Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Anna Alleva
in Poesie (Poesie d'Autore)

Compianto per Ignazio Sánchez Mejías - il sangue sparso

Non voglio vederlo!
Di' alla luna che si mostri;
non voglio vedere il sangue
d'Ignazio sopra l'arena.
Non voglio vederlo!
È spalancata la luna.
Cavallo di calme nubi
e circo grigio del sogno
con salici in prima fila.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Avvisate i gelsomini
di minuscolo candore!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
passava la triste sua lingua
sopra un muso di grumi
di sangue in terra versato.
Ed i tori di Guisando,
quasi morte e quasi pietra,
mugghiaron come due secoli
sazi di premere il suolo.
No.
Non voglio vederlo!
Sale Ignazio sui gradini,
tutta la sua morte a spalla.
Andava in cerca dell'alba
e l'alba non esisteva.
Cerca il suo fermo profilo
e il sogno lo disorienta.
Il suo bel corpo cercava
e trovò il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentire il getto
che sempre più s'affioca;
il getto che le tribune
illumina e si riversa
sopra il fustagno ed il cuoio,
della folla sitibonda.
Chi mi grida di mostrarmi!
Non ditemi di vederlo.
Non si chiusero i suoi occhi
nel vedersi lì le corna;
ma le terribili madri
rizzarono allora il capo.
Ed attraverso gli allevamenti
corse un vento di voci segrete,
a tori celesti gridate
da mandriani di pallida nebbia.
Non principe di Siviglia
potrebbe essergli pari,
né spada come la sua
né cuore del suo più vero.
Come un fiume di leoni
il suo stupendo vigore,
e come un torso di marmo
la sua lineata saggezza.
Aria di Roma andalusa
gli dorava la testa
dove il suo riso era un nardo
di sale e d'intelligenza.
Che gran torero in arena!
Che buon montanaro ai monti!
Quanto mite con le spighe!
Quanto duro con gli sproni!
Tenero con la rugiada!
Che bagliore nella fiera!
Quanto tremendo con l'ultime
banderillas della tenebra!
Ma ora dorme in eterno.
Ora i muschi e l'erba dischiudono
con loro dita sicure
il fiore del suo teschio.
E il suo sangue ora viene cantando:
cantando per maremme e praterie,
sdrucciolando su corna intirizzite;
senz'anima vacilla nella nebbia.
In migliaia di zoccoli inciampando
come una lunga, oscura, triste lingua,
per formare una pozza d'agonia
presso il Guadalquivir del firmamento.
Oh bianco muro di Spagna!
Oh nero toro di pena!
Oh sangue duro d'Ignazio!
Oh usignolo delle sue vene!
No.
Non voglio vederlo!
Un calice non v'è che lo contenga,
non vi son rondinelle che lo bevano,
non v'è brina di luce che lo geli,
non di gigli v'è canto né diluvio,
non cristallo che lo copra d'argento.
No.
Io non voglio vederlo!
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    Scritta da: Marzia Ornofoli
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Vita nuova da rosa mistica

    Stavo dinanzi al mare arido e le onde
    Con gli spruzzi sul viso nei capelli
    Mi colpivano. Lunghi fuochi rossi
    Ardevano nel cielo, urlava il vento.
    Verso terra stridevano i gabbiani.
    "Perché" gridai "la mia vita è di dolore,
    e come il mare i miei campi turbinosi
    Non producono alcun frutto?"
    Erano lacere, squartate le mie reti.
    Tuttavia, come un ultimo dado le gettai
    Nel mare, e attesi.
    Non la fine apparve, lo splendore
    Dalle acque nere del passato
    Emerse in membra candide!
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      in Poesie (Poesie d'Autore)

      La tragedia delle foglie

      Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
      le piante in vaso gialle come grano;
      la mia donna era sparita
      e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
      mi cingevano con la loro inutilità;
      c'era ancora un bel sole, però,
      e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo
      e senza pretese; ora quello che ci voleva
      era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare
      sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo
      perché esiste, solo per questo;
      sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
      l'uomo che un tempo era stato giovane e,
      così dicevano, geniale; ma
      questa è la tragedia delle foglie,
      le felci morte, le piante morte;
      ed entrai in una sala buia
      dove stava la padrona di casa
      insultante e ultimativa,
      mandandomi all'inferno,
      mulinando i braccioni sudati
      e strillando
      strillando che voleva i soldi dell'affitto
      perché il mondo ci aveva tradito
      tutt'e due.
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        Scritta da: Rosita Matera
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La fotocamera di Izis

        La fotocamera di Izis è una scatola magica.
        Dalle sue mani fioriscono
        come per incanto
        esseri e cose
        che si aprono e si animano
        come quei fiori di carta giapponesi che,
        posti in un bicchier d'acqua,
        diventano all'istante esseri o cose
        di un immediato passato.
        Più tardi,
        deposte fra le pagine di un libro,
        sembrano dormire nei loro letti di carta.
        Ma il lettore apre il libro
        e le ridesta alla vita quando vuole,
        e le riconosce
        anche se non le ha mai viste prima.
        Composta mercoledì 9 agosto 2017
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Anniversario (1889)

          Sono più di trent'anni e, di queste ore,
          mamma, tu con dolor m'hai partorito;
          ed il mio nuovo piccolo vagito
          t'addolorava più del tuo dolore.
          Poi tra il dolore sempre ed il timore,
          o dolce madre, m'hai di te nutrito:
          e quando fui del corpo tuo vestito,
          quand'ebbi nel mio cuor tutto il tuo cuore,
          allor sei morta; e son vent'anni: un giorno!
          E già gli occhi materni io penso a vuoto;
          e il caro viso già mi si scolora;
          mamma, e più non ti so. Ma nel soggiorno
          freddo dè morti, nel tuo sogno immoto,
          tu m'accarezzi i riccioli d'allora.
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            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Brutta serata

            L'uomo è la
            contro un muro
            vicino a un armadio
            sul tavolo c'è un portacenere
            l'omo è là
            e c'è contro di lui la sofferenza
            l'angoscia
            c'è anche una donna
            che è là
            gli amici se ne sono andati
            altre donne se ne sono andate
            un gatto
            contraddizioni come zanzare
            e fa una strana faccia
            l'uomo che guarda la donna che lo guarda
            sa certe cose
            indovina
            e dice
            eccoci qua
            sto per soffrire terribilmente
            non c'è niente da fare
            è cotto
            sorride
            ma ha almeno 250 di febbre
            un dolore da bambino
            come un maneggio
            con gli anelli da infilare a ogni curva
            senza riuscirci
            un dolore d'uomo
            cupo paesaggio
            cose già viste
            e che ritornano dicendo
            non è lo stesso
            è molto meglio
            orchestra singhiozzi
            fantasmi con la faccia di cuore
            sorridenti certezze d'infelicità
            lamenti
            deliziosi sorrisi
            bisturi...
            dolore d'uomo
            irrisoria romanza sanguinante
            storie di calendario
            velocità degli anni
            cognome Dicembre
            nome Giovedì
            matricola 23
            l'anno scorso
            quest'anno
            l'anno venturo
            e l'uomo si dice
            quando si ha mal di denti
            si va dal dentista
            per i piedi c'è il pédicure
            contro l'angoscia e la sofferenza
            che posso fare
            sono ancora una volta
            del tutto perduto...
            ancora una volta mi porto dietro
            qualcuno nella mia caduta
            ecco che torna la nebbia l'amore gli uccelli della felicità
            che nebbia schifosa
            e che schifosi uccelli
            grandi volatili sentimentali
            uccelli dallo sguardo piangente
            andate a picchiare nel muro
            battete le ali
            picchiate contro i mobili
            sudici uccelli di polvere
            cantate falsi la canzone stonata
            falsi volate
            piangete falsi
            impagliati
            automi
            antiquari
            colombi da cartolina
            uccelli con la faccia da ubriacone
            avete nel becco di cartone
            la lettera anonima dell'amore
            uccelli di tutti i paesi
            uccelli di tutti i rami di tutti gli alberi di tutti i paesi
            usignoli de Giappone
            unitevi
            uccelli del paradiso
            uccelli mosca
            uccelli rapaci
            pellicani
            pinguini
            passerotti
            unitevi
            pavoni gridate come pavoni
            uccelli cantate a squarciagola in tutto il mondo
            aquile marine gridate da aquile marine
            e tu bozzagro
            fai il verso del bozzagro
            usignolo
            l'uomo ti ha cavato gli occhi
            perché tu canti meglio
            ma questo ci apre gli occhi
            l'uomo è un bel coglione
            con la sua bella cartolina in mano
            l'uomo che recita il suo monologo da piccione
            amore sempre
            lo stesso amore
            l'uomo che vuole vedere vecchio l'amore
            uccelli migratori
            fermate i vostri viaggi
            uccelli blu
            cucù
            gridate cucù
            gridate a squarciagola
            unitevi
            il mondo deve sapere
            che l'amore non deve più
            l'amore possedere
            fermate i simulacri
            uccelli notturni
            uccelli diurni
            un uccello non appartiene a un altro uccello
            la donna non appartiene all'uomo
            né l'uomo alla donna
            cucù gridate a squarciagola e dite
            mescolate le uova
            cambiate nido
            fuori la testa dalla sabbia struzzi
            dite quel che avete da dire
            l'uomo
            gli uomini non hanno l'aria
            di voler smettere di soffrire
            e io sono uno di loro
            gli uomini non hanno l'aria
            di voler smettere di far soffrire
            ma che cos'ha dunque nel corpo
            tutta questa gente...

            Nel fondo
            tutto ciò che racconto
            uccelli che non mi sentite
            è per passare il tempo
            per nascondermi un po'
            e l'uomo continua vicino al suo armadio
            silenzioso
            lancia ridicoli appelli
            grida aiuto senza parlare
            ha pensato uccello
            s'aggrappa agli uccelli
            se avesse pensato sedia supplicherebbe i mobili
            tocca gli oggetti
            li accarezza
            la scatola dei fiammiferi
            il portacenere
            perde la bussola
            perde la testa
            la sofferenza è pronta
            sta per annegarlo...
            si è fatta molto bella
            per venire a cercarlo
            ha la faccia della giovinezza
            e piccolissimi piedi
            e anche lei soffre
            si lamenta...
            ed è un lamento vero
            ma è stato imparato
            e c'è qualcosa che zoppica in quel lamento
            l'uomo si aggrappa ai mobili
            la sofferenza si attacca a lui e ride
            immediatamente subito
            l'uomo per farla tacere
            cerca di farla soffrire...
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              in Poesie (Poesie d'Autore)

              I lavoratori

              Ridono continuamente
              anche quando
              un'asse piomba giù
              e rovina una faccia
              o deforma
              un corpo
              loro continuano a ridere,
              quando il colore dell'occhio
              impallidisce da far paura
              per via della poca
              luce
              ridono ancora;
              rugosi e rimbecilliti
              ancora giovani
              ci scherzano sopra:
              un uomo che dimostra sessant'anni
              dirà
              ne ho 32, e
              allora rideranno tutti;
              qualche volta li fanno
              uscire per una boccata d'aria
              ma sono incatenati a ritornare
              da catene, che non
              spezzerebbero
              anche se potessero;
              anche fuori, tra
              gli uomini liberi,
              continuano a ridere,
              girano qua e là
              con un passo zoppicante
              e inane
              quasi non fossero più lì
              con la testa; fuori
              masticano un tozzo di pane,
              tirano sul prezzo, dormono, contano i soldi,
              guardano l'orologio
              e sono di ritorno;
              qualche volta nei confini
              addirittura si fanno seri
              un momento, parlano di
              Fuori, di come deve essere
              orribile,
              essere
              chiusi Fuori
              per sempre, e non essere mai più
              riammessi;
              fa caldo mentre lavorano
              e sudano
              un po',
              ma lavorano sodo e bene,
              lavorano così sodo
              che i nervi si ribellano
              e lì fanno tremare,
              ma spesso sono
              elogiati da quelli
              che tra loro si sono
              innalzati
              come stelle,
              e ora le stelle
              vigilano
              vigilano anche
              per quei pochi
              che potrebbero tentare
              un ritmo più lento
              o mostrare disinteresse
              o simulare
              una malattia
              per avere un po'
              di riposo (il riposo deve essere
              guadagnato per raccogliere le forze
              destinate ad un lavoro
              più perfetto).

              Qualche volta uno muore
              o impazzisce
              e allora da Fuori
              ne arriva uno nuovo
              per sfruttare la sua
              grande occasione.

              Io ci sono stato
              molti anni;
              in principio trovavo il lavoro
              monotono, stupido
              addirittura
              ma ora vedo
              che tutto ha un senso,
              e i lavoratori
              senza volto
              vedo bene che non sono proprio
              brutti, e che le teste
              senz'occhi –
              ora so che quegli occhi
              ci vedono
              e sono capaci
              di seguire il lavoro.
              Le donne che lavorano
              sono spesso le migliori,
              adattandosi con naturalezza,
              e con alcune
              ho amoreggiato nei momenti
              di riposo; in principio
              non sembravano molto diverse
              dalle scimmie
              ma poi
              grazie al mio spirito di osservazione
              mi son o reso conto
              che erano cose
              reali e vive
              come me.

              L'atra sera
              un vecchio lavoratore
              grigio e cieco,
              non più utile
              è stato mandato in pensione
              là Fuori.

              Discorso! Discorso!
              Abbiamo chiesto

              è stato
              un inferno, ha detto lui
              abbiamo riso
              tutti e 4000:
              aveva conservato il suo
              umorismo
              fino
              alla fine.
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