverso il muro, la foglia, il nido, le nuvole,
      diritto fino al cielo, per quanto è gonfio e senza fondo il cielo.
      Quanto è corta la treccia della cometa, proprio un codino!
      Com'è tenue il raggio della stella, che si curva a ogni spazio!
      E invece qui due tre quindici trecentodiciannove il mio numero di telefono
      il tuo numero di collo l'anno millenovecentosettantatré sesto piano
      il numero degli inquilini sessantacinque centesimi la misura dei fianchi due dita
      sciarada e cifra in cui vola e canta usignolo mio oppure si prega di mantenere la calma,
      e anche la terra e il cielo passeranno,
      ma non il Pi greco,
      oh no, niente da fare,
      esso sta lì con il suo cinque ancora passabile,
      un otto niente male, un sette non ultimo,
      incitando, ah, incitando
      l'indolente eternità a durare.
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        Scritta da: Marzia Ornofoli
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Endimione (2)

        Fredda e gelata cade la rugiada,
        Nessun uccello canta più in Arcadia.
        I fauni Hanno lasciato la collina
        e anche il narciso stanco
        Ha chiuso i petali.
        Ma il mio amore non è tornato,
        Luna, falsa, una che svanisci,
        Dove è andato il mio amore fedele?
        Dove sono le sue labbra vermiglie,
        La verga di pastore, i suoi calzari?
        Perché tendi quello schermo d'argento,
        Perché porti il velo di brune, lo muovi?
        Tu hai preso Endimione,
        Hai tu quelle labbra da baciare.
        Composta martedì 4 agosto 2009
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          Scritta da: Gabriella Stigliano
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Fresche di fiumi in sonno

          Ti trovo nei felici approdi,
          della notte consorte,
          ora dissepolta
          quasi tepore d'una nuova gioia,
          grazia amara del viver senza foce.

          Vergini strade oscillano
          fresche di fiumi in sonno:

          E ancora sono il prodigo che ascolta
          dal silenzio il suo nome
          quando chiamano i morti.

          Ed è morte
          uno spazio nel cuore.
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