Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Silvana Stremiz
in Poesie (Poesie d'Autore)

O poesia poesia poesia

O poesia poesia poesia
Sorgi, sorgi, sorgi
Su dalla febbre elettrica del selciato notturno.
Sfrenati dalle elastiche silhouttes equivoche
Guizza nello scatto e nell'urlo improvviso
Sopra l'anonima fucileria monotona
Delle voci instancabili come i flutti
Stride la troia perversa al quadrivio
Poiché l'elegantone le rubò il cagnolino
Saltella una cocotte cavalletta
Da un marciapiede a un altro tutta verde
E scortica le mie midolla il raschio ferrigno del tram
Silenzio - un gesto fulmineo
Ha generato una pioggia di stelle
Da un fianco che piega e rovina sotto il colpo prestigioso
In un mantello di sangue vellutato occhieggiante
Silenzio ancora. Commenta secco
E sordo un revolver che annuncia
E chiude un altro destino.
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    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    L'uccellino del freddo

    Viene il freddo. Giri per dirlo
    tu, sgricciolo, intorno le siepi;
    e sentire fai nel tuo zirlo
    lo strido di gelo che crepi.
    Il tuo trillo sembra la brina
    che sgrigiola, il vetro che incrina...
    trr trr trr terit tirit...
    Viene il verno. Nella tua voce
    c'è il verno tutt'arido e tecco.
    Tu somigli un guscio di noce,
    che ruzzola con rumor secco.
    T'ha insegnato il breve tuo trillo
    con l'elitre tremule il grillo...
    trr trr trr terit tirit...
    Nel tuo verso suona scrio scrio,
    con piccoli crepiti e stiocchi,
    il segreto scricchiolettio
    di quella catasta di ciocchi.
    Uno scricchiolettio ti parve
    d'udirvi cercando le larve...
    trr trr trr terit tirit...
    Tutto, intorno, screpola rotto.
    Tu frulli ad un tetto, ad un vetro.
    Così rompere odi lì sotto,
    così screpolare lì dietro.
    Oh! lì dentro vedi una vecchia
    che fiacca la stipa e la grecchia...
    trr trr trr terit tirit...
    Vedi il lume, vedi la vampa.
    Tu frulli dal vetro alla fratta.
    Ecco un tizzo soffia, una stiampa
    già croscia, una scorza già scatta.
    Ecco nella grigia casetta
    l'allegra fiammata scoppietta...
    trr trr trr terit tirit...
    Fuori, in terra, frusciano foglie
    cadute. Nell'Alpe lontana
    ce n'è un mucchio grande che accoglie
    la verde tua palla di lana.
    Nido verde tra foglie morte,
    che fanno, ad un soffio più forte...
    trr trr trr terit tirit...
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      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Il desiderio

      Io non invidio ai vati
      Le lodi e i sacri allori,
      Nè curo i pregi e gli ori
      D'un duce o d'un sovran.
           Saran miei dì beati
      Se avrò il mio crine cinto
      Di serto vario-pinto
      Tessuto di tua man.
           Saran miei dì beati
      Se in mezzo a bosco ombroso
      Il volto tuo vezzoso
      Godrommi a contemplar.
           Che bel vederci allora
      Mille cambiar sembianti,
      E direi: O cori amanti,
      Cessate il palpitar!
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        Scritta da: Francesca Oniram
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        Corrispondenze

        La natura è un tempio in cui viventi
        colonne lasciano talvolta sfuggire
        confuse parole; l'uomo vi passa,
        attraverso foreste di simboli,
        che lo guardano con sguardi
        familiari.
        Simili a lunghi echi,
        che di lontano si confondano
        in una tenebrosa e profonda unità
        – vasta come la notte e la luce –
        i profumi, i colori e i suoni si rispondono.
        Profumi freschi come carni di bimbi,
        dolci come il suono dell'oboe,
        verdi come praterie.
        Ed altri corrotti, ricchi e trionfanti,
        vasti come le cose infinite:
        l'ambra, il muschio, il benzoino
        e l'incenso, che cantano
        i rapimenti dello spirito e dei sensi.
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          Scritta da: Anna Alleva
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Compianto per Ignazio Sánchez Mejías - il sangue sparso

          Non voglio vederlo!
          Di' alla luna che si mostri;
          non voglio vedere il sangue
          d'Ignazio sopra l'arena.
          Non voglio vederlo!
          È spalancata la luna.
          Cavallo di calme nubi
          e circo grigio del sogno
          con salici in prima fila.
          Non voglio vederlo!
          Il mio ricordo si brucia.
          Avvisate i gelsomini
          di minuscolo candore!
          Non voglio vederlo!
          La vacca del vecchio mondo
          passava la triste sua lingua
          sopra un muso di grumi
          di sangue in terra versato.
          Ed i tori di Guisando,
          quasi morte e quasi pietra,
          mugghiaron come due secoli
          sazi di premere il suolo.
          No.
          Non voglio vederlo!
          Sale Ignazio sui gradini,
          tutta la sua morte a spalla.
          Andava in cerca dell'alba
          e l'alba non esisteva.
          Cerca il suo fermo profilo
          e il sogno lo disorienta.
          Il suo bel corpo cercava
          e trovò il suo sangue aperto.
          Non ditemi di vederlo!
          Non voglio sentire il getto
          che sempre più s'affioca;
          il getto che le tribune
          illumina e si riversa
          sopra il fustagno ed il cuoio,
          della folla sitibonda.
          Chi mi grida di mostrarmi!
          Non ditemi di vederlo.
          Non si chiusero i suoi occhi
          nel vedersi lì le corna;
          ma le terribili madri
          rizzarono allora il capo.
          Ed attraverso gli allevamenti
          corse un vento di voci segrete,
          a tori celesti gridate
          da mandriani di pallida nebbia.
          Non principe di Siviglia
          potrebbe essergli pari,
          né spada come la sua
          né cuore del suo più vero.
          Come un fiume di leoni
          il suo stupendo vigore,
          e come un torso di marmo
          la sua lineata saggezza.
          Aria di Roma andalusa
          gli dorava la testa
          dove il suo riso era un nardo
          di sale e d'intelligenza.
          Che gran torero in arena!
          Che buon montanaro ai monti!
          Quanto mite con le spighe!
          Quanto duro con gli sproni!
          Tenero con la rugiada!
          Che bagliore nella fiera!
          Quanto tremendo con l'ultime
          banderillas della tenebra!
          Ma ora dorme in eterno.
          Ora i muschi e l'erba dischiudono
          con loro dita sicure
          il fiore del suo teschio.
          E il suo sangue ora viene cantando:
          cantando per maremme e praterie,
          sdrucciolando su corna intirizzite;
          senz'anima vacilla nella nebbia.
          In migliaia di zoccoli inciampando
          come una lunga, oscura, triste lingua,
          per formare una pozza d'agonia
          presso il Guadalquivir del firmamento.
          Oh bianco muro di Spagna!
          Oh nero toro di pena!
          Oh sangue duro d'Ignazio!
          Oh usignolo delle sue vene!
          No.
          Non voglio vederlo!
          Un calice non v'è che lo contenga,
          non vi son rondinelle che lo bevano,
          non v'è brina di luce che lo geli,
          non di gigli v'è canto né diluvio,
          non cristallo che lo copra d'argento.
          No.
          Io non voglio vederlo!
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            Scritta da: Marzia Ornofoli
            in Poesie (Poesie d'Autore)

            Vita nuova da rosa mistica

            Stavo dinanzi al mare arido e le onde
            Con gli spruzzi sul viso nei capelli
            Mi colpivano. Lunghi fuochi rossi
            Ardevano nel cielo, urlava il vento.
            Verso terra stridevano i gabbiani.
            "Perché" gridai "la mia vita è di dolore,
            e come il mare i miei campi turbinosi
            Non producono alcun frutto?"
            Erano lacere, squartate le mie reti.
            Tuttavia, come un ultimo dado le gettai
            Nel mare, e attesi.
            Non la fine apparve, lo splendore
            Dalle acque nere del passato
            Emerse in membra candide!
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              Scritta da: Julie Gensini
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Lucinda Matlock

              Andavo a ballare a Chandlerville
              e giocavo alle carte a Winchester.
              Una volta cambiammo compagni
              ritornando in carrozza sotto la luna di giugno,
              e così conobbi Davis.
              Ci sposammo e vivemmo insieme settant'anni.
              Filavo, tessevo, curavo la casa, vegliavo i malati,
              coltivavo il giardino e, la festa,
              andavo spesso per i campi dove cantano le allodole,
              e lungo lo Spoon raccogliendo tante conchiglie,
              e tanti fiori e tante erbe medicinali-
              gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
              A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
              e passai ad un dolce riposo.
              Cos'è questo che sento di dolori e stanchezza
              e ira, scontento e speranze fallite?
              Figli e figlie degeneri,
              la Vita è troppo forte per voi-
              ci vuole vita per amare la Vita...
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                in Poesie (Poesie d'Autore)

                La tragedia delle foglie

                Mi destai alla siccità e le felci erano morte,
                le piante in vaso gialle come grano;
                la mia donna era sparita
                e i cadaveri dissanguati delle bottiglie vuote
                mi cingevano con la loro inutilità;
                c'era ancora un bel sole, però,
                e il biglietto della padrona ardeva d'un giallo caldo
                e senza pretese; ora quello che ci voleva
                era un buon attore, all'antica, un burlone capace di scherzare
                sull'assurdità del dolore; il dolore è assurdo
                perché esiste, solo per questo;
                sbarbai accuratamente con un vecchio rasoio
                l'uomo che un tempo era stato giovane e,
                così dicevano, geniale; ma
                questa è la tragedia delle foglie,
                le felci morte, le piante morte;
                ed entrai in una sala buia
                dove stava la padrona di casa
                insultante e ultimativa,
                mandandomi all'inferno,
                mulinando i braccioni sudati
                e strillando
                strillando che voleva i soldi dell'affitto
                perché il mondo ci aveva tradito
                tutt'e due.
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                  in Poesie (Poesie d'Autore)
                  Più degna di vederlo, potrò essere
                  Perché il lungo Impedimento - la Grazia - in Me -
                  Con Estati, e con Inverni, farà crescere,
                  Trascorso qualche Anno - Un aspetto mi darà

                  Da farmi la più bella della Terra -
                  l'Attesa - allora - apparirà così preziosa
                  Che attribuirò una pena dimezzata
                  Alla colpa di esser stata scelta - allora -

                  è tempo di pregustare il Suo Sguardo -
                  Dapprima - Delizia - e poi - Sorpresa -
                  Quel volgersi ripetuto al mio volto
                  Per Accertare che sia la Grazia -

                  Lasciata dietro di sé Un Giorno - Tanto minore
                  Da cercare la Prova, che Quella - sia Questa -

                  Io devo solo non diventare così nuova
                  Da farlo sbagliare - e chiedere di me
                  a me - quando subito verso la Porta
                  Andrò - per non andare più Altrove -

                  Io devo solo non tramutarmi in così bella
                  Da farlo sospirare - "l'Altra - Lei - Dov'è?"
                  L'Amore, tuttavia, m'istruirà a dovere
                  Sarò perfetta - ai Suoi occhi -

                  Se Egli percepirà l'altra Verità -
                  In una più Eccellente Gioventù -

                  Com'è dolce non essersi privata Invano -
                  Ma guadagnare - con la perdita - Col Dolore - ottenere -
                  La Bellezza che Lo compensi al meglio -
                  La Bellezza della Domanda - Acquietata.
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