..uno sbaglio di natura il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità....
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..uno sbaglio di natura il punto morto del mondo, l'anello che non tiene, il filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità....
Controluce a un tramonto
di pesca e zucchero.
E il sole all'interno del vespro,
come il nocciolo in un frutto.
La pannocchia serba intatto
il suo riso giallo e duro.
Agosto.
I bambini mangiano
pane scuro e saporita luna.
Sogno d'un dì d'estate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule pel filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate.
Scendea tra gli olmi il sole
in fascie polverose;
erano in ciel due sole
nuvole, tenui, róse:
due bianche spennellate
in tutto il ciel turchino.
Siepi di melograno,
fratte di tamerice,
il palpito lontano
d'una trebbiatrice,
l'angelus argentino...
dov'ero? Le campane
mi dissero dov'ero,
piangendo, mentre un cane
latrava al forestiero,
che andava a capo chino.
Presso il rudere un pezzente
cena tra le due fontane:
pane alterna egli col pane,
volti gli occhi all'occidente.
Fa un incanto nella mente:
carne è fatto, ecco, l'un pane.
Tra il gracchiare delle rane
sciala il mago sapiente.
Sorge e beve alle due fonti:
chiara beve acqua nell'una,
ma nell'altra un dolce vino.
Giace e guarda: sopra i monti
sparge il lume della luna;
getta l'arti al ciel turchino,
baldacchino
di mirabile lavoro,
ch'ei trapunta a stelle d'oro.
A mezzo il giorno
sul Mare etrusco
pallido verdicante
come il dissepolto
bronzo dagli ipogei, grava
la bonaccia. Non bava
di vento intorno
alita. Non trema canna
su la solitaria
spiaggia aspra di rusco,
di ginepri arsi. Non suona
voce, se acolto.
Riga di vele in panna
verso Livorno
biancica. Pel chiaro
silenzio il Capo Corvo
l'isola del Faro
scorgo; e più lontane,
forme d'aria nell'aria,
l'isole del tuo sdegno,
o padre Dante,
la Capraia e la Gorgona.
Marmorea corona
di minaccevoli punte,
le grandi Alpi Apuane
regnano il regno amaro,
dal loro orgoglio assunte.
La foce è come salso
stagno. Del marin colore,
per mezzo alle capanne,
per entro alle reti
che pendono dalla croce
degli staggi, si tace.
Come il bronzo sepolcrale
pallida verdica in pace
quella che sorridea.
Quasi letèa,
obliviosa, eguale,
segno non mostra
di corrente, non ruga
d'aura. La fuga
delle due rive
si chiude come in un cerchio
di canne, che circonscrive
l'oblío silente; e le canne
non han susurri. Più foschi
i boschi di San Rossore
fan di sé cupa chiostra;
ma i più lontani,
verso il Gombo, verso il Serchio,
son quasi azzurri.
Dormono i Monti Pisani
coperti da inerti
cumuli di vapore.
Bonaccia, calura,
per ovunque silenzio.
L'Estate si matura
sul mio capo come un pomo
che promesso mi sia,
che cogliere io debba
con la mia mano,
che suggere io debba
con le mie labbra solo.
Perduta è ogni traccia
dell'uomo. Voce non suona,
se ascolto. Ogni duolo
umano m'abbandona.
Non ho più nome.
E sento che il mio vólto
s'indora dell'oro
meridiano,
e che la mia bionda
barba riluce
come la paglia marina;
sento che il lido rigato
con sì delicato
lavoro dell'onda
e dal vento è come
il mio palato, è come
il cavo della mia mano
ove il tatto s'affina.
E la mia forza supina
si stampa nell'arena,
diffondesi nel mare;
e il fiume è la mia vena,
il monte è la mia fronte,
la selva è la mia pube,
la nube è il mio sudore.
E io sono nel fiore
della stiancia, nella scaglia
della pina, nella bacca,
del ginepro: io son nel fuco,
nella paglia marina,
in ogni cosa esigua,
in ogni cosa immane,
nella sabbia contigua,
nelle vette lontane.
Ardo, riluco.
E non ho più nome.
E l'alpi e l'isole e i golfi
e i capi e i fari e i boschi
e le foci ch'io nomai
non han più l'usato nome
che suona in labbra umane.
Non ho più nome né sorte
tra gli uomini; ma il mio nome
è Meriggio. In tutto io vivo
tacito come la Morte.
E la mia vita è divina.
Per fare un prato occorrono un trifoglio ed un'ape, -
Un trifoglio ed un'ape
E il sogno.
Il sogno può bastare
Se le api sono poche.
Viene il freddo. Giri per dirlo
tu, sgricciolo, intorno le siepi;
e sentire fai nel tuo zirlo
lo strido di gelo che crepi.
Il tuo trillo sembra la brina
che sgrigiola, il vetro che incrina...
trr trr trr terit tirit...
Viene il verno. Nella tua voce
c'è il verno tutt'arido e tecco.
Tu somigli un guscio di noce,
che ruzzola con rumor secco.
T'ha insegnato il breve tuo trillo
con l'elitre tremule il grillo...
trr trr trr terit tirit...
Nel tuo verso suona scrio scrio,
con piccoli crepiti e stiocchi,
il segreto scricchiolettio
di quella catasta di ciocchi.
Uno scricchiolettio ti parve
d'udirvi cercando le larve...
trr trr trr terit tirit...
Tutto, intorno, screpola rotto.
Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
Così rompere odi lì sotto,
così screpolare lì dietro.
Oh! lì dentro vedi una vecchia
che fiacca la stipa e la grecchia...
trr trr trr terit tirit...
Vedi il lume, vedi la vampa.
Tu frulli dal vetro alla fratta.
Ecco un tizzo soffia, una stiampa
già croscia, una scorza già scatta.
Ecco nella grigia casetta
l'allegra fiammata scoppietta...
trr trr trr terit tirit...
Fuori, in terra, frusciano foglie
cadute. Nell'Alpe lontana
ce n'è un mucchio grande che accoglie
la verde tua palla di lana.
Nido verde tra foglie morte,
che fanno, ad un soffio più forte...
trr trr trr terit tirit...
Forse era ver, ma non però credibile
a chi del senso suo fosse signore;
ma parve facilmente a lui possibile,
ch'era perduto in via più grave errore.
Quel che l'uom vede, Amor gli fa invisibiIe,
e l'invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fu; che 'l miser suole
dar facile credenza a quel che vuole.
Non voglio vederlo!
Di' alla luna che si mostri;
non voglio vedere il sangue
d'Ignazio sopra l'arena.
Non voglio vederlo!
È spalancata la luna.
Cavallo di calme nubi
e circo grigio del sogno
con salici in prima fila.
Non voglio vederlo!
Il mio ricordo si brucia.
Avvisate i gelsomini
di minuscolo candore!
Non voglio vederlo!
La vacca del vecchio mondo
passava la triste sua lingua
sopra un muso di grumi
di sangue in terra versato.
Ed i tori di Guisando,
quasi morte e quasi pietra,
mugghiaron come due secoli
sazi di premere il suolo.
No.
Non voglio vederlo!
Sale Ignazio sui gradini,
tutta la sua morte a spalla.
Andava in cerca dell'alba
e l'alba non esisteva.
Cerca il suo fermo profilo
e il sogno lo disorienta.
Il suo bel corpo cercava
e trovò il suo sangue aperto.
Non ditemi di vederlo!
Non voglio sentire il getto
che sempre più s'affioca;
il getto che le tribune
illumina e si riversa
sopra il fustagno ed il cuoio,
della folla sitibonda.
Chi mi grida di mostrarmi!
Non ditemi di vederlo.
Non si chiusero i suoi occhi
nel vedersi lì le corna;
ma le terribili madri
rizzarono allora il capo.
Ed attraverso gli allevamenti
corse un vento di voci segrete,
a tori celesti gridate
da mandriani di pallida nebbia.
Non principe di Siviglia
potrebbe essergli pari,
né spada come la sua
né cuore del suo più vero.
Come un fiume di leoni
il suo stupendo vigore,
e come un torso di marmo
la sua lineata saggezza.
Aria di Roma andalusa
gli dorava la testa
dove il suo riso era un nardo
di sale e d'intelligenza.
Che gran torero in arena!
Che buon montanaro ai monti!
Quanto mite con le spighe!
Quanto duro con gli sproni!
Tenero con la rugiada!
Che bagliore nella fiera!
Quanto tremendo con l'ultime
banderillas della tenebra!
Ma ora dorme in eterno.
Ora i muschi e l'erba dischiudono
con loro dita sicure
il fiore del suo teschio.
E il suo sangue ora viene cantando:
cantando per maremme e praterie,
sdrucciolando su corna intirizzite;
senz'anima vacilla nella nebbia.
In migliaia di zoccoli inciampando
come una lunga, oscura, triste lingua,
per formare una pozza d'agonia
presso il Guadalquivir del firmamento.
Oh bianco muro di Spagna!
Oh nero toro di pena!
Oh sangue duro d'Ignazio!
Oh usignolo delle sue vene!
No.
Non voglio vederlo!
Un calice non v'è che lo contenga,
non vi son rondinelle che lo bevano,
non v'è brina di luce che lo geli,
non di gigli v'è canto né diluvio,
non cristallo che lo copra d'argento.
No.
Io non voglio vederlo!
Più degna di vederlo, potrò essere
Perché il lungo Impedimento - la Grazia - in Me -
Con Estati, e con Inverni, farà crescere,
Trascorso qualche Anno - Un aspetto mi darà
Da farmi la più bella della Terra -
l'Attesa - allora - apparirà così preziosa
Che attribuirò una pena dimezzata
Alla colpa di esser stata scelta - allora -
è tempo di pregustare il Suo Sguardo -
Dapprima - Delizia - e poi - Sorpresa -
Quel volgersi ripetuto al mio volto
Per Accertare che sia la Grazia -
Lasciata dietro di sé Un Giorno - Tanto minore
Da cercare la Prova, che Quella - sia Questa -
Io devo solo non diventare così nuova
Da farlo sbagliare - e chiedere di me
a me - quando subito verso la Porta
Andrò - per non andare più Altrove -
Io devo solo non tramutarmi in così bella
Da farlo sospirare - "l'Altra - Lei - Dov'è?"
L'Amore, tuttavia, m'istruirà a dovere
Sarò perfetta - ai Suoi occhi -
Se Egli percepirà l'altra Verità -
In una più Eccellente Gioventù -
Com'è dolce non essersi privata Invano -
Ma guadagnare - con la perdita - Col Dolore - ottenere -
La Bellezza che Lo compensi al meglio -
La Bellezza della Domanda - Acquietata.