Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Che stai?

Che stai? Già il secol l'orma ultima lascia;
dove del tempo son le leggi rotte
precipita, portando entro la notte
quattro tuoi lustri, e obblio freddo li fascia.

Che se vita è l'error, l'ira, e l'ambascia,
troppo hai del viver tuo l'ore prodotte;
or meglio vivi, e con fatiche dotte
a chi diratti antico esempi lascia.

Figlio infelice, e disperato amante,
e senza patria, a tutti aspro e a te stesso,
giovine d'anni e rugoso in sembiante,

che stai? Breve è la vita, e lunga è l'arte;
a chi altamente oprar non è concesso
fama tentino almen libere carte.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Alla Musa

    Pur tu copia versavi alma di canto
    su le mie labbra un tempo, Aonia Diva,
    quando dè miei fiorenti anni fuggiva
    la stagion prima, e dietro erale intanto

    questa, che meco per la via del pianto
    scende di Lete ver la muta riva:
    non udito or t'invoco; ohimè! Soltanto
    una favilla del tuo spirto è viva.

    E tu fuggisti in compagnia dell'ore,
    o Dea! Tu pur mi lasci alle pensose
    membranze, e del futuro al timor cieco.

    Però mi accorgo, e mel ridice amore,
    che mal ponno sfogar rade, operose
    rime il dolor che deve albergar meco.
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      Scritta da: Marzia Ornofoli
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Ahimè

      Con ogni passione andare alla deriva
      Fin che l'anima vibri come un liuto a tutti i venti:
      per questo ho rinunciato alla saggezza,
      Alla mia antica disciplina?
      Mi sembra la mia vita un palinsesto
      Di rime e note, canzoncine
      Scribacchiate in vacanza pigramente
      a un ragazzo. A mascherare il segreto.
      Certo avrei potuto giubgere in vetta, un tempo,
      e dalle dissonanze della vita
      Trarre un accordo che salisse a Dio.
      Quel tempo è morto? Con la piccola bacchetta
      Ho solo sfiorato il miele dell'arte-
      e devo prendere l'eredità di un'anima?
      Composta martedì 4 agosto 2009
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        A un vincitore nel pallone

        Di gloria il viso e la gioconda voce,
        Garzon bennato, apprendi,
        E quanto al femminile ozio sovrasti
        La sudata virtude. Attendi attendi,
        Magnanimo campion (s'alla veloce
        Piena degli anni il tuo valor contrasti
        La spoglia di tuo nome), attendi e il core
        Movi ad alto desio. Te l'echeggiante
        Arena e il circo, e te fremendo appella
        Ai fatti illustri il popolar favore;
        Te rigoglioso dell'età novella
        Oggi la patria cara
        Gli antichi esempi a rinnovar prepara.
        Del barbarico sangue in Maratona
        Non colorò la destra
        Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
        Che stupido mirò l'ardua palestra,
        Né la palma beata e la corona
        D'emula brama il punse. E nell'Alfeo
        Forse le chiome polverose e i fianchi
        Delle cavalle vincitrici asterse
        Tal che le greche insegne e il greco acciaro
        Guidò dè Medi fuggitivi e stanchi
        Nelle pallide torme; onde sonaro
        Di sconsolato grido
        L'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
        Vano dirai quel che disserra e scote
        Della virtù nativa
        Le riposte faville? E che del fioco
        Spirto vital negli egri petti avviva
        Il caduco fervor? Le meste rote
        Da poi che Febo instiga, altro che gioco
        Son l'opre dè mortali? Ed è men vano
        Della menzogna il vero? A noi di lieti
        Inganni e di felici ombre soccorse
        Natura stessa: e là dove l'insano
        Costume ai forti errori esca non porse,
        Negli ozi oscuri e nudi
        Mutò la gente i gloriosi studi.
        Tempo forse verrà ch'alle ruine
        Delle italiche moli
        Insultino gli armenti, e che l'aratro
        Sentano i sette colli; e pochi Soli
        Forse fien volti, e le città latine
        Abiterà la cauta volpe, e l'atro
        Bosco mormorerà fra le alte mura;
        Se la funesta delle patrie cose
        Obblivion dalle perverse menti
        Non isgombrano i fati, e la matura
        Clade non torce dalle abbiette genti
        Il ciel fatto cortese
        Dal rimembrar delle passate imprese.
        Alla patria infelice, o buon garzone,
        Sopravviver ti doglia.
        Chiaro per lei stato saresti allora
        Che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
        Nostra colpa e fatal. Passò stagione;
        Che nullo di tal madre oggi s'onora:
        Ma per te stesso al polo ergi la mente.
        Nostra vita a che val? Solo a spregiarla:
        Beata allor che nè perigli avvolta,
        Se stessa obblia, né delle putri e lente
        Ore il danno misura e il flutto ascolta;
        Beata allor che il piede
        Spinto al varco leteo, più grata riede.
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Quasi un madrigale

          Il girasole piega a occidente
          e già precipita il giorno nel suo
          occhio in rovina e l'aria dell'estate
          s'addensa e già curva le foglie e il fumo
          dei cantieri. S'allontana con scorrere
          secco di nubi e stridere di fulmini
          quest'ultimo gioco del cielo. Ancora,
          e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
          degli alberi stretti dentro la cerchia
          dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
          e sempre quel sole che se ne va
          con il filo del suo raggio affettuoso.

          Non ho più ricordi, non voglio ricordare;
          la memoria risale dalla morte,
          la vita è senza fine. Ogni giorno
          è nostro. Uno si fermerà per sempre,
          e tu con me, quando ci sembri tardi.
          Qui sull'argine del canale, i piedi
          in altalena, come di fanciulli,
          guardiamo l'acqua, i primi rami dentro
          il suo colore verde che s'oscura.
          E l'uomo che in silenzio s'avvicina
          non nasconde un coltello fra le mani,
          ma un fiore di geranio.
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            Scritta da: Silvana Stremiz
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            A mia madre dalla sua casa

            M'accoglie la tua vecchia, grigia casa
            steso supino sopra un letto angusto,
            forse il tuo letto per tanti anni. Ascolto,
            conto le ore lentissime a passare,
            più lente per le nuvole che solcano
            queste notti d'agosto in terre avare.

            Uno che torna a notte alta dai campi
            scambia un cenno a fatica con i simili,
            infila l'erta, il vicolo, scompare
            dietro la porta del tugurio. L'afa
            dello scirocco agita i riposi,
            fa smaniare gli infermi ed i reclusi.

            Non dormo, seguo il passo del nottambulo
            sia demente sia giovane tarato
            mentre risuona sopra pietre e ciottoli;
            lascio e prendo il mio carico servile
            e scendo, scendo più che già non sia
            profondo in questo tempo, in questo popolo.
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              Scritta da: Edoardo Grimoldi
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il topolino

              Furia disse
               a un topino
                 Incontrato
                     al mattino:
                         "Facciamo
                            un tribunale,
                               E poi anche
                                 il processo!
                                E non ti ri-
                               rifiutare, Ti
                              debbo con-
                             dannare!
                            Oggi è un
                           giorno
                          noioso E
                           mi sento
                             depresso."
                               Il topo al-
                                    l'imbro-
                                      glione:
                                      "Che sto-
                                          ria da
                                           burlone!
                                          I processi
                                          si fanno
                                         Con giu-
                                        dice e
                                       giuria!"
                                     "Son giu-
                                   dice e
                                  giuria!"
                                 Fu del
                                 can la
                                  follia:
                                      "Son
                                    io tut-
                                  ta la
                              legge;
                         e ti con-
                    danno a
              morte!"
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                Scritta da: Andrea De Candia
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Rendimi i miei capelli

                Rendimi i miei capelli,
                non portarli con te nelle tue pene,
                inebriami di baci, come statua
                che abbia compiuto musiche maggiori.

                O coscia del destino semiaperto,
                lascia che ti ricami una chimera
                sull'avambraccio
                prima che la follia del tempo
                divori le caviglie.

                Sei nata donna
                ma tu sei così oscura
                come tranello in cui tema il piede
                di orizzontarsi. Sei la mia dimora,
                la dimora traslata dalle vigne
                che fa tacere anche il pavimento.
                Composta giovedì 31 marzo 2016
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                  Scritta da: Silvana Stremiz
                  in Poesie (Poesie d'Autore)

                  All'Italia

                  O patria mia, vedo le mura e gli archi
                  E le colonne e i simulacri e l'erme
                  Torri degli avi nostri,
                  Ma la la gloria non vedo,
                  Non vedo il lauro e il ferro ond'eran carchi
                  I nostri padri antichi. Or fatta inerme
                  Nuda la fronte e nudo il petto mostri,
                  Oimè quante ferite,
                  Che lívidor, che sangue! Oh qual ti veggio,
                  Formesissima donna!
                  Io chiedo al cielo e al mondo: dite dite;
                  Chi la ridusse a tale? E questo è peggio,
                  Che di catene ha carche ambe le braccia,
                  Sì che sparte le chiome e senza velo
                  Siede in terra negletta e sconsolata,
                  Nascondendo la faccia
                  Tra le ginocchia, e piange.
                  Piangi, che ben hai donde, Italia mia,
                  Le genti a vincer nata
                  E nella fausta sorte e nella ria.
                  Se fosser gli occhi tuoi due fonti vive,
                  Mai non potrebbe il pianto
                  Adeguarsi al tuo danno ed allo scorno;
                  Che fosti donna, or sei povera ancella.
                  Chi di te parla o scrive,
                  Che, rimembrando il tuo passato vanto,
                  Non dica: già fu grande, or non è quella?
                  Perché, perché? Dov'è la forza antica?
                  Dove l'armi e il valore e la costanza?
                  Chi ti discinse il brando?
                  Chi ti tradì? Qual arte o qual fatica
                  0 qual tanta possanza,
                  Valse a spogliarti il manto e l'auree bende?
                  Come cadesti o quando
                  Da tanta altezza in così basso loco?
                  Nessun pugna per te? Non ti difende
                  Nessun dè tuoi? L'armi, qua l'armi: ío solo
                  Combatterà, procomberò sol io.
                  Dammi, o ciel, che sia foco
                  Agl'italici petti il sangue mio.
                  Dove sono i tuoi figli?. Odo suon d'armi
                  E di carri e di voci e di timballi
                  In estranie contrade
                  Pugnano i tuoi figliuoli.
                  Attendi, Italia, attendi. Io veggio, o parmi,
                  Un fluttuar di fanti e di cavalli,
                  E fumo e polve, e luccicar di spade
                  Come tra nebbia lampi.
                  Nè ti conforti e i tremebondi lumi
                  Piegar non soffri al dubitoso evento?
                  A che pugna in quei campi
                  L'itata gioventude? 0 numi, o numi
                  Pugnan per altra terra itali acciari.
                  Oh misero colui che in guerra è spento,
                  Non per li patrii lidi e per la pia
                  Consorte e i figli cari, Ma da nemici altrui
                  Per altra gente, e non può dir morendo
                  Alma terra natia,
                  La vita che mi desti ecco ti rendo.
                  Oh venturose e care e benedette
                  L'antiche età, che a morte
                  Per la patria correan le genti a squadre
                  E voi sempre onorate e gloriose,
                  0 tessaliche strette,
                  Dove la Persia e il fato assai men forte
                  Fu di poch'alme franche e generose!
                  Lo credo che le piante e i sassi e l'onda
                  E le montagne vostre al passeggere
                  Con indistinta voce
                  Narrin siccome tutta quella sponda
                  Coprir le invitte schiere
                  Dè corpi ch'alla Grecia eran devoti.
                  Allor, vile e feroce,
                  Serse per l'Ellesponto si fuggia,
                  Fatto ludibrio agli ultimi nepoti;
                  E sul colle d'Antela, ove morendo
                  Si sottrasse da morte il santo stuolo,
                  Simonide salia,
                  Guardando l'etra e la marina e il suolo.
                  E di lacrime sparso ambe le guance,
                  E il petto ansante, e vacillante il piede,
                  Toglicasi in man la lira:
                  Beatissimi voi,
                  Ch'offriste il petto alle nemiche lance
                  Per amor di costei ch'al Sol vi diede;
                  Voi che la Grecia cole, e il mondo ammira
                  Nell'armi e nè perigli
                  Qual tanto amor le giovanette menti,
                  Qual nell'acerbo fato amor vi trasse?
                  Come si lieta, o figli,
                  L'ora estrema vi parve, onde ridenti
                  Correste al passo lacrimoso e, duro?
                  Parea ch'a danza e non a morte andasse
                  Ciascun dè vostri, o a splendido convito:
                  Ma v'attendea lo scuro
                  Tartaro, e l'ond'a morta;
                  Nè le spose vi foro o i figli accanto
                  Quando su l'aspro lito
                  Senza baci moriste e senza pianto.
                  Ma non senza dè Persi orrida pena
                  Ed immortale angoscia.
                  Come lion di tori entro una mandra
                  Or salta a quello in tergo e sì gli scava
                  Con le zanne la schiena,
                  Or questo fianco addenta or quella coscia;
                  Tal fra le Perse torme infuriava
                  L'ira dè greci petti e la virtute.
                  Vè cavalli supini e cavalieri;
                  Vedi intralciare ai vinti
                  La fuga i carri e le tende cadute,
                  E correr frà primieri
                  Pallido e scapigliato esso tiranno;
                  vè come infusi e tintí
                  Del barbarico sangue i greci eroi,
                  Cagione ai Persi d'infinito affanno,
                  A poco a poco vinti dalle piaghe,
                  L'un sopra l'altro cade. Oh viva, oh viva:
                  Beatissimi voi
                  Mentre nel mondo si favelli o scriva.
                  Prima divelte, in mar precipitando,
                  Spente nell'imo strideran le stelle,
                  Che la memoria e il vostro
                  Amor trascorra o scemi.
                  La vostra tomba è un'ara; e qua mostrando
                  Verran le madri ai parvoli le belle
                  Orme dei vostro sangue. Ecco io mi prostro,
                  0 benedetti, al suolo,
                  E bacio questi sassi e queste zolle,
                  Che fien lodate e chiare eternamente
                  Dall'uno all'altro polo.
                  Deh foss'io pur con voi qui sotto, e molle
                  Fosse del sangue mio quest'alma terra.
                  Che se il fato è diverso, e non consente
                  Ch'io per la Grecia i mororibondi lumi
                  Chiuda prostrato in guerra,
                  Così la vereconda
                  Fama del vostro vate appo i futuri
                  Possa, volendo i numi,
                  Tanto durar quanto la, vostra duri.
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                    Scritta da: Silvana Stremiz
                    in Poesie (Poesie d'Autore)

                    Ridotto a me stesso?

                    Ridotto a me stesso?
                    Morto l'interlocutore?
                    O morto io,
                    l'altro su di me
                    padrone del campo, l'altro,
                    universo, parificatore...
                    o no,
                    niente di questo:
                    il silenzio raggiante
                    dell'amore pieno,
                    della piena incarnazione
                    anticipato da un lampo? -
                    penso
                    se è pensare questo
                    e non opera di sonno
                    nella pausa solare
                    del tumulto di adesso.
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