Poesie d'Autore migliori


in Poesie (Poesie d'Autore)
Non nascondere il segreto del tuo cuore
Non nascondere
il segreto del tuo cuore,
amico mio!
Dillo a me, solo a me,
in confidenza.
Tu che sorridi così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo ascolterà,
non le mie orecchie.
La notte è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le lacrime esitanti,
tra sorrisi tremanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore.
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    Scritta da: Elisa Iacobellis
    in Poesie (Poesie d'Autore)
    Onde dorate, e l'onde eran capelli,
    navicela d'avorio un dì fendea;
    una man pur d'avorio la reggea
    per quaasi errori preziosi e quelli;

    E mentre i flutti tremolanti e belli
    con drittissimo solco dividea,
    l'or de le rotte fila Amor cogliea,
    per formarne catene à suoi ribelli.

    Per l'aureo mar, che rincrespando apria
    il procelloso suo biondo tesoro,
    agitato il mio core a morte gìa.

    Ricco naufragio, in cui sommerso ì moro,
    poich'almen fur ne la tempesta mia
    di diamante lo scoglio e 'l golfo d'oro.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Gesù Bambino

      Gesù Bambino, come dobbiamo essere
      Se vogliamo vedere Dio Padre:
      accordaci allora di rinascere

      come puri infanti, nudi, senz'altro rifugio
      che una stalla, e senz'altra compagnia
      che un asino e un bue, umile coppia;

      d'avere infinita ignoranza
      e l'incommensurabile debolezza
      per cui l'umile infanzia è benedetta;

      di non agire senza che nonnulla ferisca
      la nostra carne tuttavia innocente
      ancora perfino d'una carezza,

      senza che il nostro misero occhio non senta
      dolorosamente perfino il chiarore
      dell'alba impallidire appena,

      della sera che cade, suprema luce,
      senza provare altra voglia
      che d'un lungo sonno tiepido e smorto…

      Come puri infanti che l'aspra vita
      destina – a quale meta tragica
      o felice? – folla asservita

      o libera truppa, a quale calvario?
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Parabola

        Il bimbo guarda fra le dieci dita
        la bella mela che vi tiene stretta;
        e indugia - tanto è lucida e perfetta -
        a dar coi denti quella gran ferita.

        Ma dato il morso primo ecco s'affretta:
        e quel che morde par cosa scipita
        per l'occhio intento al morso che l'aspetta...
        E già la mela è per metà finita.

        Il bimbo morde ancora - e ad ogni morso
        sempre è lo sguardo che precede il dente -
        fin che s'arresta al torso che già tocca.

        "Non sentii quasi il gusto e giungo al torso! "
        Pensa il bambino... Le pupille intente
        ogni piacere tolsero alla bocca.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Amore della vita

          Io vedo i grandi alberi della sera
          che innalzano il cielo dei boulevards,
          le carrozze di Roma che alle tombe
          dell'Appia antica portano la luna.

          Tutto di noi gran tempo ebbe la morte.

          Pure, lunga la vita fu alla sera
          di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo,
          alle luci sorgenti ai campanili
          ai nomi azzurri delle insegne, il cuore
          mai più risponderà?

          Oh, tra i rami grondanti di case e cielo
          il cielo dei boulevards,
          cielo chiaro di rondini!

          O sera umana di noi raccolti
          uomini stanchi uomini buoni,
          il nostro dolce parlare
          nel mondo senza paura.

          Tornerà tornerà,
          d'un balzo il cuore
          desto
          avrà parole?
          Chiamerà le cose, le luci, i vivi?

          I morti, i vinti, chi li desterà?
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Alla Musa

            Pur tu copia versavi alma di canto
            su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
            quando dè miei fiorenti anni fuggiva
            la stagion prima, e dietro erale intanto

            questa, che meco per la via del pianto
            scende di Lete ver la muta riva:
            non udito or t'invoco; ohimè! Soltanto
            una favilla del tuo spirto è viva.

            E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
            o Dea! Tu pur mi lasci alle pensose
            membranze, e del futuro al timor cieco.

            Però mi accorgo, e mel ridice amore,
            che mal ponno sfogar rade, operose
            rime il dolor che deve albergar meco.
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Quasi un madrigale

              Il girasole piega a occidente
              e già precipita il giorno nel suo
              occhio in rovina e l'aria dell'estate
              s'addensa e già curva le foglie e il fumo
              dei cantieri. S'allontana con scorrere
              secco di nubi e stridere di fulmini
              quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,
              e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
              degli alberi stretti dentro la cerchia
              dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
              e sempre quel sole che se ne va
              con il filo del suo raggio affettuoso.

              Non ho più ricordi, non voglio ricordare;
              la memoria risale dalla morte,
              la vita è senza fine. Ogni giorno
              è nostro. Uno si fermerà per sempre,
              e tu con me, quando ci sembri tardi.
              Qui sull'argine del canale, i piedi
              in altalena, come di fanciulli,
              guardiamo l'acqua, i primi rami dentro
              il suo colore verde che s'oscura.
              E l'uomo che in silenzio s'avvicina
              non nasconde un coltello fra le mani,
              ma un fiore di geranio.
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                Scritta da: Silvana Stremiz
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                A mia madre dalla sua casa

                M'accoglie la tua vecchia, grigia casa
                steso supino sopra un letto angusto,
                forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,
                conto le ore lentissime a passare,
                più lente per le nuvole che solcano
                queste notti d'agosto in terre avare.

                Uno che torna a notte alta dai campi
                scambia un cenno a fatica con i simili,
                infila l'erta, il vicolo, scompare
                dietro la porta del tugurio. L'afa
                dello scirocco agita i riposi,
                fa smaniare gli infermi ed i reclusi.

                Non dormo, seguo il passo del nottambulo
                sia demente sia giovane tarato
                mentre risuona sopra pietre e ciottoli;
                lascio e prendo il mio carico servile
                e scendo, scendo più che già non sia
                profondo in questo tempo, in questo popolo.
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