Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Gloria del disteso mezzogiorno

Gloria del disteso mezzogiorno
quand'ombra non rendono gli alberi,
e piú e piú si mostrano d'attorno
per troppa luce, le parvenze, falbe.

Il sole, in alto, - e un secco greto.
Il mio giorno non è dunque passato:
l'ora piú bella è di là dal muretto
che rinchiude in un occaso scialbato.

L'arsura, in giro; un martin pescatore
volteggia s'una reliquia di vita.
La buona pioggia è di là dallo squallore,
ma in attendere è gioia piú compita.
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    Scritta da: Rosita Matera
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Meriggio

    A mezzo il giorno
    sul Mare etrusco
    pallido verdicante
    come il dissepolto
    bronzo dagli ipogei, grava
    la bonaccia. Non bava
    di vento intorno
    alita. Non trema canna
    su la solitaria
    spiaggia aspra di rusco,
    di ginepri arsi. Non suona
    voce, se acolto.
    Riga di vele in panna
    verso Livorno
    biancica. Pel chiaro
    silenzio il Capo Corvo
    l'isola del Faro
    scorgo; e più lontane,
    forme d'aria nell'aria,
    l'isole del tuo sdegno,
    o padre Dante,
    la Capraia e la Gorgona.
    Marmorea corona
    di minaccevoli punte,
    le grandi Alpi Apuane
    regnano il regno amaro,
    dal loro orgoglio assunte.

    La foce è come salso
    stagno. Del marin colore,
    per mezzo alle capanne,
    per entro alle reti
    che pendono dalla croce
    degli staggi, si tace.
    Come il bronzo sepolcrale
    pallida verdica in pace
    quella che sorridea.
    Quasi letèa,
    obliviosa, eguale,
    segno non mostra
    di corrente, non ruga
    d'aura. La fuga
    delle due rive
    si chiude come in un cerchio
    di canne, che circonscrive
    l'oblío silente; e le canne
    non han susurri. Più foschi
    i boschi di San Rossore
    fan di sé cupa chiostra;
    ma i più lontani,
    verso il Gombo, verso il Serchio,
    son quasi azzurri.
    Dormono i Monti Pisani
    coperti da inerti
    cumuli di vapore.

    Bonaccia, calura,
    per ovunque silenzio.
    L'Estate si matura
    sul mio capo come un pomo
    che promesso mi sia,
    che cogliere io debba
    con la mia mano,
    che suggere io debba
    con le mie labbra solo.
    Perduta è ogni traccia
    dell'uomo. Voce non suona,
    se ascolto. Ogni duolo
    umano m'abbandona.
    Non ho più nome.
    E sento che il mio vólto
    s'indora dell'oro
    meridiano,
    e che la mia bionda
    barba riluce
    come la paglia marina;
    sento che il lido rigato
    con sì delicato
    lavoro dell'onda
    e dal vento è come
    il mio palato, è come
    il cavo della mia mano
    ove il tatto s'affina.

    E la mia forza supina
    si stampa nell'arena,
    diffondesi nel mare;
    e il fiume è la mia vena,
    il monte è la mia fronte,
    la selva è la mia pube,
    la nube è il mio sudore.
    E io sono nel fiore
    della stiancia, nella scaglia
    della pina, nella bacca,
    del ginepro: io son nel fuco,
    nella paglia marina,
    in ogni cosa esigua,
    in ogni cosa immane,
    nella sabbia contigua,
    nelle vette lontane.
    Ardo, riluco.
    E non ho più nome.
    E l'alpi e l'isole e i golfi
    e i capi e i fari e i boschi
    e le foci ch'io nomai
    non han più l'usato nome
    che suona in labbra umane.
    Non ho più nome né sorte
    tra gli uomini; ma il mio nome
    è Meriggio. In tutto io vivo
    tacito come la Morte.

    E la mia vita è divina.
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      L'uccellino del freddo

      Viene il freddo. Giri per dirlo
      tu, sgricciolo, intorno le siepi;
      e sentire fai nel tuo zirlo
      lo strido di gelo che crepi.
      Il tuo trillo sembra la brina
      che sgrigiola, il vetro che incrina...
      trr trr trr terit tirit...
      Viene il verno. Nella tua voce
      c'è il verno tutt'arido e tecco.
      Tu somigli un guscio di noce,
      che ruzzola con rumor secco.
      T'ha insegnato il breve tuo trillo
      con l'elitre tremule il grillo...
      trr trr trr terit tirit...
      Nel tuo verso suona scrio scrio,
      con piccoli crepiti e stiocchi,
      il segreto scricchiolettio
      di quella catasta di ciocchi.
      Uno scricchiolettio ti parve
      d'udirvi cercando le larve...
      trr trr trr terit tirit...
      Tutto, intorno, screpola rotto.
      Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
      Così rompere odi lì sotto,
      così screpolare lì dietro.
      Oh! lì dentro vedi una vecchia
      che fiacca la stipa e la grecchia...
      trr trr trr terit tirit...
      Vedi il lume, vedi la vampa.
      Tu frulli dal vetro alla fratta.
      Ecco un tizzo soffia, una stiampa
      già croscia, una scorza già scatta.
      Ecco nella grigia casetta
      l'allegra fiammata scoppietta...
      trr trr trr terit tirit...
      Fuori, in terra, frusciano foglie
      cadute. Nell'Alpe lontana
      ce n'è un mucchio grande che accoglie
      la verde tua palla di lana.
      Nido verde tra foglie morte,
      che fanno, ad un soffio più forte...
      trr trr trr terit tirit...
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        Scritta da: Francesca Oniram
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Corrispondenze

        La natura è un tempio in cui viventi
        colonne lasciano talvolta sfuggire
        confuse parole; l'uomo vi passa,
        attraverso foreste di simboli,
        che lo guardano con sguardi
        familiari.
        Simili a lunghi echi,
        che di lontano si confondano
        in una tenebrosa e profonda unità
        – vasta come la notte e la luce –
        i profumi, i colori e i suoni si rispondono.
        Profumi freschi come carni di bimbi,
        dolci come il suono dell'oboe,
        verdi come praterie.
        Ed altri corrotti, ricchi e trionfanti,
        vasti come le cose infinite:
        l'ambra, il muschio, il benzoino
        e l'incenso, che cantano
        i rapimenti dello spirito e dei sensi.
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          Scritta da: Anna Alleva
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Compianto per Ignazio Sánchez Mejías - il sangue sparso

          Non voglio vederlo!
          Di' alla luna che si mostri;
          non voglio vedere il sangue
          d'Ignazio sopra l'arena.
          Non voglio vederlo!
          È spalancata la luna.
          Cavallo di calme nubi
          e circo grigio del sogno
          con salici in prima fila.
          Non voglio vederlo!
          Il mio ricordo si brucia.
          Avvisate i gelsomini
          di minuscolo candore!
          Non voglio vederlo!
          La vacca del vecchio mondo
          passava la triste sua lingua
          sopra un muso di grumi
          di sangue in terra versato.
          Ed i tori di Guisando,
          quasi morte e quasi pietra,
          mugghiaron come due secoli
          sazi di premere il suolo.
          No.
          Non voglio vederlo!
          Sale Ignazio sui gradini,
          tutta la sua morte a spalla.
          Andava in cerca dell'alba
          e l'alba non esisteva.
          Cerca il suo fermo profilo
          e il sogno lo disorienta.
          Il suo bel corpo cercava
          e trovò il suo sangue aperto.
          Non ditemi di vederlo!
          Non voglio sentire il getto
          che sempre più s'affioca;
          il getto che le tribune
          illumina e si riversa
          sopra il fustagno ed il cuoio,
          della folla sitibonda.
          Chi mi grida di mostrarmi!
          Non ditemi di vederlo.
          Non si chiusero i suoi occhi
          nel vedersi lì le corna;
          ma le terribili madri
          rizzarono allora il capo.
          Ed attraverso gli allevamenti
          corse un vento di voci segrete,
          a tori celesti gridate
          da mandriani di pallida nebbia.
          Non principe di Siviglia
          potrebbe essergli pari,
          né spada come la sua
          né cuore del suo più vero.
          Come un fiume di leoni
          il suo stupendo vigore,
          e come un torso di marmo
          la sua lineata saggezza.
          Aria di Roma andalusa
          gli dorava la testa
          dove il suo riso era un nardo
          di sale e d'intelligenza.
          Che gran torero in arena!
          Che buon montanaro ai monti!
          Quanto mite con le spighe!
          Quanto duro con gli sproni!
          Tenero con la rugiada!
          Che bagliore nella fiera!
          Quanto tremendo con l'ultime
          banderillas della tenebra!
          Ma ora dorme in eterno.
          Ora i muschi e l'erba dischiudono
          con loro dita sicure
          il fiore del suo teschio.
          E il suo sangue ora viene cantando:
          cantando per maremme e praterie,
          sdrucciolando su corna intirizzite;
          senz'anima vacilla nella nebbia.
          In migliaia di zoccoli inciampando
          come una lunga, oscura, triste lingua,
          per formare una pozza d'agonia
          presso il Guadalquivir del firmamento.
          Oh bianco muro di Spagna!
          Oh nero toro di pena!
          Oh sangue duro d'Ignazio!
          Oh usignolo delle sue vene!
          No.
          Non voglio vederlo!
          Un calice non v'è che lo contenga,
          non vi son rondinelle che lo bevano,
          non v'è brina di luce che lo geli,
          non di gigli v'è canto né diluvio,
          non cristallo che lo copra d'argento.
          No.
          Io non voglio vederlo!
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            Scritta da: Marzia Ornofoli
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Vita nuova da rosa mistica

            Stavo dinanzi al mare arido e le onde
            Con gli spruzzi sul viso nei capelli
            Mi colpivano. Lunghi fuochi rossi
            Ardevano nel cielo, urlava il vento.
            Verso terra stridevano i gabbiani.
            "Perché" gridai "la mia vita è di dolore,
            e come il mare i miei campi turbinosi
            Non producono alcun frutto?"
            Erano lacere, squartate le mie reti.
            Tuttavia, come un ultimo dado le gettai
            Nel mare, e attesi.
            Non la fine apparve, lo splendore
            Dalle acque nere del passato
            Emerse in membra candide!
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              Scritta da: Julie Gensini
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Lucinda Matlock

              Andavo a ballare a Chandlerville
              e giocavo alle carte a Winchester.
              Una volta cambiammo compagni
              ritornando in carrozza sotto la luna di giugno,
              e così conobbi Davis.
              Ci sposammo e vivemmo insieme settant'anni.
              Filavo, tessevo, curavo la casa, vegliavo i malati,
              coltivavo il giardino e, la festa,
              andavo spesso per i campi dove cantano le allodole,
              e lungo lo Spoon raccogliendo tante conchiglie,
              e tanti fiori e tante erbe medicinali-
              gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
              A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
              e passai ad un dolce riposo.
              Cos'è questo che sento di dolori e stanchezza
              e ira, scontento e speranze fallite?
              Figli e figlie degeneri,
              la Vita è troppo forte per voi-
              ci vuole vita per amare la Vita...
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                in Poesie (Poesie d'Autore)

                La tragedia delle foglie

                Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
                le piante in vaso gialle come grano;
                la mia donna era sparita
                e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
                mi cingevano con la loro inutilità;
                c'era ancora un bel sole, però,
                e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo
                e senza pretese; ora quello che ci voleva
                era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare
                sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo
                perché esiste, solo per questo;
                sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
                l'uomo che un tempo era stato giovane e,
                così dicevano, geniale; ma
                questa è la tragedia delle foglie,
                le felci morte, le piante morte;
                ed entrai in una sala buia
                dove stava la padrona di casa
                insultante e ultimativa,
                mandandomi all'inferno,
                mulinando i braccioni sudati
                e strillando
                strillando che voleva i soldi dell'affitto
                perché il mondo ci aveva tradito
                tutt'e due.
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                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Più degna di vederlo, potrò essere
                  Perché il lungo Impedimento - la Grazia - in Me -
                  Con Estati, e con Inverni, farà crescere,
                  Trascorso qualche Anno - Un aspetto mi darà

                  Da farmi la più bella della Terra -
                  l'Attesa - allora - apparirà così preziosa
                  Che attribuirò una pena dimezzata
                  Alla colpa di esser stata scelta - allora -

                  è tempo di pregustare il Suo Sguardo -
                  Dapprima - Delizia - e poi - Sorpresa -
                  Quel volgersi ripetuto al mio volto
                  Per Accertare che sia la Grazia -

                  Lasciata dietro di sé Un Giorno - Tanto minore
                  Da cercare la Prova, che Quella - sia Questa -

                  Io devo solo non diventare così nuova
                  Da farlo sbagliare - e chiedere di me
                  a me - quando subito verso la Porta
                  Andrò - per non andare più Altrove -

                  Io devo solo non tramutarmi in così bella
                  Da farlo sospirare - "l'Altra - Lei - Dov'è?"
                  L'Amore, tuttavia, m'istruirà a dovere
                  Sarò perfetta - ai Suoi occhi -

                  Se Egli percepirà l'altra Verità -
                  In una più Eccellente Gioventù -

                  Com'è dolce non essersi privata Invano -
                  Ma guadagnare - con la perdita - Col Dolore - ottenere -
                  La Bellezza che Lo compensi al meglio -
                  La Bellezza della Domanda - Acquietata.
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