L'osteria della pergola è in faccende: piena è di grida, di brusìo, di sordi tonfi; il camin fumante a tratti splende. Sulla soglia, tra il nembo degli odori pingui, un mendico brontola: Altri tordi c'era una volta, e altri cacciatori. Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno dal villaggio a rintocchi lenti squilla; e dai remoti campanili intorno un'ondata di riso empie la villa.
Come un'arca d'aromi oltremarini, il santuario, a mezzo la scogliera, esala ancora l'inno e la preghiera tra i lunghi intercolunnii dè pini; e trema ancor dè palpiti divini che l'hanno scosso nella dolce sera, quando dalla grand'abside severa uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini. S'incurva in una luminosa arcata il ciel sovr'esso: alle colline estreme il Carro è fermo e spia l'ombra che sale. Sale con l'ombra il suon d'una cascata che grave nel silenzio sacro geme con un sospiro eternamente uguale.
E l'acqua cade su la morta estate, e l'acqua scroscia su le morte foglie; e tutto è chiuso, e intorno le ventate gettano l'acqua alle inverdite soglie; e intorno i tuoni brontolano in aria; se non qualcuno che rotola giù. Apersi un poco la finestra: udii rugliare in piena due torrenti e un fiume; e mi parve d'udir due scoppiettìi e di vedere un nereggiar di piume. O rondinella spersa e solitaria, per questo tempo come sei qui tu? Oh! non è questo un temporale estivo col giorno buio e con la rosea sera, sera che par la sera dell'arrivo, tenera e fresca come a primavera, quando, trovati i vecchi nidi al tetto, li salutava allegra la tribù. Se n'è partita la tribù, da tanto! Tanto, che forse pensano al ritorno, tanto, che forse già provano il canto che canteranno all'alba di quel giorno: sognano l'alba di San Benedetto nel lontano Baghirmi e nel Bornù. E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote, l'acqua mi sferza, mi respinge il vento. Non più gli scoppiettìi, ma le remote voci dei fiumi, ma sgrondare io sento sempre più l'acqua, rotolare il tuono, il vento alzare ogni minuto più. E fuori vedo due ombre, due voli, due volastrucci nella sera mesta, rimasti qui nel grigio autunno soli, ch'aliano soli in mezzo alla tempesta: rimasti addietro il giorno del frastuono, delle grida d'amore e gioventù. Son padre e madre. C'è sotto le gronde un nido, in fila con quei nidi muti, il lor nido che geme e che nasconde sei rondinini non ancor pennuti. Al primo nido già toccò sventura. Fecero questo accanto a quel che fu. Oh! tardi! Il nido ch'è due nidi al cuore, ha fame in mezzo a tante cose morte; e l'anno è morto, ed anche il giorno muore, e il tuono muglia, e il vento urla più forte, e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura, e quello ch'era non sarà mai più.
Può darsi ch'io scordi, Signora, il vostro divino profilo d'uccello e che strappi la mia pazzia come se balzassi in un cerchio, ma al soffitto del mio capo i vostri occhi, fulgidi lumi, brilleranno.
Appare volontà quel che fu caso, un eterno momento, ma l'occhio il naso suggellò veloce e la bocca nel vento ambigua errò per voce che sempre può parlare.
Questo il ritratto e questo è il mare, un rudere che striscia nel suo vecchio calore.
Così dall'ombra mosse una piccola biscia fuggendo il suo colore. Apparvero le fosse dei morti, il grigioverde dei topi e dei soldati.
Ha i minuti contati la morte che perde e moltiplica i piedi. Nel sole che vedi è il sole che langue, il formicaio del sangue.
A volte mentre vado al sole e gli aspetti del mondo accolgo e il cuore quasi m'opprime l'amorosa ressa, ombra il sole ecco farsi l'ombra, gelo.
Un cieco mi par d'essere che va lungo la sponda d'un immenso fiume. Scorrono sotto l'acque maestose; ma non le vede lui: il poco sole lui si prende beato. E se gli giunge a tratti mormorar d'acque, lo crede ronzio d'orecchi illusi.
Perché a me par vivendo questa mia povera vita, un'altra rasentarne come nel sonno; e che quel sonno sia la mia vita presente.
Un vago sentimento allor mi coglie, uno sgomento pueril. Mi siedo dove sono, sul ciglio della strada, miro il misero mio angusto mondo e carezzo con man che trema l'erba.
Ma mette conto che ascoltiate, voi che non augurate successi agli adulteri, come incappino in guai per ogni verso, da che dolori sono avvelenati i loro spassi e come fra continui rischi e disagi raramente ne godano.