Poesie d'Autore migliori


in Poesie (Poesie d'Autore)
Non nascondere il segreto del tuo cuore
Non nascondere
il segreto del tuo cuore,
amico mio!
Dillo a me, solo a me,
in confidenza.
Tu che sorridi così gentilmente,
dimmelo piano,
il mio cuore lo ascolterà,
non le mie orecchie.
La notte è profonda,
la casa silenziosa,
i nidi degli uccelli
tacciono nel sonno.
Rivelami tra le lacrime esitanti,
tra sorrisi tremanti,
tra dolore e dolce vergogna,
il segreto del tuo cuore.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    In ritardo

    E l'acqua cade su la morta estate,
    e l'acqua scroscia su le morte foglie;
    e tutto è chiuso, e intorno le ventate
    gettano l'acqua alle inverdite soglie;
    e intorno i tuoni brontolano in aria;
    se non qualcuno che rotola giù.
    Apersi un poco la finestra: udii
    rugliare in piena due torrenti e un fiume;
    e mi parve d'udir due scoppiettìi
    e di vedere un nereggiar di piume.
    O rondinella spersa e solitaria,
    per questo tempo come sei qui tu?
    Oh! non è questo un temporale estivo
    col giorno buio e con la rosea sera,
    sera che par la sera dell'arrivo,
    tenera e fresca come a primavera,
    quando, trovati i vecchi nidi al tetto,
    li salutava allegra la tribù.
    Se n'è partita la tribù, da tanto!
    Tanto, che forse pensano al ritorno,
    tanto, che forse già provano il canto
    che canteranno all'alba di quel giorno:
    sognano l'alba di San Benedetto
    nel lontano Baghirmi e nel Bornù.
    E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote,
    l'acqua mi sferza, mi respinge il vento.
    Non più gli scoppiettìi, ma le remote
    voci dei fiumi, ma sgrondare io sento
    sempre più l'acqua, rotolare il tuono,
    il vento alzare ogni minuto più.
    E fuori vedo due ombre, due voli,
    due volastrucci nella sera mesta,
    rimasti qui nel grigio autunno soli,
    ch'aliano soli in mezzo alla tempesta:
    rimasti addietro il giorno del frastuono,
    delle grida d'amore e gioventù.
    Son padre e madre. C'è sotto le gronde
    un nido, in fila con quei nidi muti,
    il lor nido che geme e che nasconde
    sei rondinini non ancor pennuti.
    Al primo nido già toccò sventura.
    Fecero questo accanto a quel che fu.
    Oh! tardi! Il nido ch'è due nidi al cuore,
    ha fame in mezzo a tante cose morte;
    e l'anno è morto, ed anche il giorno muore,
    e il tuono muglia, e il vento urla più forte,
    e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura,
    e quello ch'era non sarà mai più.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Vocali

      A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu:
      vocali,
      Dirò un giorno le vostre origini latenti:
      A nero busto irsuto delle mosche lucenti
      Che ronzano vicino a fetori crudeli,

      Golfi bui; E, candori di vapori e di tende,
      Lance di ghiacciai, bianchi re, brividi
      d'umbelle;
      I, sangue e sputi, porpore, riso di labbra
      belle
      Nella collera o nelle ebbrezze penitenti;

      U, fremiti divini di verdi mari, cicli,
      Pace di bestie al pascolo, pace di quelle
      rughe
      Che imprime alchìmia all'ampia fronte dello
      studioso;

      O, la superna Tromba piena di strani stridi,
      Silenzi visitati dagli Angeli e dai Mondi:
      - O, l'Omega, violetto raggio di quei Suoi
      Occhi!
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        Scritta da: Katy X
        in Poesie (Poesie d'Autore)
        Me ne sono andato io,
        è vero.
        Io non ho voluto combattere
        la mia battaglia,
        non ho saputo difenderti
        fino in fondo.
        Ma a volte
        se penso a dove potresti
        essere ora, o con chi...
        se immagino che magari
        stai baciando un altro
        o lo stai andando a prendere
        perché lui ha preparato una sorpresa...
        provo un dolore,
        una piccola fitta di gelosia.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)
          Odi che il bronzo rimbombando langue,
          E l'ultimo momento
          Morte si strappa, e sul tuo volto esangue
          Stende le man:... sei spento.

          Urlan le furie accapigliate, e intorno
          Stanti con folta notte,
          Chè alfine di putredine il soggiorno
          Con gli abissi t'inghiotte.

          O tu, folle! sperasti altro compenso
          Dall'empietà che teco
          Negra impresa di sangue, e volo immenso
          Tentò eretta del cieco

          Ardir su l'ali? accumulare i scempi
          Dè tiranni piú rei,
          Non re, sapesti; ma percoton gli empi
          Non chimerici Dei.

          Invan gloria sognasti, il grido invano
          Tu dè secoli udisti,
          Ch'or plausi turpi d'uno stuolo insano
          A esecrazion van misti.

          Vincesti? e invan; regnasti? e invan, superbo,
          Chè con destra di possa
          Dè giusti il Dio del tuo comando acerbo
          La catena ha già scossa.

          Veggio l'empio seder amplo in suo orgoglio
          Qual di monte ombra in campo;
          Sublime al par di cedro erge suo soglio;
          Ma squarcia l'aer un lampo;

          Tosto il veggio tremar, piombar, sotterra
          Cacciarsi al divin foco;
          Invan lo sguardo mio cercandol erra,
          Nemmen conosco il loco.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Amore della vita

            Io vedo i grandi alberi della sera
            che innalzano il cielo dei boulevards,
            le carrozze di Roma che alle tombe
            dell'Appia antica portano la luna.

            Tutto di noi gran tempo ebbe la morte.

            Pure, lunga la vita fu alla sera
            di sguardi ad ogni casa, e oltre il cielo,
            alle luci sorgenti ai campanili
            ai nomi azzurri delle insegne, il cuore
            mai più risponderà?

            Oh, tra i rami grondanti di case e cielo
            il cielo dei boulevards,
            cielo chiaro di rondini!

            O sera umana di noi raccolti
            uomini stanchi uomini buoni,
            il nostro dolce parlare
            nel mondo senza paura.

            Tornerà tornerà,
            d'un balzo il cuore
            desto
            avrà parole?
            Chiamerà le cose, le luci, i vivi?

            I morti, i vinti, chi li desterà?
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              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              A un vincitore nel pallone

              Di gloria il viso e la gioconda voce,
              Garzon bennato, apprendi,
              E quanto al femminile ozio sovrasti
              La sudata virtude. Attendi attendi,
              Magnanimo campion (s'alla veloce
              Piena degli anni il tuo valor contrasti
              La spoglia di tuo nome), attendi e il core
              Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
              Arena e il circo, e te fremendo appella
              Ai fatti illustri il popolar favore;
              Te rigoglioso dell'età novella
              Oggi la patria cara
              Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
              Del barbarico sangue in Maratona
              Non colorò la destra
              Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
              Che stupido mirò l'ardua palestra,
              Né la palma beata e la corona
              D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
              Forse le chiome polverose e i fianchi
              Delle cavalle vincitrici asterse
              Tal che le greche insegne e il greco acciaro
              Guidò dè Medi fuggitivi e stanchi
              Nelle pallide torme; onde sonaro
              Di sconsolato grido
              L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
              Vano dirai quel che disserra e scote
              Della virtù nativa
              Le riposte faville? E che del fioco
              Spirto vital negli egri petti avviva
              Il caduco fervor? Le meste rote
              Da poi che Febo instiga, altro che gioco
              Son l'opre dè mortali? Ed è men vano
              Della menzogna il vero? A noi di lieti
              Inganni e di felici ombre soccorse
              Natura stessa: e là dove l'insano
              Costume ai forti errori esca non porse,
              Negli ozi oscuri e nudi
              Mutò la gente i gloriosi studi.
              Tempo forse verrà ch'alle ruine
              Delle italiche moli
              Insultino gli armenti, e che l'aratro
              Sentano i sette colli; e pochi Soli
              Forse fien volti, e le città latine
              Abiterà la cauta volpe, e l'atro
              Bosco mormorerà fra le alte mura;
              Se la funesta delle patrie cose
              Obblivion dalle perverse menti
              Non isgombrano i fati, e la matura
              Clade non torce dalle abbiette genti
              Il ciel fatto cortese
              Dal rimembrar delle passate imprese.
              Alla patria infelice, o buon garzone,
              Sopravviver ti doglia.
              Chiaro per lei stato saresti allora
              Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
              Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
              Che nullo di tal madre oggi s'onora:
              Ma per te stesso al polo ergi la mente.
              Nostra vita a che val? Solo a spregiarla:
              Beata allor che nè perigli avvolta,
              Se stessa obblia, né delle putri e lente
              Ore il danno misura e il flutto ascolta;
              Beata allor che il piede
              Spinto al varco leteo, più grata riede.
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                Scritta da: Marzia Ornofoli
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Ahimè

                Con ogni passione andare alla deriva
                Fin che l'anima vibri come un liuto a tutti i venti:
                per questo ho rinunciato alla saggezza,
                Alla mia antica disciplina?
                Mi sembra la mia vita un palinsesto
                Di rime e note, canzoncine
                Scribacchiate in vacanza pigramente
                a un ragazzo. A mascherare il segreto.
                Certo avrei potuto giubgere in vetta, un tempo,
                e dalle dissonanze della vita
                Trarre un accordo che salisse a Dio.
                Quel tempo è morto? Con la piccola bacchetta
                Ho solo sfiorato il miele dell'arte-
                e devo prendere l'eredità di un'anima?
                Composta martedì 4 agosto 2009
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                  Scritta da: Andrea De Candia
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  Rendimi i miei capelli

                  Rendimi i miei capelli,
                  non portarli con te nelle tue pene,
                  inebriami di baci, come statua
                  che abbia compiuto musiche maggiori.

                  O coscia del destino semiaperto,
                  lascia che ti ricami una chimera
                  sull'avambraccio
                  prima che la follia del tempo
                  divori le caviglie.

                  Sei nata donna
                  ma tu sei così oscura
                  come tranello in cui tema il piede
                  di orizzontarsi. Sei la mia dimora,
                  la dimora traslata dalle vigne
                  che fa tacere anche il pavimento.
                  Composta giovedì 31 marzo 2016
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