Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

Temporale

È mezzodì. Rintomba.
Tacciono le cicale
nelle stridule seccie.
E chiaro un tuon rimbomba
dopo uno stanco, uguale,
rotolare di breccie.
Rondini ad ali aperte
fanno echeggiar la loggia
dè lor piccoli scoppi.
Già, dopo l'afa inerte,
fanno rumor di pioggia
le fogline dei pioppi.
Un tuon sgretola l'aria.
Sembra venuto sera.
Picchia ogni anta su l'anta.
Serrano. Solitaria
s'ode una capinera,
là, che canta... che canta...
E l'acqua cade, a grosse
goccie, poi giù a torrenti,
sopra i fumidi campi.
S'è sfatto il cielo: a scosse
v'entrano urlando i venti
e vi sbisciano i lampi.
Cresce in un gran sussulto
l'acqua, dopo ogni rotto
schianto ch'aspro diroccia;
mentre, col suo singulto
trepido, passa sotto
l'acquazzone una chioccia.
Appena tace il tuono,
che quando al fin già pare,
fa tremare ogni vetro,
tra il vento e l'acqua, buono,
s'ode quel croccolare
cò suoi pigolìi dietro.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    O poesia poesia poesia

    O poesia poesia poesia
    Sorgi, sorgi, sorgi
    Su dalla febbre elettrica del selciato notturno.
    Sfrenati dalle elastiche silhouttes equivoche
    Guizza nello scatto e nell'urlo improvviso
    Sopra l'anonima fucileria monotona
    Delle voci instancabili come i flutti
    Stride la troia perversa al quadrivio
    Poiché l'elegantone le rubò il cagnolino
    Saltella una cocotte cavalletta
    Da un marciapiede a un altro tutta verde
    E scortica le mie midolla il raschio ferrigno del tram
    Silenzio - un gesto fulmineo
    Ha generato una pioggia di stelle
    Da un fianco che piega e rovina sotto il colpo prestigioso
    In un mantello di sangue vellutato occhieggiante
    Silenzio ancora. Commenta secco
    E sordo un revolver che annuncia
    E chiude un altro destino.
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      in Poesie (Poesie d'Autore)
      Perché l'età ne'nvola
      il desir cieco e sordo,
      con la morte m'accordo,
      stanco e vicino all'ultima parola.
      L'alma che teme e cola
      quel che l'occhio non vede,
      come da cosa perigliosa e vaga,
      dal tuo bel volto, donna, m'allontana.
      Amor, ch'al ver non cede,
      di nuovo il cor m'appaga
      di foco e speme; e non già cosa umana
      mi par, mi dice, amar...
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        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        L'uccellino del freddo

        Viene il freddo. Giri per dirlo
        tu, sgricciolo, intorno le siepi;
        e sentire fai nel tuo zirlo
        lo strido di gelo che crepi.
        Il tuo trillo sembra la brina
        che sgrigiola, il vetro che incrina...
        trr trr trr terit tirit...
        Viene il verno. Nella tua voce
        c'è il verno tutt'arido e tecco.
        Tu somigli un guscio di noce,
        che ruzzola con rumor secco.
        T'ha insegnato il breve tuo trillo
        con l'elitre tremule il grillo...
        trr trr trr terit tirit...
        Nel tuo verso suona scrio scrio,
        con piccoli crepiti e stiocchi,
        il segreto scricchiolettio
        di quella catasta di ciocchi.
        Uno scricchiolettio ti parve
        d'udirvi cercando le larve...
        trr trr trr terit tirit...
        Tutto, intorno, screpola rotto.
        Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
        Così rompere odi lì sotto,
        così screpolare lì dietro.
        Oh! lì dentro vedi una vecchia
        che fiacca la stipa e la grecchia...
        trr trr trr terit tirit...
        Vedi il lume, vedi la vampa.
        Tu frulli dal vetro alla fratta.
        Ecco un tizzo soffia, una stiampa
        già croscia, una scorza già scatta.
        Ecco nella grigia casetta
        l'allegra fiammata scoppietta...
        trr trr trr terit tirit...
        Fuori, in terra, frusciano foglie
        cadute. Nell'Alpe lontana
        ce n'è un mucchio grande che accoglie
        la verde tua palla di lana.
        Nido verde tra foglie morte,
        che fanno, ad un soffio più forte...
        trr trr trr terit tirit...
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          Scritta da: Silvana Stremiz
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Il desiderio

          Io non invidio ai vati
          Le lodi e i sacri allori,
          Nè curo i pregi e gli ori
          D'un duce o d'un sovran.
               Saran miei dì beati
          Se avrò il mio crine cinto
          Di serto vario-pinto
          Tessuto di tua man.
               Saran miei dì beati
          Se in mezzo a bosco ombroso
          Il volto tuo vezzoso
          Godrommi a contemplar.
               Che bel vederci allora
          Mille cambiar sembianti,
          E direi: O cori amanti,
          Cessate il palpitar!
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            Scritta da: Francesca Oniram
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Corrispondenze

            La natura è un tempio in cui viventi
            colonne lasciano talvolta sfuggire
            confuse parole; l'uomo vi passa,
            attraverso foreste di simboli,
            che lo guardano con sguardi
            familiari.
            Simili a lunghi echi,
            che di lontano si confondano
            in una tenebrosa e profonda unità
            – vasta come la notte e la luce –
            i profumi, i colori e i suoni si rispondono.
            Profumi freschi come carni di bimbi,
            dolci come il suono dell'oboe,
            verdi come praterie.
            Ed altri corrotti, ricchi e trionfanti,
            vasti come le cose infinite:
            l'ambra, il muschio, il benzoino
            e l'incenso, che cantano
            i rapimenti dello spirito e dei sensi.
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              Scritta da: Anna Alleva
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Compianto per Ignazio Sánchez Mejías - il sangue sparso

              Non voglio vederlo!
              Di' alla luna che si mostri;
              non voglio vedere il sangue
              d'Ignazio sopra l'arena.
              Non voglio vederlo!
              È spalancata la luna.
              Cavallo di calme nubi
              e circo grigio del sogno
              con salici in prima fila.
              Non voglio vederlo!
              Il mio ricordo si brucia.
              Avvisate i gelsomini
              di minuscolo candore!
              Non voglio vederlo!
              La vacca del vecchio mondo
              passava la triste sua lingua
              sopra un muso di grumi
              di sangue in terra versato.
              Ed i tori di Guisando,
              quasi morte e quasi pietra,
              mugghiaron come due secoli
              sazi di premere il suolo.
              No.
              Non voglio vederlo!
              Sale Ignazio sui gradini,
              tutta la sua morte a spalla.
              Andava in cerca dell'alba
              e l'alba non esisteva.
              Cerca il suo fermo profilo
              e il sogno lo disorienta.
              Il suo bel corpo cercava
              e trovò il suo sangue aperto.
              Non ditemi di vederlo!
              Non voglio sentire il getto
              che sempre più s'affioca;
              il getto che le tribune
              illumina e si riversa
              sopra il fustagno ed il cuoio,
              della folla sitibonda.
              Chi mi grida di mostrarmi!
              Non ditemi di vederlo.
              Non si chiusero i suoi occhi
              nel vedersi lì le corna;
              ma le terribili madri
              rizzarono allora il capo.
              Ed attraverso gli allevamenti
              corse un vento di voci segrete,
              a tori celesti gridate
              da mandriani di pallida nebbia.
              Non principe di Siviglia
              potrebbe essergli pari,
              né spada come la sua
              né cuore del suo più vero.
              Come un fiume di leoni
              il suo stupendo vigore,
              e come un torso di marmo
              la sua lineata saggezza.
              Aria di Roma andalusa
              gli dorava la testa
              dove il suo riso era un nardo
              di sale e d'intelligenza.
              Che gran torero in arena!
              Che buon montanaro ai monti!
              Quanto mite con le spighe!
              Quanto duro con gli sproni!
              Tenero con la rugiada!
              Che bagliore nella fiera!
              Quanto tremendo con l'ultime
              banderillas della tenebra!
              Ma ora dorme in eterno.
              Ora i muschi e l'erba dischiudono
              con loro dita sicure
              il fiore del suo teschio.
              E il suo sangue ora viene cantando:
              cantando per maremme e praterie,
              sdrucciolando su corna intirizzite;
              senz'anima vacilla nella nebbia.
              In migliaia di zoccoli inciampando
              come una lunga, oscura, triste lingua,
              per formare una pozza d'agonia
              presso il Guadalquivir del firmamento.
              Oh bianco muro di Spagna!
              Oh nero toro di pena!
              Oh sangue duro d'Ignazio!
              Oh usignolo delle sue vene!
              No.
              Non voglio vederlo!
              Un calice non v'è che lo contenga,
              non vi son rondinelle che lo bevano,
              non v'è brina di luce che lo geli,
              non di gigli v'è canto né diluvio,
              non cristallo che lo copra d'argento.
              No.
              Io non voglio vederlo!
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                Scritta da: Julie Gensini
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Lucinda Matlock

                Andavo a ballare a Chandlerville
                e giocavo alle carte a Winchester.
                Una volta cambiammo compagni
                ritornando in carrozza sotto la luna di giugno,
                e così conobbi Davis.
                Ci sposammo e vivemmo insieme settant'anni.
                Filavo, tessevo, curavo la casa, vegliavo i malati,
                coltivavo il giardino e, la festa,
                andavo spesso per i campi dove cantano le allodole,
                e lungo lo Spoon raccogliendo tante conchiglie,
                e tanti fiori e tante erbe medicinali-
                gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
                A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
                e passai ad un dolce riposo.
                Cos'è questo che sento di dolori e stanchezza
                e ira, scontento e speranze fallite?
                Figli e figlie degeneri,
                la Vita è troppo forte per voi-
                ci vuole vita per amare la Vita...
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