Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Mezzogiorno

L'osteria della pergola è in faccende:
piena è di grida, di brusìo, di sordi
tonfi; il camin fumante a tratti splende.
Sulla soglia, tra il nembo degli odori
pingui, un mendico brontola: Altri tordi
c'era una volta, e altri cacciatori.
Dice, e il cor s'è beato. Mezzogiorno
dal villaggio a rintocchi lenti squilla;
e dai remoti campanili intorno
un'ondata di riso empie la villa.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Il Santuario

    Come un'arca d'aromi oltremarini,
    il santuario, a mezzo la scogliera,
    esala ancora l'inno e la preghiera
    tra i lunghi intercolunnii dè pini;
    e trema ancor dè palpiti divini
    che l'hanno scosso nella dolce sera,
    quando dalla grand'abside severa
    uscìa l'incenso in fiocchi cilestrini.
    S'incurva in una luminosa arcata
    il ciel sovr'esso: alle colline estreme
    il Carro è fermo e spia l'ombra che sale.
    Sale con l'ombra il suon d'una cascata
    che grave nel silenzio sacro geme
    con un sospiro eternamente uguale.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      In ritardo

      E l'acqua cade su la morta estate,
      e l'acqua scroscia su le morte foglie;
      e tutto è chiuso, e intorno le ventate
      gettano l'acqua alle inverdite soglie;
      e intorno i tuoni brontolano in aria;
      se non qualcuno che rotola giù.
      Apersi un poco la finestra: udii
      rugliare in piena due torrenti e un fiume;
      e mi parve d'udir due scoppiettìi
      e di vedere un nereggiar di piume.
      O rondinella spersa e solitaria,
      per questo tempo come sei qui tu?
      Oh! non è questo un temporale estivo
      col giorno buio e con la rosea sera,
      sera che par la sera dell'arrivo,
      tenera e fresca come a primavera,
      quando, trovati i vecchi nidi al tetto,
      li salutava allegra la tribù.
      Se n'è partita la tribù, da tanto!
      Tanto, che forse pensano al ritorno,
      tanto, che forse già provano il canto
      che canteranno all'alba di quel giorno:
      sognano l'alba di San Benedetto
      nel lontano Baghirmi e nel Bornù.
      E chiudo i vetri. Il freddo mi percuote,
      l'acqua mi sferza, mi respinge il vento.
      Non più gli scoppiettìi, ma le remote
      voci dei fiumi, ma sgrondare io sento
      sempre più l'acqua, rotolare il tuono,
      il vento alzare ogni minuto più.
      E fuori vedo due ombre, due voli,
      due volastrucci nella sera mesta,
      rimasti qui nel grigio autunno soli,
      ch'aliano soli in mezzo alla tempesta:
      rimasti addietro il giorno del frastuono,
      delle grida d'amore e gioventù.
      Son padre e madre. C'è sotto le gronde
      un nido, in fila con quei nidi muti,
      il lor nido che geme e che nasconde
      sei rondinini non ancor pennuti.
      Al primo nido già toccò sventura.
      Fecero questo accanto a quel che fu.
      Oh! tardi! Il nido ch'è due nidi al cuore,
      ha fame in mezzo a tante cose morte;
      e l'anno è morto, ed anche il giorno muore,
      e il tuono muglia, e il vento urla più forte,
      e l'acqua fruscia, ed è già notte oscura,
      e quello ch'era non sarà mai più.
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        I tre santi Re Magi dall'Oriente

        I tre santi Re Magi dall'Oriente
        Chisedono in ogni piccola città:
        "Cari ragazzi e giovinette, dite,
        la strada per Betlemme è per di qua? "

        Ma i giovani ed i vecchi non lo sanno
        E i tre Re Magi sempre avanti vanno;
        ma una cometa d'oro li conduce
        che lassù chiara e amabile riluce.

        La stella sulla casa di Giuseppe
        Ecco s'arresta: là devono entrare.
        Il bovetto muggisce, il bimbo strilla,
        e i tre Re Magi prendono a cantare.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          La cicala

          Appare volontà quel che fu caso,
          un eterno momento,
          ma l'occhio il naso suggellò veloce
          e la bocca nel vento
          ambigua errò per voce
          che sempre può parlare.

          Questo il ritratto e questo è il mare,
          un rudere che striscia
          nel suo vecchio calore.

          Così dall'ombra mosse
          una piccola biscia
          fuggendo il suo colore.
          Apparvero le fosse
          dei morti, il grigioverde
          dei topi e dei soldati.

          Ha i minuti contati
          la morte che perde
          e moltiplica i piedi.
          Nel sole che vedi
          è il sole che langue,
          il formicaio del sangue.
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            Scritta da: Antonella Marotta
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            A volte mentre vado al sole
            e gli aspetti del mondo accolgo e il cuore
            quasi m'opprime l'amorosa ressa,
            ombra il sole ecco farsi l'ombra, gelo.

            Un cieco mi par d'essere che va
            lungo la sponda d'un immenso fiume.
            Scorrono sotto l'acque maestose;
            ma non le vede lui: il poco sole
            lui si prende beato. E se gli giunge
            a tratti mormorar d'acque, lo crede
            ronzio d'orecchi illusi.

            Perché a me par vivendo questa mia
            povera vita, un'altra rasentarne
            come nel sonno; e che quel sonno sia
            la mia vita presente.

            Un vago sentimento allor mi coglie,
            uno sgomento pueril.
            Mi siedo
            dove sono, sul ciglio della strada,
            miro il misero mio angusto mondo
            e carezzo con man che trema l'erba.
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