Poesie d'Autore migliori


Scritta da: Elisa Iacobellis
in Poesie (Poesie d'Autore)

Sto segnando da tempo ...

Sto segnando da tempo con croci di fuoco
l'atlante bianco del tuo corpo.
La mia bocca era un ragno che passava nascondendosi.
In te, dietro te, timorosa, assetata.

Storie da raccontarti sulla sponda della sera,
perché tu non sia triste, bambola triste e dolce.
Un cigno, un albero, qualcosa che è lontano e gioioso.
La stagione dell'uva, la stagione matura e piena di frutti.

Io che ho vissuto in un porto e da lì ti amavo.
La solitudine solcata di sogno e di silenzio.
Rinchiuso tra il mare e la tristezza.
Silenzioso, delirante, tra due gondolieri immobili.

Tra le labbra e la voce, qualcosa va morendo.
Qualcosa che ha ali d'uccello, fatto d'angoscia e d'oblio.
Così come e reti non trattengono l'acqua.
Bambola mia, restano solo gocce tremanti.
Eppure, qualcosa canta tra queste parole fugaci.
Qualcosa canta, qualcosa sale fino alla mia avida bocca.
Oh poterti celebrare con tutte le parole della gioia.
Cantare, bruciare, fuggire, come un campanile nelle mani di un folle.
Mia triste tenerezza, in cosa muti all'improvviso?
Quando o raggiunto il vertice più ardito e freddo
il mio cuore si chiude come un fiore notturno.
Vota la poesia: Commenta
    Scritta da: Silvana Stremiz
    in Poesie (Poesie d'Autore)

    Pioggia

    Cantava al buio d'aia in aia il gallo.
    E gracidò nel bosco la cornacchia:
    il sole si mostrava a finestrelle.
    Il sol dorò la nebbia della macchia,
    poi si nascose; e piovve a catinelle.
    Poi fra il cantare delle raganelle
    guizzò sui campi un raggio lungo e giallo.
    Stupìano i rondinotti dell'estate
    di quel sottile scendere di spille:
    era un brusìo con languide sorsate
    e chiazze larghe e picchi a mille a mille;
    poi singhiozzi, e gocciar rado di stille:
    di stille d'oro in coppe di cristallo.
    Vota la poesia: Commenta
      Scritta da: Silvana Stremiz
      in Poesie (Poesie d'Autore)

      Al padre

      Dove sull'acque viola
      era Messina, tra fili spezzati
      e macerie tu vai lungo binari
      e scambi col tuo berretto di gallo
      isolano. Il terremoto ribolle
      da due giorni, è dicembre d'uragani
      e mare avvelenato. Le nostre notti cadono
      nei carri merci e noi bestiame infantile
      contiamo sogni polverosi con i morti
      sfondati dai ferri, mordendo mandorle
      e mele dissecate a ghirlanda. La scienza
      del dolore mise verità e lame
      nei giochi dei bassopiani di malaria
      gialla e terzana gonfia di fango.

      La tua pazienza
      triste, delicata, ci rubò la paura,
      fu lezione di giorni uniti alla morte
      tradita, al vilipendio dei ladroni
      presi fra i rottami e giustiziati al buio
      dalla fucileria degli sbarchi, un conto
      di numeri bassi che tornava esatto
      concentrico, un bilancio di vita futura.

      Il tuo berretto di sole andava su e giù
      nel poco spazio che sempre ti hanno dato.
      Anche a me misurarono ogni cosa,
      e ho portato il tuo nome
      un po' più in là dell'odio e dell'invidia.
      Quel rosso del tuo capo era una mitria,
      una corona con le ali d'aquila.
      E ora nell'aquila dei tuoi novant'anni
      ho voluto parlare con te, coi tuoi segnali
      di partenza colorati dalla lanterna
      notturna, e qui da una ruota
      imperfetta del mondo,
      su una piena di muri serrati,
      lontano dai gelsomini d'Arabia
      dove ancora tu sei, per dirti
      ciò che non potevo un tempo - difficile affinità
      di pensieri - per dirti, e non ci ascoltano solo
      cicale del biviere, agavi lentischi,
      come il campiere dice al suo padrone:
      "Baciamu li mani". Questo, non altro.
      Oscuramente forte è la vita.
      Vota la poesia: Commenta
        Scritta da: Silvana Stremiz
        in Poesie (Poesie d'Autore)

        La verità

        Sino al trono di Dio
        anciò mio cor gli accenti,
        Che in murmure tremendo
        Rispondono i torrenti,
        E dalla ferrea calma
        Delle notti profonde
        Palma battendo a palma
        Ogni morto risponde.

        D'entusïasmo ho l'anima
        Albergo; e sol d'un Nume
        Io son cantor: degli angeli
        L'impenetrabil lume
        Circonda il mio pensiero,
        Ch'erto su lucid'ali,
        Sprezza l'invito altero
        Dè superbi mortali.

        E coronar di laudi
        Dovrò chi turpe e folle
        Splendido sol per l'auro
        Sa l'orgoglio s'estolle?
        Che dir deggio di lui?
        Pria di giustizia il brando
        Sù forti bracci sui
        Vada folgoreggiando;

        E canterò. Nettarea
        Da me non cerchi ei lode,
        Se a lutulenta in braccio
        Sorte tripudia e gode,
        E tra un'immensa schiera
        D'insania al carro avvinto
        scioglie con sua man nera
        A iniquitate il cinto.

        E tu chi sei che il titolo
        Santo d'amico usurpi?
        E vile d'amicizia
        L'aspetto almo deturpi?
        Chi sei tu che m'inviti
        Di gloria a spander raggio
        E a sciòrre inni graditi
        A chi in virtù è selvaggio?

        Non sai che santuario
        Al ver nell'alma alzai
        E che io del vero antistite
        Sempre d'esser giurai?
        Non sai che mercar fama
        Da tal canto non curo,
        E più dolce m'è brama
        Sul ver posarmi oscuro?

        Vero suonò di Davide
        Il pastoral concento,
        E a Dio piacque il veridico
        Suono, e tra cento e cento
        L'unse à popoli ebrei
        Rege di pace, e adorni
        D'illustri eventi e bèi
        Fè dell'uom giusto i giorni.

        E immagine d'obbrobrio
        Vuoi tu farmi, o profano?
        Oh! quell'immonda faccia
        Copriti con la mano
        Lungi da me: chi fia
        Cui faccian forza i detti
        Ch'io l'alta cetra mia
        Di ricca peste infetti!

        Garrir fole non odemi
        L'atrio di adulazione,
        E in questa solitudine
        Dall'aurata prigione
        Fuggo; esecrando il folle
        Che blandisce con mèle
        Il grande; e in sen gli bolle
        Rancor, invidia, e fiele.

        Dunque chi vuol, d'encomio
        Canti impudente intuoni
        Per lo tuo eroe; ch'io cantici
        Fra gli angelici suoni
        Ergo al Solopossente,
        Che dall'empirea sede
        Gl'inni in letizia sente
        Di verità e di fede.
        Vota la poesia: Commenta
          in Poesie (Poesie d'Autore)

          Sì, lo so, mio diletto

          Sì, lo so, mio diletto,
          nulla esiste se non il tuo amore:
          questa luce dorata
          che danza sulle foglie
          queste nubi pigre
          che navigano nel cielo
          questa brezza che passando
          lascia fresca la mia fronte.

          La luce del mattino
          ha inondato i miei occhi:
          questo è il tuo messaggio
          al mio cuore.
          Il tuo viso si è chinato su di me
          i tuoi occhi guardano nei miei
          e il mio cuore ha toccato i tuoi piedi.
          Vota la poesia: Commenta
            Scritta da: Andrea De Candia
            in Poesie (Poesie d'Autore)
            Senti l'azzurro armonioso dentro
            la statura dell'albero contento,

            le vette argentee delle mattinate
            ricordare all'umanità l'estate
            distesa dentro la zolla materna
            che nutre il corpo di un'essenza eterna.

            Senti rifarsi aereo e profondo
            il cantico del sangue che irrora
            la segreta verginità del mondo
            allo scoccare d'ogni nuova aurora.
            Vota la poesia: Commenta
              Scritta da: Silvana Stremiz
              in Poesie (Poesie d'Autore)

              Il canto popolare

              Improvviso il mille novecento
              cinquanta due passa sull'Italia:
              solo il popolo ne ha un sentimento
              vero: mai tolto al tempo, non l'abbaglia
              la modernità, benché sempre il più
              moderno sia esso, il popolo, spanto
              in borghi, in rioni, con gioventù
              sempre nuove - nuove al vecchio canto -
              a ripetere ingenuo quello che fu.

              Scotta il primo sole dolce dell'anno
              sopra i portici delle cittadine
              di provincia, sui paesi che sanno
              ancora di nevi, sulle appenniniche
              greggi: nelle vetrine dei capoluoghi
              i nuovi colori delle tele, i nuovi
              vestiti come in limpidi roghi
              dicono quanto oggi si rinnovi
              il mondo, che diverse gioie sfoghi...

              Ah, noi che viviamo in una sola
              generazione ogni generazione
              vissuta qui, in queste terre ora
              umiliate, non abbiamo nozione
              vera di chi è partecipe alla storia
              solo per orale, magica esperienza;
              e vive puro, non oltre la memoria
              della generazione in cui presenza
              della vita è la sua vita perentoria.

              Nella vita che è vita perché assunta
              nella nostra ragione e costruita
              per il nostro passaggio - e ora giunta
              a essere altra, oltre il nostro accanito
              difenderla - aspetta - cantando supino,
              accampato nei nostri quartieri
              a lui sconosciuti, e pronto fino
              dalle più fresche e inanimate ère -
              il popolo: muta in lui l'uomo il destino.

              E se ci rivolgiamo a quel passato
              ch'è nostro privilegio, altre fiumane
              di popolo ecco cantare: recuperato
              è il nostro moto fin dalle cristiane
              origini, ma resta indietro, immobile,
              quel canto. Si ripete uguale.
              Nelle sere non più torce ma globi
              di luce, e la periferia non pare
              altra, non altri i ragazzi nuovi...

              Tra gli orti cupi, al pigro solicello
              Adalbertos komis kurtis!, i ragazzini
              d'Ivrea gridano, e pei valloncelli
              di Toscana, con strilli di rondinini:
              Hor atorno fratt Helya! La santa
              violenza sui rozzi cuori il clero
              calca, rozzo, e li asserva a un'infanzia
              feroce nel feudo provinciale l'Impero
              da Iddio imposto: e il popolo canta.

              Un grande concerto di scalpelli
              sul Campidoglio, sul nuovo Appennino,
              sui Comuni sbiancati dalle Alpi,
              suona, giganteggiando il travertino
              nel nuovo spazio in cui s'affranca
              l'Uomo: e il manovale Dov'andastà
              jersera... ripete con l'anima spanta
              nel suo gotico mondo. Il mondo schiavitù
              resta nel popolo. E il popolo canta.

              Apprende il borghese nascente lo Ça ira,
              e trepidi nel vento napoleonico,
              all'Inno dell'Albero della Libertà,
              tremano i nuovi colori delle nazioni.
              Ma, cane affamato, difende il bracciante
              i suoi padroni, ne canta la ferocia,
              Guagliune 'e mala vita! In branchi
              feroci. La libertà non ha voce
              per il popolo cane. E il popolo canta.

              Ragazzo del popolo che canti,
              qui a Rebibbia sulla misera riva
              dell'Aniene la nuova canzonetta, vanti
              è vero, cantando, l'antica, la festiva
              leggerezza dei semplici. Ma quale
              dura certezza tu sollevi insieme
              d'imminente riscossa, in mezzo a ignari
              tuguri e grattacieli, allegro seme
              in cuore al triste mondo popolare.

              Nella tua incoscienza è la coscienza
              che in te la storia vuole, questa storia
              il cui Uomo non ha più che la violenza
              delle memorie, non la libera memoria...
              E ormai, forse, altra scelta non ha
              che dare alla sua ansia di giustizia
              la forza della tua felicità,
              e alla luce di un tempo che inizia
              la luce di chi è ciò che non sa.
              Vota la poesia: Commenta
                Scritta da: Antonella Marotta
                in Poesie (Poesie d'Autore)

                Io che come un sonnambulo cammino

                Io che come un sonnambulo cammino
                per le mie trite vie quotidiane,
                vedendoti dinanzi a me trasalgo.

                Tu mi cammini innanzi lenta come
                una regina.
                Regolo il mio passo
                io subito destato dal mio sonno
                sul tuo ch'è come una sapiente musica.
                E possibilità d'amore e gloria
                mi s'affacciano al cuore e me lo gonfiano.
                Pei riccioletti folli d'una nuca
                per l'ala d'un cappello io posso ancora
                alleggerirmi della mia tristezza.
                Io sono ancora giovane, inesperto
                col cuore pronto a tutte le follie.

                Una luce di fa nel dormiveglia.
                Tutto è sospeso come in un'attesa.
                Non penso più. Sono contento e muto.
                Batte il mio cuore al ritmo del tuo passo.
                Vota la poesia: Commenta